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14 miliardi per il JSF: nessuna crisi per la armi

Giulio Marcon e Massimo Paolicelli
Fonte: Sbilanciamoci! - 25 marzo 2009

La scelta che il parlamento si appresta a fare in questa settimana, dando parere positivo alla prosecuzione del programma di costruzione dei 131 caccia bombardieri JSF è un fatto di assoluta gravità. Si tratta di 14 miliardi di spesa in poco più di 15 anni per un velivolo d'attacco e capace di portare -se serve- anche degli ordigni atomici e che ci costerà un salasso. Più o meno ogni aereo vale l'equivalente di 400 asili nido o se si preferisce – vista l'attualità - l'indennità di disoccupazione (quella prevista dal governo) per 80mila precari. Nonostante le lamentele dei mesi scorsi da parte dei veritici militari e di La Russa, i soldi per i programmi delle Forze Armate alla fine si trovano sempre. E a fronte di un limitato taglio del bilancio della Difesa nel 2009 (-5%) va ricordato che dal 2006 al 2008, gli aumenti avevano superato la sogli del + 21%. Senza contare tutti i soldi extra-bilancio, tra cui i 14 miliardi dei 131 JSF. E' paradossale che si possano stanziare tutti questi soldi per un sistema d'arma che in molti dei paesi coinvolti viene valutato troppo costoso e molto discutibile dal punto di vista operativo (e incoerente con delle missioni di pace), mentre il governo non riesce a trovare le risorse necessarie per potenziare gli ammortizzatori sociali (cassa integrazione, indennità di disoccupazione, ecc.) per chi perde il posto di lavoro. Le varie “caste” del nostro paese escono intoccate, o solo sfiorate, dalla crisi: banchieri, manager, grandi imprese, le forze armate, ecc. Anche nella crisi si fanno delle scelte che invece di essere guidate dal perseguimento dell'interesse generale, si fanno orientare da interssi corporativi o legati a piccoli e grandi privilegi. Qui, la “sicurezza nazionale” o la “funzionalità delle nostre Forze Armate” non c'entra niente: è solo un gioco di interessi convergenti (business dell'industria bellica nazionale, autoconservazione corporativa delle Forze Armate, difesa di uno status internazionale peraltro assai dubbio, ecc.) a spingere il governo e il parlamento in una direzione completamente sbagliata. Quella del riarmo e dell'irresponsabilità sociale. La scelta che il parlamento si appresta a fare in questa settimana, dando parere positivo alla prosecuzione del programma di costruzione dei 131 caccia bombardieri JSF è un fatto di assoluta gravità. Si tratta di 14 miliardi di spesa in poco più di 15 anni per un velivolo d'attacco e capace di portare -se serve- anche degli ordigni atomici e che ci costerà un salasso. Più o meno ogni aereo vale l'equivalente di 400 asili nido o se si preferisce – vista l'attualità- l'indennità di disoccupazione (quella prevista dal governo) per 80mila precari.

Nonostante le lamentele dei mesi scorsi da parte dei veritici militari e di La Russa, i soldi per i programmi delle Forze Armate alla fine si trovano sempre. E a fronte di un limitato taglio del bilancio della Difesa nel 2009 (-5%) va ricordato che dal 2006 al 2008, gli aumenti avevano superato la sogli del + 21%. Senza contare tutti i soldi extra-bilancio, tra cui i 14 miliardi dei 131 JSF.

C’è la crisi economica e l’Italia investe quasi 15 milioni di euro nell’industria bellica. Più specificamente nella realizzazione di un megaprogetto militare statunitense. Senza passare per il parlamento se non per un semplice parere. Da oggi è infatti in discussione nelle Commissioni Difesa di Camera e Senato la richiesta di parere da parte del governo sul programma pluriennale relativo all’acquisizione del sistema d’arma Joint strike fighter (Jsf) e l’associata linea di assemblaggio finale a Cameri (Novara). Dopo le fasi di sviluppo e pre-industrializzazione il governo chiede al Parlamento un semplice parere per passare alla fase di acquisizione di 131 cacciabombardieri Jsf completi di relativi equipaggiamenti, supporto logistico iniziale e approntamento delle basi operative nazionali (quattro aeroporti e una portaerei). Tutto per circa 12,9 miliardi di euro nel periodo 2009-2026. A ciò va aggiunta la realizzazione sul suolo nazionale, a Cameri (Novara), di un centro europeo di manutenzione, revisione, riparazione e modifica dei velivoli italiani ed olandesi al costo di 605,5 milioni di euro, da consegnare entro il 2012. A queste spese va aggiunto il miliardo di euro già investito per la fase di sviluppo. Arriviamo così a quasi 15 miliardi di euro.

Il progetto è faraonico. Il Joint Strike Fighter (Jsf) è un aereo da combattimento monomotore, monoposto, in grado di operare alla velocità del suono, ma con velocità di crociera subsonica. È ottimizzato per il ruolo aria terra (quindi per l’attacco) ed ha due stive interne per le bombe che possono essere anche di tipo nucleare. È un velivolo di tipo stealth, cioè a bassa rilevabilità da parte dei sistemi radar e di altri sensori. L’aereo assolve un ampio ventaglio delle funzioni operative dell’Aeronautica Militare e della Marina Militare, ed andrà a sostituire gli Av-B della componente imbarcata della Marina e gli Am-X e i Tornado della componente aeronautica.

Capofila del progetto sono gli Stati Uniti e vi partecipano altri 8 paesi: Regno Unito al primo livello, Italia ed Olanda al secondo livello, Turchia, Canada, Australia Norvegia e Danimarca al terzo livello. La ditta capocommessa è l’americana Lokheed Martin Aero. L’impresa italiana maggiormente coinvolta è l’Alenia Aeronautica. La Difesa parla di un indotto da 10.000 posti di lavoro, ma è puro marketing. Per gli Stati Uniti quello del Jsf è il programma più costoso della sua storia militare. Infatti il costo complessivo si dovrebbe aggirare intorno ai 275 miliardi di dollari (all’inizio erano 245 miliardi di dollari). Il costo unitario è già salito da 37/47 milioni di dollari in base al modello, a 50/70 milioni di dollari ma nessuno giura su queste cifre; il costo reale, secondo alcuni si saprà solo quando si dovrà pagare. C’è chi parla di un costo unitario finale molto vicino ai 100 milioni di dollari. Il Pentagono allo stato attuale spenderà 12 miliardi di dollari l’anno per i prossimi 20 anni.

Passando dagli Stati Uniti all’Olanda la preoccupazione (per i conti pubblici) per il programma Jsf è molto forte. Secondo la Corte dei Conti olandese tra il 1996 ed il 2006 i costi sono cresciuti dell’80% e per questa ragione i vari organismi di controllo (dei paesi interessati) preoccupati da questi dati hanno stabilito di ritrovarsi ogni sei mesi per verificare l’andamento del progetto. A queste riunioni non risulta abbiano mai partecipato i rappresentanti della Corte dei Conti italiana.

I fautori del Jsf affermano che non ci sono incompatibilità con il progetto europeo dell’Eurofighter perché il primo è un cacciabombardiere ed il secondo un caccia. Ma l’incompatibilità evidentemente è economica, visto che l’Italia ha chiesto al Consorzio dell’Efa di calcolare il costo di una revisione della sua partecipazione alla produzione del nuovo aereo. Si tratta dell’acquisizione dei 46 velivoli della terza tranche (2012-2017). Il preventivo di riduzione degli ordini richiesti al consorzio dovrebbe prevedere sia la possibilità di un taglio parziale delle consegne sia una rinuncia totale alla fornitura. Il danno per l’industria europea è fin troppo evidente.

Tra l’altro i vertici della Difesa hanno calcolato la diminuzione delle esercitazioni e della manutenzione dei mezzi in base ai tagli apportati dalla finanziaria del 2009. In base a queste stime (tutte da verificare) l’Aeronautica potrà effettuare circa 30.000 ore di volo a fronte delle 90.000 previsionali del 2008. La situazione di manutenzione dei mezzi e dei sistemi d’arma complessi sarà ad un livello di efficienza: per l’anno 2009 al 45%-65 per cento; per gli anni 2010-2011 al 20%-30%; dall’anno 2012 prossimo allo zero. Allora che senso ha investire in stratosferici sistemi d’arma se poi non si ha la certezza di poterli fare volare perché mancano i fondi per il carburante o per i pezzi di ricambio?

Parlare poi del Jsf come di una occasione anticrisi è assolutamente fuori luogo. Per il ritorno occupazionale si parla infatti di un decimo rispetto alle previsioni, cioè 200 assunzioni a Cameri e 800 persone per l’indotto, senza avere poi quel passaggio di know how sperato. I 10 mila posti di lavoro promessi sono dunque un’autentica invenzione.

E' paradossale che si possano stanziare tutti questi soldi per un sistema d'arma che in molti dei paesi coinvolti viene valutato troppo costoso e molto discutibile dal punto di vista operativo (e incoerente con delle missioni di pace), mentre il governo non riesce a trovare le risorse necessarie per potenziare gli ammortizzatori sociali (cassa integrazione, indennità di disoccupazione, ecc.) per chi perde il posto di lavoro.

Le varie “caste” del nostro paese escono intoccate, o solo sfiorate, dalla crisi: banchieri, manager, grandi imprese, le forze armate, ecc. Anche nella crisi si fanno delle scelte che invece di essere guidate dal perseguimento dell'interesse generale, si fanno orientare da interssi corporativi o legati a piccoli e grandi privilegi. Qui, la “sicurezza nazionale” o la “funzionalità delle nostre Forze Armate” non c'entra niente: è solo un gioco di interessi convergenti (business dell'industria bellica nazionale, autoconservazione corporativa delle Forze Armate, difesa di uno status internazionale peraltro assai dubbio, ecc.) a spingere il governo e il parlamento in una direzione completamente sbagliata. Quella del riarmo e dell'irresponsabilità sociale.

Note: Ulteriori informazioni al sito di Sbilanciamoci! www.sbilanciamoci.org in cui si trova anche un appello per fermare la produzione dei JSF
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