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Mugabe a Roma con il figlio del mercante d'armi

Durante il vertice Fao è arrivato anche Thabani Dube. Ma non ha partecipato ai lavori
Massimo A. Alberizzi
Fonte: Corriere della Sera - 08 giugno 2008

Nessuno si aspettava che il conto del presidente Robert Mugabe alloggiato all’hotel Ambasciatori in via Veneto fosse così basso: la suite per quattro notti, lui (84 anni) e la moglie Grace (39 ben portati), gli è costata 600 euro al giorno e le camere per 15 persone della stretta guardia del corpo 310 euro l’una.

Il servizio in camera non ha raggiunto il 20 per cento del totale. Pari praticamente a zero il costo della mance: due euro, per 17 persone, una montagna di bagagli, le richieste alle cameriere del piano. Un’inezia. Il personale dell’hotel ha la bocca cucita e si lascia andare sono mugugni sulla mancanza di compensi extra. Di solito i dittatori amano scialare. Una buona mancia serve a guadagnarsi un ottimo rispetto. Lui zero: “Sa già che non lo rispetta nessuno”, è il commento di un dissidente zimbabwano piombato davanti alla porta dell’hotel nella speranza (vana) di sputare in faccia al suo presidente. Mugabe si è portato tutto: “Mangia solo il suo mais e la sua tapioca – spiega George Charamba, l’attaché de presse personale del presidente, anche lui come Mugabe e la moglie colpito dal divieto di viaggio imposto dell’Unione Europea e dagli Stati Uniti agli alti dignitari del regime di Harare – qui ha assaggiato solo un po’ di frutta”. Ha paura di essere avvelenato? “Tanta gente gli vuole male, ma non è per questo. Rispetta la sua dieta”.

In realtà si comporta come la maggior parte del genere umano: mangia sempre la stessa cosa. “E cucinata solo dal suo cuoco personale, che lavora ai fornelli con guanti di cotone bianchi e mascherina sulla bocca”, racconta un altro membro della delegazione del dittatore. Terrore di essere contagiato da qualche brutta malattia? “No, semplicemente è un igienista”. Il cuoco in questione è passato dall’atrio dell’albergo. Impossibile non notarlo nella sua livrea bianca con i profili e i risvolti alle maniche della giacca rossi. E Grace, la first lady una volta sua segretaria/amante, sposata appena la moglie e morta? Avrà assaggiato almeno lei spaghetti e gelati italiani. “Lui ha toccato solo un boccone di pasta, la signora nemmeno quella. Ci tiene alla linea e il gelato, le cose fredde insomma, le fanno venire la colite”. La loro vita a Roma è rimasta blindata. Lui è uscito solo per andare a tenere il discorso alla Fao, martedì, e giovedì mattina è sfuggito agli inseguimenti dei giornalisti.

L’hanno visto in Piazza San Pietro. Lei l’ha seguito alla Fao e poi ha fatto un po’ di jogging mercoledì all’alba. Poi è rimasta in albergo tutto il tempo. Per evitare strani incontri con i cronisti non è neanche andata a fare shopping dal suo negozio di scarpe di fiducia, Ferragamo. (Chissà perché le mogli dei dittatori amano comprarne decine di paia). E’ passata invece da una piccola boutique “La dolce vita”. Se la montagna non va da Maometto, Maometto va alla montagna. E così per due giorni alla suite 515 del quinto piano sono arrivati grandi pacchi avvolti in carta regalo così da rendere invisibili marche e contenuto. Poche ora prima della partenza qualcuno della “servitù reale” è sceso alla reception e si è fatto consegnare cinque scatoloni vuoti che, una volta riempiti, sono stati caricati nelle limusine nere in attesa, la sera di giovedì, per trasferire la coppia in aeroporto. Peccato. Mugabe avrebbe potuto diventare un simbolo per l’Africa libera e indipendente. Avrebbe potuto passare alla storia come Nelson Mandela, uno degli uomini viventi più rispettati e amati. Invece sarà ricordato come un tiranno che ha affamato il suo popolo. Ma non tutta la delegazione dello Zimbabwe era nel lussuoso Hotel Ambasciatori. Qualcuno si è dileguato in alberghi meno vistosi e famosi. Come Thabani Dube, il figlio del capo della società che si occupa di rifornimenti militari (la Zimbabwe Defence Industry) il colonnello Tshinga Dube, finito in un alberghetto di via Bergamo. “Ma lui non si occupa degli affari del padre”, spiega George Charamba. Tshinga Dube, anche lui soggetto all’embargo sui viaggi in Europa e negli Stati Uniti, ha sempre respinto le accuse sul traffico d’armi sebbene il suo nome compaia su alcune ricevute bancarie della CIB Bank di Budapest, nel conto numero 0007-070227-500 intestato alla Engineering & Technical Company Ltd. società costituita il 5 marzo 1998 nel paradiso fiscale dell’Unione Europea alle Isole Vergini Britanniche, dalla Morgan & Morgan Trust Corporation.

La Engineering & Tecnical Company è diretta dai due soci bulgari Alexandar Todorov e Nadia Petkova. L’estratto conto in possesso del Corriere non è recentissimo, risale a nove anni fa, ma il contenuto è assai chiaro e rivela connessioni interessanti, tra società fittizie, prestanomi e destinatari finali: armi in tutte le zone calde dell’Africa. Per quel che riguarda lo Zimbabwe, la Zimbabwe Defence Industry effettua su questo conto due versamenti: il primo di 1.383.150 dollari, il secondo di 2.103.150. Subito dopo l’arrivo dei soldi della ZDI da quello stesso conto partono tre versamenti diretti a Tshinga Dube: le tre tranche sono di 175.815, 80 mila, 40 mila dollari. Un giro di soldi cha assomiglia molto a una tangente. Qualcun altro riceve da questo conto uno strano versamento, sebbene di ben altra portata, solo 5 mila dollari: Zodwa Dabengwa, moglie dell’allora ministro degli interni, Dumiso Dabengwa, ora alleato dell’arcirivale di Mugabe, Morgan Tswangirai. Ma che ci faceva a Roma il figlio del mercante d’armi dello Zimbabwe accreditato al vertice sulla penuria alimentare e i cambiamenti climatici? George Charamba risponde con un sorriso: “I figli sono diversi dai padri”. Comunque Dube figlio non è mai comparso alla Fao. Era in giro per Roma. A fare cosa?

Note: Articolo al link http://www.corriere.it/esteri/08_giugno_08/mugabe_roma_armi_alberizzi_3306df0e-3533-11dd-901f-00144f02aabc.shtml
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