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Italia armata

Pochi controlli. licenze facili. Trucchi per aggirare la legge. Così sono ormai 13 milioni le persone che detengono fucili o pistole e si addestrano nei poligoni. L'altra faccia di un Paese che ha paura. E che si difende da sé
Paolo Biondani
Fonte: L'Espresso - 17 luglio 2008

Reati veri che fanno paura. Ma anche emergenze immaginarie che gonfiano l'insicurezza 'percepita'. Stretti fra realtà e propaganda, gli italiani si stanno silenziosamente armando. È un fenomeno sommerso, che preoccupa tutte le forze di polizia. I cittadini che possiedono armi da fuoco sono saliti a "circa tredici milioni", secondo le stime dei funzionari delle principali questure. Come dire che quasi un italiano su quattro ha in casa almeno una pistola.

Cifre ufficiali non ne esistono, perché neppure il ministero dell'Interno possiede dati aggiornati, incredibilmente, nemmeno per le province a più alta densità mafiosa. Poliziotti, carabinieri e finanzieri denunciano il sostanziale aggiramento dei controlli attraverso veri e propri "stratagemmi legali". Come il boom delle licenze di porto d'armi 'per uso sportivo'. Una crescita improvvisa, considerata molto sospetta soprattutto nelle aree dove è più sentito l'allarme sicurezza. Le forze di polizia temono che questa corsa alle armi finisca per mettere in pericolo la collettività, anziché proteggerla. E avvertono che il problema è sempre più grave. Nonostante cinque anni di promesse.

La mattina del 2 maggio 2003 Giuseppe Leotta, detto Pippo il pazzo, 32 anni, catanese di Aci Castello, esce di casa con due pistole regolarmente denunciate 'per uso sportivo'. Ai giardini pubblici uccide un pensionato di 66 anni. Sulle scale del Comune ammazza un impiegato. Poi sale nell'ufficio del sindaco, intima alla capogruppo di An di spostarsi ("Tu non c'entri") e scarica sei pallottole contro il primo cittadino. Dietro l'angolo c'è l'uffico del Commercio, dove Pippo il pazzo crivella di colpi due impiegate. In paese esplode il panico. Lui non si scompone: sequestra un automobilista e si fa portare fino al santuario di Vittoria, dove si suicida. In casa la polizia gli trova altre due pistole, tre fucili, un machete, tre asce, due caricatori, una videocassetta di 'Taxi Driver'. E il porto d'armi per il poligono. Tre giorni dopo, a Milano, un altro cittadino legalmente armato, Andrea Calderini, 31 anni, psicotico con una svastica sulla porta e il '666' dell'Anticristo sul campanello, scende le scale del suo condominio con una Colt 45 Magnum. Al primo piano ammazza una signora di 65 anni che, come tutti i vicini, lo considera "un matto pericoloso". Poi si mette a sparare dal balcone e ferisce tre passanti. Quindi uccide con 11 colpi la moglie 22enne. E alla fine si ammazza.

Anche Calderini, come Pippo il Pazzo, era un tiratore sportivo con un'impressionante collezione di fucili e pistole. Si allenava nello stesso poligono dei poliziotti del suo quartiere. Eppure da anni era in terapia neuropsichiatrica. Ma la legge non prevede controlli effettivi: per avere la licenza di sparare, bastano due certificati.

La doppia strage del 2003 fa scandalo. Otto morti in tre giorni sono troppi, almeno per l'allora ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu, forzista con il senso dello Stato della vecchia Dc, che annuncia un giro di vite. Basta permessi facili, d'ora in poi si faranno verifiche severe e ripetute sull'equilibrio mentale e i precedenti di polizia di tutti i privati che pretendano di armarsi. Cinque anni dopo, però, la vite ministeriale si è allentata. L'accesso a fucili e pistole è ancora più comodo di prima.

Se ci si accontenta di un primo livello statistico (l'unico pubblicizzato), le autorizzazioni al porto d'armi sembrano calate di un terzo: nel 2004 le licenze di prima classe, quelle 'per difesa personale', erano 35.750; nel 2007 sono scese a 23.600. Meno 12 mila, per le pistole. Meno 150 per fucili e armi lunghe (da 1.750 a 1.600). Il problema è che, chiusa la porta, si sono spalancate le finestre. Dal 2001 la privatizzazione della sicurezza ha trasformato in business perfino la sorveglianza di depositi nucleari o arsenali d'armi, in passato riservata all'esercito. E così, per cominciare, la stretta ministeriale è stata più che pareggiata dall'aumento delle guardie giurate: in tre anni i vigilantes armati sono schizzati da 57 a 71 mila. Più 14 mila. E ben più allarmante è lo stranissimo exploit di un altro tipo di autorizzazione: il porto d'armi 'per uso sportivo'. "Ottenerlo è molto semplice", spiega un dirigente della polizia: "In pratica basta aver fatto il militare, non aver subito gravi condanne e non risultare documentalmente pazzi".

Nel 2004 sono state rilasciate 199 mila licenze sportive, 207 mila nel 2005, 220 mila nel 2006, 222 mila l'anno scorso. Questi permessi, a differenza dei precedenti che hanno scadenze annuali, restano validi per sei anni. Tirando le somme, oggi sono oltre un milione gli 'sportivi' che possono circolare armati. Tutti i funzionari delle questure interpellati da 'L'espresso', da Milano a Roma, dalla Campania al Nord-est, concordano che "le autorizzazioni per uso sportivo sono diventate lo stratagemma più diffuso per aggirare la legge". Un trucco, insomma. Con un'aggravante. "In passato il tiratore era obbligato a dichiarare il poligono prescelto e a raggiungerlo seguendo un percorso rigidamente prefissato", spiegano i poliziotti: "Oggi invece un calabrese di Platì, se viene fermato con un'arma tra Milano e Varese, può dire che sta andando ad allenarsi nella cava di un amico".

Ad avere il coraggio di esporsi è Claudio Giardullo, segretario generale del Silp, il sindacato di polizia della Cgil: "Le licenze per uso sportivo sono la cartina al tornasole del vero andamento del mercato delle armi in Italia. È una vergogna che, dopo tante stragi, possano esistere scappatoie così facili per eludere la legge. Chiunque si occupi di prevenzione dei reati sa che, se diventa più semplice comprare fucili e pistole, la sicurezza dei cittadini diminuisce. Far credere che il cosiddetto diritto all'autodifesa garantisca più protezione è una presa di posizione irresponsabile".

Nei fatti, anche i campi da tiro seguono il trend delle armi e si stanno moltiplicando. I poligoni ufficiali, autorizzati a certificare "l'idoneità all'uso delle armi", sono 289. Ma le forze di polizia segnalano "il proliferare di campi da tiro privati che di fatto nessuno controlla". Maurizio Leone è il segretario generale dell'Unione italiana tiro a segno (Uits), che ha il compito istituzionale di addestrare e abilitare i privati e le guardie giurate. "I nostri poligoni sono ipercontrollati: è l'esercito a sorvegliare il rigoroso rispetto di tutte le misure di sicurezza, dalle mura in cemento armato all'obbligo di registrare chiunque venga a sparare. I campi da tiro privati, invece, non hanno alcun dovere di identificare i frequentatori e nascono con una semplice comunicazione al sindaco, magari del piccolo comune che in teoria dovrebbe vigilarli. Neppure la polizia riesce a censirli: ne vengono aperti a centinaia in mezza Italia. Basta avere una cava o un terreno per creare un campo 'dinamico' dove sparare in corsa sui bergagli. Sembrano teatri di guerre private e sono totalmente fuori controllo".

Le sezioni provinciali dell'Uits funzionano come scuola di tiro anche per i vigili urbani che i sindaci di piccole e grandi città, da Roma a Bologna, sull'esempio di Milano, Genova, Napoli o Bari, vogliono far girare armati. Tra i mugugni delle polizie statali, che temono quantomeno un caos di competenze con gli sceriffi locali. Tuona Giardullo: "Armare tutti è facile. Ma chi addestrerà i vigili a mantenere la calma in situazioni di tensione e pericolo?". L'Uits è sopravvissuto al decreto 'taglia-enti' del 25 giugno scorso. "Ringraziamo il governo e soprattutto il ministro della Difesa La Russa e il presidente del Coni Petrucci", si legge nel comunicato diffuso il 7 luglio.
Armi in Italia
Anche comprare fucili e pistole è diventato più facile. Alle normali armerie oggi si affiancano il commercio su Internet, le riviste per appassionati e perfino qualche testata di annunci gratuiti. "Vendo fucile", "Cedo pistole a prezzi interessanti". Sui siti specializzati compaiono ogni giorno centinaia di nuove offerte da privato a privato. Su Armiusate.it, il 9 luglio è stato messo in vendita, "da Trapani", un bel "Kalashnikov Ak 47" alla modica cifra di "500 euro". Su Mastergun.it, gli armieri Adolfo e Modesto mostrano con "cortesia, competenza, qualità e prezzi convenienti" le immagini di uno spettacolare "Beretta CX4 Storm": senza raffica, altrimenti sarebbe un'arma da guerra. Chi compra deve avere la licenza, naturalmente. Ma la trattativa via computer ha l'effetto di azzerare quel controllo visivo che in genere sconsiglia all'armiere di vendere un fucile di precisione al cliente con la svastica sul braccio o allo strano signore che si sente perseguitato dai vicini.

Se tra i politici c'è chi incoraggia l'autodifesa armata, tra gli agenti che l'ordine lo devono mantenere davvero, domina un giudizio opposto: "Più armi significa meno sicurezza". I dati sulle cause di morte raccolti dall'Organizzazione mondiale della sanità e dalla Croce rossa internazionale documentano che gli omicidi aumentano proprio dove circolano più fucili e pistole. Negli Stati Uniti se ne contano 90 ogni cento abitanti. E il tasso di decessi provocati da armi da fuoco è il più alto dell'Occidente: 11,3 ogni 100 mila persone. All'estremo opposto, in Inghilterra e Galles, dove pistole e fucili non superano i due milioni, il tasso precipita a 0,3. L'Italia è una nazione in bilico. Da una parte il nostro Paese è saldamente ai primi posti nelle classifiche mondiali degli esportatori di armi. Dall'altro, la vendita è storicamente limitata da obblighi e controlli pubblici. Ora, per la prima volta, anche in Italia si sta creando un clima da Far West. Tra permessi e scappatoie, le armi detenute legalmente sono salite a 16 milioni: 27 ogni cento abitanti. E gli italiani autorizzati a detenerle in casa sono 13 milioni: quasi uno su quattro, neonati compresi.

L'incubo per tutte le forze di polizia è che questi arsenali privati possano trasformare liti, raptus e rancori in tragedie. La questione cruciale è l'insufficienza dei controlli psico-fisici sulle persone che chiedono il porto d'armi. Oggi bastano una visita del medico di famiglia e un certificato dell'Asl. Nella prassi, è un controllo solo formale. Che, come denunciano i poliziotti di Milano e Torino, "ormai si può anche comprare" in agenzie specializzate, senza visite effettive, come succede per le patenti di guida. Dopo le stragi del 2003, il piano del ministero prevedeva di affidare i controlli a una più rigorosa commissione di cinque esperti. Il progetto però è rimasto sulla carta. Anche se di armi facili, in Italia, si muore troppo spesso. Omicidi-suicidi e stragi familiari si susseguono. Come le giornate di ordinaria follia. Ma i governi si mobilitano solo dopo le tragedie più spaventose.

Nel novembre 2007, a Guidonia (Roma), un ex ufficiale dell'esercito, Angelo Spagnolo, 52 anni, trasforma il suo balcone in un poligono. In tre ore di fuoco uccide due persone e ne ferisce otto. Spara perfino contro due bimbe di quattro e cinque anni. Ministro dell'Interno è Giuliano Amato, che rilancia d'urgenza il giro di vite sui controlli. Ma il disegno di legge cade insieme al governo Prodi.

Oggi al Viminale comanda Roberto Maroni, uomo di punta della Lega, e alla Difesa Ignazio La Russa, il leader di An a Milano: due partiti che hanno fatto del diritto all'autodifesa uno slogan vincente. Sarà un caso, ma ottenere i dati sulle armi in Italia ora è più difficile. Da Roma escono solo due tabelle, ferme a tre anni fa: difesa personale e uso venatorio. Coincidenza vuole che siano gli unici dati in calo.

Tra il 2004 e il 2005, infatti, le autorizzazioni ai cacciatori erano leggermente diminuite, scendendo a quota 860.444 (meno 4.388). A condizione di restare anonimi, però, decine di poliziotti di mezza Italia precisano che "le licenze venatorie valgono per sei anni, per cui i cacciatori autorizzati sono in realtà circa 2,3 milioni e quelli attivi oltre un milione e mezzo". Proprio per le armi da caccia (ne circolano "almeno 7 milioni e mezzo") le questure segnalano "forti pressioni per allentare i controlli". I poliziotti citano con rabbia "una circolare-scandalo che ha liberalizzato i calibri, vietando solo il 22". "In pratica si può far passare per arma da tiro al fagiano una calibro 9 per 21 e perfino un Kalashnikov, purché manchi la raffica, che peraltro è facile riadattare". E ancora: "Ci sono questure, in Lombardia e Veneto, che disapplicano di fatto le circolari in vigore ritenendole troppo permissive".

La liberalizzazione dei calibri, secondo i più pessismisti, potrebbe favorire, oltre a singoli cittadini ben raccomandati, perfino il traffico d'armi. A Brescia, ad esempio, è in corso una delicatissima inchiesta su enormi carichi di armi 'leggere' made in Italy sequestrate in Iraq a guerriglieri e terroristi.

Con il nuovo governo Berlusconi le voci critiche rischiano di restare isolate. Proprio la Lega Nord nel 2006 aveva fortemente voluto la riforma della legittima difesa. Il codice penale autorizzava i privati a usare le armi solo a condizioni rigorose, come la "proporzione tra offesa e difesa": la vittima di un reato doveva essere o almeno sentirsi in pericolo di vita. Dai tempi del fascismo, dunque, in Italia era sempre stato vietato sparare contro un ladro in fuga o vistosamente disarmato. Con le nuove norme non si parla più di legittima difesa, ma di "diritto all'autotulela in un privato domicilio". Da allora per trasformarsi in giustizieri basta una minaccia, anche solo ipotetica, ai "beni propri o altrui". La maggioranza dei giuristi è insorta contro questa "licenza di uccidere", protestando che "la vita umana vale più dei soldi". E per ora la magistratura tende a resistere, richiedendo comunque la prova di un "timore di aggressione".

Di fatto tra i 50 mila detenuti italiani l'amministrazione penitenziaria non segnala neppure un condannato per "eccesso di legittima difesa". In compenso fa scalpore il semplice avvio di un'indagine dovuta. Tra i casi più controversi c'è il processo ai due gioiellieri di Milano che nell'aprile 2004 spararono a due rapinatori in fuga, uccidendo un montegrino di 21 anni. Assolti dall'accusa di omicidio, sono stati condannati solo per eccesso colposo: un mese all'orefice, un anno e mezzo a suo figlio. Una sentenza sospesa dalla condizionale e poi azzerata dall'indulto. A Roma, nel maggio 2003, un orefice ha ammazzato due giovani rapinatori italiani. Nel 2005 il tribunale lo ha assolto. E l'allora ministro della giustizia, Roberto Castelli, ha commentato: "Dopo anni di battaglie culturali, finalmente ci si occupa anche di Abele e non solo di Caino". Nel 2006, mentre cambiavano le norme sulla legittima difesa, quell'assoluzione è stata annullata. In attesa del nuovo verdetto, nel marzo 2007 lo stesso orefice è stato arrestato per strada, al Testaccio, con tre pistole, un caricatore di riserva e altre pallottole in tasca. Secondo l'accusa, voleva uccidere il fratello e poi ammazzarsi. Dichiarato seminfermo di mente, è stato condannato a otto mesi.

Sono casi come questi a spiegare perché tutte le forze di polizia continuano a pensare che l'uso delle armi debba restare monopolio dello Stato. Gli omicidi in Italia sono in calo dal 1992, l'anno di Tangentopoli e delle stragi contro i giudici Falcone e Borsellino. Nel '91, prima delle grandi inchieste antimafia e del fenomeno dei pentiti, si contavano 1.916 delitti. L'anno scorso 627.
Armi in Italia
L'attuale 'emergenza criminalità', che ha surriscaldato l'ultima campagna elettorale, riguarda soprattutto i reati contro il patrimonio: furti o rapine in casa. E proprio nelle province del Nord, dove è più alta 'l'insicurezza percepita', crescono anche le richieste di porto d'armi. Nel 2007, a Brescia, 6.500 cittadini hanno chiesto la licenza e ben 2 mila l'hanno ottenuta "per uso sportivo". Tra il 2006 e il 2007, nella provincia di Alessandria, le autorizzazioni sportive sono salite da 609 a 756; nei primi cinque mesi di quest'anno se ne contano già 406 e altre 316 a Novara, contro le 508 dell'intero 2007. A Verona, l'anno scorso, 1.200 cittadini hanno chiesto armi sportive; tra gennaio e maggio di quest'anno se ne sono aggiunti altri 590. E le richieste respinte sono "rarissime".

Il 16 aprile scorso, tre giorni dopo la batosta elettorale, l'ex ministro Amato ha legittimato anche i quattordicenni a sparare nei poligoni. A preoccupare l'Uits era il "divieto assoluto di consegnare armi ai minorenni", sancito da una Convenzione dell'Onu e da una direttiva europea. La circolare però ha "chiarito" che l'istruttore sportivo si limita ad "affidare temporaneamente" l'arma al ragazzino. Di qui il via libera, che alcuni poligoni interpretano con larghezza di vedute: a Bagheria (Palermo) la sezione di tiro a segno organizza "corsi gratuiti di sparo a partire dai dieci anni". E in aprile, all'inaugurazione del nuovo poligono di Bologna (il più grande d'Italia con 74 linee di tiro ad aria compressa), il presidente Maurizio Calzolari ha rivendicato che "il nostro è uno sport per tutti, che si può praticare dai dieci anni in su". Sparare è un piacere anche nelle scuole. A Como quattro classi del liceo Ciceri (ex magistrali) hanno fatto educazione fisica sparando al poligono di Camerlata. Entusiastici i commenti delle 17-18enni intervistate dal quotidiano 'La Provincia'. "Mi piace fare centro". "Non pensavo di avere questa mira". "Mi sono trovata bene in particolare con la carabina ed il fucile".

In questo nuovo clima, fra tanti cittadini spaventati dai banditi ora cominciano a spuntare anche famiglie impaurite dalle armi facili. A Vicenza c'è chi è arrivato a fare causa allo Stato. Nel luglio 1998 un vigilante, Giorgio Garbin, aveva ucciso un collega, Silvano Pellizzari, nel piazzale della Marelli ad Arzignano. Riconosciuto seminfermo di mente, l'omicida è stato condannato a otto anni di carcere e a tre di ospedale psichiatrico. Nel 2006 è tornato libero. La moglie della vittima, Maria Cristina, e il figlio Riccardo nel 2004 hanno citato a giudizio il ministero, la prefettura e l'Ulss 5 di Vicenza. "Garbin non aveva i requisiti per ottenere il porto d'armi", spiega il loro avvocato, Ferdinando Cogolato: "I carabinieri avevano avvertito che 'avrebbe potuto abusare del porto d'armi', ma il loro rapporto è stato scavalcato da un parere positivo. Anche il medico del paese ne aveva segnalato le stranezze, ad esempio quando era arrivato a intossicarsi con i diluenti per stordirsi".

La famiglia vicentina ha chiesto alle autorità un risarcimento di 840 mila euro, ma attende la sentenza dall'11 ottobre 2007, quando la corte si è riunita in camera di consiglio. Un caso isolato? Non proprio. Nel marzo scorso, a Boves (Cuneo), un uomo di 63 anni, Francesco Briano, ha ucciso la madre e l'ex convivente prima di togliersi la vita con la stessa pistola. Arrestato nell'84 per aver sequestrato un poliziotto e i suoi tre figli, era stato dichiarato seminfermo di mente. "Com'è possibile che, finite le cure psichiatriche, gli abbiano ridato il porto d'armi?", chiedevano, nel giorno della strage, i figli delle vittime.

Di questi e degli altri dati sulle morti violente, però, la politica non parla. Forse perché a crescere in Italia sono soprattutto i delitti che non è facile scaricare su nemici esterni: gli "omicidi in ambito familiare" (saliti in quattro anni dal 16 al 32 per cento del totale) e i delitti legati a "raptus di follia, motivi passionali, risse e rancori personali" (dal 14,8 al 20,9 per cento). "E in questa situazione", tuona un alto dirigente della polizia, "vi sembra logico distribuire armi nelle famiglie?".
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Note: Inchiesta al link: http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Italia-armata/2033808&ref=hpstr1
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