Supercaccia F-35, per l’Italia non è tempo di sprechi

Gian Giacomo Migone
Fonte: L'Unità - 30 novembre 2012

IN TUTTO IL MONDO SE NE PARLA. ORA ANCHE IN ITALIA, GRAZIE ALL’OPPORTUNA battuta di Bersani in occasione del confronto televisivo con Renzi che ha subito gridato alla demagogia. Fino a quell momento ne parlavano soltanto pacifisti e alcuni analisti di armamenti. Il grosso della stampa, con qualche lodevole eccezione, e partiti della maggioranza governativa preferiscono non disturbare l’austero manovratore europeista, in questo caso libero di comportarsi da sprecone per di più dimentico degli interessi strategici dell’Europa. Esiste un supercaccia, l’F-35 Joint Strike Fighter, che un editoriale del New York Times, citando la Government Accountability Office, definisce «dalle prestazioni deludenti», con costi superiori del 40% rispetto a quelli calcolati, e che non sarà in piena produzione prima del 2019 (con sei anni di ritardi rispetto al previsto). La Germania ha deciso che non se lo può permettere: mentre la Francia produce in proprio, Berlino punta tutto sull’Eurofighter costruito in Europa, da ingegneri ed operai europei, con caratteristiche diverse ma non tali da precluderne l’uso in missioni multilaterali alla sua portata. Più di un governo si è fermato a riflettere: quello canadese tentenna di fronte all’impietoso rapporto dei suoi revisori contabili. Danimarca e Olanda pensano ad una sospensione del programma per vederci chiaro. Persino il governo di Sua Maestà Britannica, solitamente ligio agli ordini che provengono da Washington, si vede costretto a ridurre i propri acquisti. Insomma, alcuni privilegiano la cooperazione europea. Altri pensano ai conti in rosso, a cominciare dallo stesso Pentagono, impegnato in una dura battaglia sui costi con la Lockheed che produce l’aereo.

F35 critical area L’esecutivo italiano, come noto impegnato in un’altrimenti spietata revisione della spesa, riduce l’ordine di quei velivoli da 130 a 90, ma difende con unghie e denti un acquisto che, prima dell’aumento di costi in corso, ci sarebbe costato circa 10 miliardi di euro negli stessi anni in cui, in virtù del fiscal compact imposto dalla Germania, dovrà ridurre del 50% il debito accumulato.
I ritorni strategici e tecnologici sono inesistenti perché, salvo qualche eccezione a favore dei britannici, Washington è stata esplicita nel porvi un embargo. Quelli industriali dubbi e occupazionali minimi. Il ministro Di Paola, in quanto ex capo di stato maggiore della Difesa, in fatto di F-35 ha un conflitto d’interesse chiamiamolo tecnico-politico. La portaerei da lui ma non soltanto da lui voluta rischia di arrugginire prima che quei velivoli siano pronti per l’uso. Senza costosi riassetti, infatti, la Cavour può operare soltanto aerei a decollo corto e atterraggio verticale: ora gli AV-8B Harrier, in futuro solo gli F-35B (prezzo attuale, ma in continua crescita: 106,7 milioni di euro l’uno) che saranno acquistati solo nel 2015 e resi operativi non prima del 2018, secondo quanto recentemente annunciato dal gen. De Bertolis, segretario generale della Difesa.
Le forze politiche in questione, salvo eccezioni, fino alla battuta liberatoria di Bersani, non hanno aperto bocca, perché precedenti maggioranze trasversali di cui facevano parte hanno investito dei bei soldi nel progetto, tra i 2 e i 2,5 miliardi, con scarsissimi ritorni industriali e di lavoro. Non si sono accorti che la guerra fredda è finita e che l’Italia, come altri suoi alleati, potrebbe anche non preoccuparsi troppo se qualcuno a Washington aggrotta le sopracciglia.
Che fare? Da un punto di vista strettamente economico, non finanziare sprechi con altri sprechi. Meglio perdere i soldi investiti che moltiplicare quelle perdite almeno per cinque, tutelando quanto i cittadini e contribuenti italiani, fustigati dal governo Monti, si sono conquistati in fatto di credibilità internazionale.

Lascio immaginare quali potrebbero essere i commenti a Berlino in caso contrario, anche in riferimento alle vicissitudini di Finmeccanica. Spese di presunto prestigio nazionale non sono perdonabili in questo contesto sociale. Sul piano politico si tratta, invece, di tutelare un impegno strategico europeista. Da un punto di vista strettamente militare l’Eurofighter, con compiti di difesa aerea, è perfettamente in grado di coprire esigenze di attacco al suolo, già testate dagli inglesi in Libia e tuttora in fase di perfezionamento.
E i partiti? La futura di coalizione di centro-sinistra? Mi ha fatto piacere che Bersani abbia messo i piedi nel piatto. Ora occorre una convinta autocritica del passato, con una Maastricht della difesa che diminuisca costi e ed aumenti un efficacia integrata corente con obiettivi europei.