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Stop cluster bomb? La Difesa chiede in cambio 160 milioni

Massimo Franchi
Fonte: l'Unità - 26 novembre 2007

Gli uomini del contingente italiano in Libano rischiano quotidianamente la vita per bonificare il terreno dalle cluster bomb, le famigerate bombe a grappolo lanciate dagli israeliani durante la guerra dell'estate 2006.

Coerenza ha imposto al Parlamento italiano di chiedere da tempo una moratoria di queste micidiali armi alle nostre forze armate.

Dopo quattro mesi di attesa della relazione tecnica che permette di finanziare la legge, sembra che l'agognato documento sia finalmente in viaggio verso il Parlamento. Il ministero della Difesa ha per la prima volta quantificato la dotazione delle nostre forze armate: 5 mila cluster bomb fra razzi dell'esercito e bombe a disposizione di aeronautica e marina.

Ma nella relazione è contenuta una sgradita sorpresa. Accanto alla stima del costo di 10 milioni di euro in tre anni per dismetterle, si indica anche un'altra cifra: 160 milioni di euro che "servirebbero" (il condizionale viene sottolineato dal ministero della Difesa) per sostituire le cluster con nuove armi.

La richiesta suona paradossale perché trasformerebbe una vittoria delle ong pacifiste in un pretesto per spendere nuovi soldi in armamenti. Finanziamenti cospicui per sostituire armi già bandite dai trattati internazionali, come il trattato di Oslo che entrerà in vigore nel 2008, sottoscritto dall'Italia a febbraio.

Il cammino della proposta di legge (primo firmatario il vicepresidente della Camera Carlo Leoni, della Sinistra democratica) che chiede di estendere il divieto di detenere e usare mine antiuomo (legge 374 del 1997) alle cluster bomb è stato fin troppo accidentato. Presentata il 12 ottobre 2006, la proposta ha ballato fra la commissione Difesa e quella Bilancio della Camera.

Il primo problema è stato di definire in modo preciso che cosa siano le cluster bomb. Il 31 luglio 2007 il sottosegretario Giovanni Lorenzo Forcieri propone la seguente dizione: «si definiscono submunizioni delle munizioni a grappolo, le submunizioni congegnate per esplodere immediatamente prima o dopo l'impatto con l'obiettivo».

Ma, risolto questo ostacolo, se ne proponeva un altro: la copertura finanziaria. Per rendere «praticabile la distruzione delle scorte» servono infatti soldi e vanno quantificati.

I mesi passano e la legge rischia di essere cassata proprio per la mancata copertura finanziaria. È il sottosegretario all'Economia Paolo Cento a sollecitare il ministero della Difesa. «Su una questione di questa rilevanza non si può essere burocratici - spiega -. A maggior ragione quando anche il Papa chiede la moratoria su mine anti uomo e cluster bomb. I ritardi sono inspiegabili e fanno pensar male: le lobby delle armi sono sempre molto attive», conclude Cento.

In Italia a produrre le cluster bomb era la Simmel di Colleferro, azienda tornata d'attualità per lo scoppio dello scorso 8 ottobre, quando un lavoratore è morto e altri sono rimasti feriti. «In quel caso la Simmel si precipitò a precisare che non produce più cluster bomb - ricorda Giuseppe Schiavello, direttore della Campagna italiana contro le mine antiuomo. Una excusatio non petita, accusatio manifesta, perché quel giorno le cluster bomb erano l'ultimo dei problemi davanti alla morte di un lavoratore. La Simmel sostiene di non produrle da anni, ma nel suo catalogo alla fiera di Abu Dhabi le cluster bomb c'erano ancora - dice ancora Schiavello - In più Finmeccanica ha partecipazioni in aziende americane che le producono, tanto che una banca belga gli ha rifiutato un fido, applicando la legge di quel Paese che vieta finanziamenti a società che in qualche modo producono mine e cluster bomb».

Una battaglia di civiltà si è quindi impastoiata nei ritardi (in molti sospettano interessati) da parte del ministero della Difesa nel quantificare le cluster in nostro possesso e le spese per smantellarle.
Soldati italiani in Libano sminano una cluster bomb


Il perdurante silenzio della dicastero guidato da Arturo Parisi spinge le ong pacifiste a denunciare il ritardo. In occasione del decimo anniversario dell'entrata in vigore della legge sulle mine antipersone, Giuseppe Schiavello attacca nuovamente: «Siamo costretti a constatare che il Ministero della Difesa adotta strategie mirate a ritardare la discussione della legge e, soprattutto, tese ad ottenere promesse di fondi sulla nuova legge finanziaria utilizzando il pretesto della distruzione dello stock».

«L'impressione - continua Schiavello - è che vogliano aspettare la conferenza di Vienna del 4-7 dicembre prossimi nella speranza che la linea internazionale sia meno restrittiva della legge italiana».

Una versione smentita dal sottosegretario alla Difesa Lorenzo Forcieri, che afferma: «Dalla conferenza di Vienna verranno indicazioni importanti, ma non c'è nessun legame con il ritardo nella consegna delle relazione finanziaria di cui non so la ragione».

Ora finalmente arriva la rassicurazione dell'altro sottosegretario alla Difesa Marco Verzaschi. «Nessun ritardo colpevole. Era necessario un approfondimento da parte nostra per quantificare esattamente il numero di armi, poi l'ufficio legislativo è stato occupato dalla preparazione della legge Finanziaria. Come governo italiano siamo molto sensibili al tema delle cluster bomb. Io sono appena tornato dal Libano dove il nostro contingente lavora incessantemente per bonificare il territorio dalle bombe che uccidono bambini. Noi siamo favorevoli alla moratoria».

Una linea che però non convince molti esponenti della stessa maggioranza.

Per Carlo Leoni, vice presidente della Camera e promotore della proposta di legge «la richiesta del ministero della Difesa è irricevibile. Noi stiamo chiedendo di mettere al bando le cluster bomb, la loro sostituzione non è all'ordine del giorno. Dico di più, se non ci fosse la copertura finanziaria, nel frattempo si potrebbe decidere di andare avanti con la moratoria semplicemente stoccando le bombe in un magazzino per poi eliminarle in seguito».

Gli dà man forte Silvana Pisa (senatrice di Sinistra Democratica), una delle più impegnate sostenitrici del bando. «Già quantificare in 10 milioni la spesa di smaltimento mi pare eccessivo, visto che le forze armate hanno il sito di Baiano di Spoleto che serve proprio per lo smaltimento degli armamenti. Ma la cifra di 160 milioni per sostituire armi che sono bandite dai trattati internazionali mi pare veramente incredibile. E conferma la linea di un governo che nella Finanziaria prevede 5 miliardi di spese in armamenti».

Ma ora cosa succederà? «Come commissione Difesa della Camera - spiega la presidente Roberta Pinotti (Ulivo) - noi abbiamo finito il nostro iter. La legge riguarda una convenzione internazionale e quindi è di competenza della commissione Esteri».

L'iter del provvedimento è però ancora più complicato. La relazione del ministero della Difesa sarà all'attenzione del ministero dell'Economia e della commissione Bilancio che deve esprimersi sulla copertura finanziaria della legge.

La patata bollente quindi passa nelle mani della terza commissione coinvolta per approvare una norma di civiltà che sta diventando sempre più costosa.

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