Riparte l’azione NO F-35: “Governo e Parlamento non spendano 10 miliardi per nuovi caccia da guerra”

Presentate a Roma le iniziative della società civile contro la partecipazione italiana al programma Joint Strike Fighter.
Anche il Governo Conte ha sottoscritto contratti per la continuazione degli acquisti e nei prossimi mesi dovrà essere presa la decisione definitiva.
11 aprile 2019
Fonte: Rete Italiana Disarmo - Campagna Sbilanciamoci - Rete della Pace - 11 aprile 2019

Presentate a Roma le iniziative della società civile contro la partecipazione italiana al programma Joint Strike Fighter.
Anche il Governo Conte ha sottoscritto contratti per la continuazione degli acquisti e nei prossimi mesi dovrà essere presa la decisione definitiva. In gioco fin da subito 3,7 miliardi che potrebbero arrivare a 10 (per solo acquisto). Se non si cambierà rotta. Le alternative possibili: welfare, lavoro, istruzione, diritti, ambiente.

A dieci anni di distanza dal voto in parlamento (dell’aprile 2009) che aveva sancito la partecipazione italiana al progetto JSF è stata rilanciata oggi, in una Conferenza Stampa presso la Camera dei Deputati, la mobilitazione della società civile italiana contro l’acquisto dei cacciabombardieri F-35. Ripresa congiuntamente da Rete italiana per il Disarmo, Sbilanciamoci! e Rete della Pace la nuova fase di mobilitazione (che nelle prossime settimane vedrà concretizzarsi diverse iniziative a livello nazionale e territoriale) ha come obiettivo la richiesta a Governo e Parlamento dello stop definitivo della partecipazione italiana al programma Joint Strike Fighter. Un impegno che, dopo i primi 4 miliardi già spesi e almeno 26 velivoli già acquisiti o in produzione, costerà se confermato almeno altri 10 miliardi di euro, destinati ad aerei d’attacco e con capacità nucleare costellati da problemi e ritardi.

“Oggi abbiamo fatto un appello ai Parlamentari di tutti gli schieramenti: dite basta a questa scelta insensata a problematica presentando e discutendo entro l’estate una Mozione per il blocco definitivo e completo del programma JSF” ha commentato Giulio Marcon coordinatore della campagna Sbilanciamoci! Le organizzazioni della società civile che oggi hanno rilanciato la “mobilitazione NOF35” chiedono invece di destinare tali fondi a necessità più urgenti per l’Italia: welfare, lavoro, istruzione, diritti, ambiente.

I soldi che si dovrebbero ancora spendere per gli F-35 (almeno 10 miliardi di euro secondo le stime della campagna, sempre precise, documentate e confermate in tutti questi anni di azione) nei prossimi 10 anni si potrebbero invece investire in: 100 elicotteri per l'elisoccorso in dotazione ai principali ospedali, 30 canadair per spegnere gli incendi durante l’estate, 5.000 scuole messe in sicurezza a partire da quelle delle zone sismiche e a rischio idrogeologico, 1.000 asili nido pubblici a favore di 30.000 bambini oltre a 10.000 posti di lavoro per assistenti familiari nel settore della non autosufficienza.

“Oggi rilanciamo la campagna contro l'acquisto dei cacciabombardieri F-35 perché è ora di dire basta a queste scelte che tolgono risorse allo sviluppo sostenibile ed ai reali bisogni del Paese, e non fanno altro che alimentare la corsa al riarmo, a nuove guerre, a nuove dittature. E' ora di costruire la pace con l'economia di pace e con la difesa

civile e nonviolenta, con il rifiuto della guerra e con la messa al bando delle armi nucleari (tutto l’opposto di un investimento in un aereo capace di sganciare ordigni nucleare) - commenta Sergio Bassoli della segreteria di Rete della Pace - Dobbiamo garantire l'accesso ai diritti fondamentali ed universali a tutte le persone perciò il Parlamento deve ascoltare e scegliere da che parte stare: dalla parte dei bisogni del paese e della pace o dalla parte dei poteri forti e dell'industria della guerra?”.

Durante la conferenza stampa è stata illustrata la situazione attuale del programma JSF e gli impegni assunti dall’Italia, con le possibili prospettive legate alla decisione finale di acquisto: “Tra il 2019 e il 2020 anche il nostro Paese dovrà decidere se sottoscrivere un contratto di acquisto pluriennale, diverso dagli acquisti annuali flessibili che sono stati condotti finora - sottolinea Francesco Vignarca di Rete Disarmo - per cui siamo allo snodo fondamentale: dopo tale passaggio non sarà più possibile tornare indietro e risparmiare alcun euro, anzi il continuo lievitare dei costi ci costringerà ad aumentare anche i fondi attualmente stanziati. Facciamo dunque appello a chi ha sempre dichiarato la propria contrarietà agli F-35: abbiate coraggio di una decisione che porterà benefici veri al Paese”.

Le organizzazioni della società civile hanno inoltre evidenziato come nella seconda parte del 2018 siano stati almeno 6 i nuovi contratti sottoscritti dall’Italia in prosecuzione all’acquisto di lotti recenti di F-35. In combinazione con documenti della Difesa (come il DPP 2018) ciò conferma che anche il Governo Conte così come gli Esecutivi precedenti ha firmato contratti che configurano l’acquisto di nuovi aerei e la spesa di centinaia di milioni di denaro pubblico. Tutto questo, a meno di smentite o spiegazioni alternative che non sembrano plausibili, suggerisce dunque l’intenzione del Governo Conte di andare a completare quantomeno la Fase 1 di acquisizione relativa alla produzione annuale a basso rateo, per un fabbisogno complessivo di 7 miliardi di cui circa 3,7 previsti per i soli velivoli ordinati e prodotti dal 2018 al 2023.

Alternative agli F35

La partecipazione italiana al programma di cacciabombardieri con capacità nucleare F-35

Cronologia, dati ed analisi

La partecipazione italiana al programma Joint Strike Fighter avviene come partner di secondo livello e fin dall’inizio del percorso di studio, progettazione, realizzazione di questi cacciabombardieri di quinta generazione con capacità nucleare.

Dopo le fasi preliminari che hanno comunque visto l’esborso da parte italiana di alcune centinaia di milioni di euro la decisione definitiva di adesione al progetto (sulla base del Memorandum of Understanding firmato nel 2007) è avvenuta con votazioni delle commissioni competenti di Camera e Senato nell’aprile 2009.

Grazie anche all’azione informativa e di pressione sull’opinione pubblica e le istituzioni di campagne e mobilitazioni volute dalla società civile italiana la questione degli F-35 è diventata di grande rilievo tra il 2011 e 2012, in corrispondenza con l’inizio della crisi economica. In quel frangente l’allora Governo Monti decise una riduzione del profilo di acquisizione con numero totali di velivoli previsti passato da 131 a 90 (60 in versione convenzionale e 30 in versione a decollo corto e atterraggio verticale da imbarcare sulla portaerei Cavour), pur non andando mai a toccare in maniera definita e chiara il budget complessivo del progetto.

Lo sviluppo del caccia F-35 e del programma Joint Strike Fighter non è una classica produzione iniziata dopo la definizione di un prototipo affidabile ma prevede, secondo il meccanismo della concurrency, l’inizio delle prime fasi di produzione quando ancora il progetto non è stato completamente definito e necessita quindi di aggiornamenti e upgrade.

Il tema dell’F-35 ha assunto grande importanza nella campagna elettorale per le politiche del 2013, con praticamente tutti gli schieramenti che si sono detti non convinti o addirittura contrari alla prosecuzione del programma stesso.

Nella XVII Legislatura iniziata nel 2013, sempre grazie alla pressione delle campagne della società civile, il dibattito sugli F-35 si è fatto subito rilevante raggiungendo nel 2014 l’Aula di Montecitorio con il voto anche su alcune mozioni, di diversa natura. Venne approvata quella presentata dall’allora maggioranza (prima firma Scanu) con la previsione di un dimezzamento del budget destinato al progetto rispetto alle stime iniziali (“...impegna il Governo a riesaminare l'intero programma F-35 per chiarirne criticità e costi con l'obiettivo finale di dimezzare il budget finanziario originariamente previsto, così come indicato nel documento approvato dalla Commissione parlamentare difesa della Camera dei deputati a conclusione dell'indagine conoscitiva sui sistemi d’arma...”).

I Governi succedutisi nella Legislatura (in particolare Renzi e Gentiloni) hanno ribadito nelle proprie dichiarazioni il loro allineamento a tale decisione parlamentare, situazione però che viene smentita dai fatti e dalle decisioni concretamente prese: non è infatti avvenuto un dimezzamento effettivo dell’impegno finanziario italiano nel programma ma piuttosto uno spostamento della tempistica degli acquisti. Configurando quindi un risparmio nell’immediato che però non corrisponde ad un reale un risparmio complessivo perché il totale delle acquisizioni e degli stanziamenti non è mai stato toccato dal 2012.

Per giustificare tale posizione i vertici della Difesa (sia militari che civili, in particolare con dichiarazioni dell’allora Ministro Roberta Pinotti) hanno parlato di un dimezzamento del “costo complessivo dell’operazione F-35 per le casse dello Stato” secondo un meccanismo di

“compensazione” che avrebbe dovuto consentire di “recuperare l’impatto economico del programma” grazie ai ritorni economici per le industrie italiane. Un ragionamento che non pare corretto data la natura pubblica dei costi e quella privata dei ricavi, criticato dalla stessa Corte dei Conti in una propria analisi del programma JSF (datata 2017) che ha parlato di “illogicità concettuale di una compensazione della spesa a carico del bilancio Difesa con poste attive in favore dell’industria”.

Nel 2016 il Ministero della Difesa pubblica il nuovo profilo di acquisizione ufficiale del programma Joint Strike Fighter che ancora oggi costituisce il riferimento formale per la scansione temporale dei contratti annuali da controfirmare.

Dopo due anni e mezzo di sostanziale sospensione (dovuta come detto al dilazionamento temporale degli acquisti) nel 2017 il programma di acquisizione è ripreso a pieno ritmo. Ad inizio 2018 quindici aerei risultavano acquistati (dieci già consegnati e cinque solo ordinati; tutti modelli pre-serie dei lotti produttivi iniziali a basso rateo - LRIP in inglese - dal 6° all’11°) e nel corso del 2018 erano previsti ordinati per tre velivoli del 12° lotto e firma di contratti per 727 milioni di euro. Cifra poi salita nella realtà a 745 milioni (per recupero fondi non spesi nel 2017) come certificato dal Documento di Programmazione Pluriennale della Difesa pubblicato ad ottobre 2018.

Secondo il profilo di acquisizione del 2016 negli anni successivi al 2018 gli ordini sarebbero dovuto procedere in lenta progressione (quattro aerei previsti in ordine per il 2019 per una spesa di 747 milioni), ma nel giugno 2017 la Difesa italiana ha poi iniziato a definire una netta accelerazione delle acquisizioni italiane, sottoscrivendo negli Stati Uniti un accordo preliminare (Memorandum of Understranding) che formalizza la procedura negoziata senza bando (Class Justification and Approval) pubblicata dal Pentagono a metà 2017 che autorizza la stipula con Lockheed Martin di un acquisto in blocco (Block Buy) internazionale relativo ai lotti produttivi 12°, 13° e 14°. Un impegno d’acquisto che per l’Italia riguarda, appunto, diciassette aerei in tre anni: i tre del 12° lotto nel 2018 già previsti nel profilo d’acquisizione attuale, cinque del 13° lotto nel 2019 e nove del 14° lotto nel 2020 per un impegno di spesa ufficiale di circa 1,3 miliardi di euro, che diventano 3 miliardi calcolando tutti i costi di procurement.

Contro questo impegno di acquisto in blocco si è chiaramente espressa la Corte dei Conti: «Appare rischioso, oltre che contrario alle indicazioni parlamentari, impegnarsi fin d’ora in un block buy, contro il quale si è già pronunciato l’organo di controllo statunitense (il GAO, ndr), stante il mancato completamento dei test destinati a dare una configurazione stabile al design ingegneristico, e a chiudere definitivamente la fase di sviluppo». La Corte ricorda poi il giudizio negativo del GAO americano su questa accelerazione, che verrebbe decisa dal Pentagono e sostanzialmente imposta a tutti i partner internazionali del programma.

La programmazione così prevista è stata messa in discussione dall’avvento del Governo Conte, composto anche dal quel Movimento 5 Stelle che per anni ha avuto una posizione di netta contrarietà alla partecipazione italiana al programma JSF. Per molti mesi i vertici politici della Difesa (dalla Ministro Elisabetta Trenta in giù e anche per voce del leader politico Di Maio) hanno ribadito la necessità di uno stop e di una nuova valutazione del programma, anche con ipotesi di riduzione del profilo di acquisto. I vertici militari hanno invece continuano a ribadire la necessità di tali aerei per l’operatività futura sia di Aeronautica che di Marina.

Dopo l’avvento del Governo Conte l’ultima notizia in qualche modo ufficialmente confermata (ma non da Roma) sulla partecipazione italiana al programma F-35 è della metà 2018 quando l’Osservatorio Milx sulle spese militari ha rivelato i dettagli di un contratto siglato dal Pentagono con Lockheed Martin e contenente anche un acconto per l’ordine italiano di un nuovo pacchetto di velivoli. Una piccola cifra (circa 10 milioni di dollari) se rapportata al costo complessivo del programma ma che inserisce l’Italia nel lungo processo contrattuale di conferma per aerei relativi ai Lotti di produzione 13 e 14; facendo riferimento all’ultimo profilo di acquisizione ufficiale si tratterebbe di almeno altri otto F-35 (di cui sei nella versione base).

In caso di conferma delle successive fasi contrattuali tali otto velivoli costeranno complessivamente da un minimo di 730 milioni di dollari (se si crede alle previsioni dei produttori, 85 milioni di dollari per la versione convenzionale e 110 per quella ad atterraggio verticale) ad un massimo di circa 1,3 miliardi di dollari tenendo conto di stime più complete, aggiungendo i costi del motore e degli interventi correttivi di retrofit, e realistiche (150 milioni di dollari per la versione A e 180 per quella B).

Per mesi la portata effettiva (politica e tecnica) di tali contratti (effettivamente sottoscritti dal Governo Gentiloni ormai in scadenza e addirittura con firma avvenuta dopo le elezioni) è stata ridimensionata dagli esponenti del Governo Conte -che hanno sempre parlato di accordi preliminari non confermati - nell’ottica della già citata politica di “ridefinizione” del programma JSF. Tale conferma sembra poi effettivamente essere stata data: sono infatti almeno sei i contratti sottoscritti dal JPO (l'ufficio a Washington che coordina il programma JSF) a partire da Giugno 2018 e che coinvolgono anche non meglio individuati “partner internazionali” (come è l'Italia, che non è un semplice cliente del progetto ma ha preso parte fin dal 1996 anche alle fasi di sviluppo). Poiché in tali contratti viene specificata anche la quota di lavorazione (sempre attorno al 4%) effettuata in Italia, in particolare nell'impianto FACO di Cameri (No) è forte il sospetto che tra gli acquirenti internazionali ci sia anche il nostro Paese. I dettagli dei contratti che riguardano i partner internazionali sono di natura differente e fanno riferimento a lotti già iniziati in passato, ma almeno uno, quello dal controvalore di 22 miliardi di dollari firmato lo scorso 14 novembre, dovrebbe essere relativo anche a 89 “nuovi” aerei destinati ai partner internazionali.

Le notizie provenienti dagli USA vanno a corroborare quanto si poteva dedurre dal Documento di Programmazione Pluriennale della Difesa dell'ottobre 2018, nel quale veniva specificato un fabbisogno complessivo di poco superiore ai 7 miliardi di euro ma relativo “alla sola Fase 1 (associata alla produzione a basso rateo annuale) di prevista conclusione nel 2020. La Fase 2, qualora confermata, associata alla produzione pluriennale (cd Multi Year) di previsto avvio nel 2021 comporterà il finanziamento di talune componenti a lunga lavorazione dei velivoli ad essa associati già a partire dal 2019, con contribuzioni al momento ancora non definite”. La combinazione dei due set di documenti confermerebbe l’intenzione anche del Governo Conte di andare a completare quantomeno la parte di profilo di acquisizione relativa alla produzione annuale a basso rateo, per un fabbisogno complessivo di 7 miliardi di cui circa 3,7 previsti per la sola acquisizione di velivoli dal 2018 al 2023. Se dunque l’acquisizione relativa ai lotti 12, 13 e 14 verrà, come sembra, completata con i necessari passaggi successivi il totale degli F-35 comprati dall’Italia si dovrebbe attestare su almeno 26 velivoli, di cui 10 già consegnati (nove all’Aeronautica e uno alla Marina) e 8 già attualmente in produzione.

Tutto considerato, qualsiasi eventuale ripensamento del Governo potrebbe al massimo portare ad una (comunque considerevole) riduzione del profilo di acquisizione che permetta quantomeno la formazione di un gruppo di volo per la Marina di velivoli in versione B (STOVL - decollo corto ed atterraggio verticale) cioè 15 esemplari, e di un gruppo di volo convenzionale per l’Aeronautica. Se dovesse prevalere questa prospettiva di risparmio si tratterebbe forse di comprare altri 20-25 esemplari, considerando come quelli acquisiti con i primi lotti non potranno mai raggiungere uno standard operativo accettabile.

Nelle sue stime il Pentagono prevede un costo complessivo del programma F-35 (2.470 velivoli in tutto) pari a oltre 406 miliardi di dollari, quindi con un costo unitario medio di acquisizione di circa 164 milioni di dollari, pari a circa 140 milioni di euro. Stando alle cifre contenute in diversi documenti contabili Difesa italiana e nella già citata relazione della Corte dei Conti il costo medio ad aereo per il nostro Paese dovrebbe essere almeno di 155 milioni di euro sempre al netto dei costi aggiuntivi di retrofit (vedi dopo). Tale cifra trova confermata nel valore della recente proposta di vendita di 34 F-35 al Belgio per 6,53 miliardi di dollari, quindi 192 milioni di dollari ad aereo, pari appunto a 155 milioni di euro.

In circa dieci anni il costo unitario degli F-35 è già aumentato di 40 milioni di euro in termini nominali, di quasi 30 milioni in termini reali. Infatti, nel 2009, quando il Parlamento autorizzò l’acquisto degli F-35, il costo previsto di ogni velivolo era di 115 milioni, equivalenti a 127 milioni rivalutati ad oggi. Se l’incremento dei costi del programma dovesse essere come quello del programma Eurofighter nel 2029 l’F-35 potrebbe arrivare a costare almeno altrettanto, non meno di 215 milioni di euro (di oggi) ad aereo. Ciò significa che l’intero programma F-35 potrebbe arrivare a costare non i 14 miliardi previsti oggi, ma almeno 19 miliardi di euro, senza contare i miliardi in più da pagare per i costi, oggi imprevedibili, di retrofit. E senza contare i già citati 35 miliardi di euro (almeno) di costi operativi e di supporto logistico per i 30 anni di vita dei 90 aerei italiani.

Ad oggi comunque le nostre organizzazioni continuano a prevedere comunque una stima (conservativa) per il costo complessivo dei novanta cacciabombardieri F-35 che l’Italia prevede

di comprare dell’ordine di grandezza di quanto da sempre valutato: almeno 14 miliardi di euro (di cui oltre 4 già pagati). Lo stop completo al programma JSF potrebbe quindi configurare un risparmio per le casse dello Stato di almeno 10 miliardi di euro in solo acquisto (oltre al risparmio sui costi di mantenimento). E’ per questa cifra che prevediamo e proponiamo utilizzi alternativi.

Nel corso degli anni e anche di recente sono poi state numerose le problematiche tecniche riguardanti i velivoli che, anche per la struttura particolare del programma configurato secondo il modello di concurrency, hanno comportato enormi ritardi, crescita di costi, abbassamento degli standard previsti, necessità di retrofit. Non è possible in questa sede entrare nel merito dei numerosi problemi riscontrati (in particolare dalle strutture di monitoraggio del Pentagono come il DOT&E e del Congresso USA come il GAO) che però vanno assolutamente considerati come elemento rilevante per le decisioni che Governo e Parlamento dovranno prendere a riguardo degli F-35.

Come già detto la concurrency è il discusso sistema per cui si acquistano velivoli pre-serie prima che siano conclusi test e collaudi, con inevitabili costi supplementari di retrofit per porre rimedio agli errori di progettazione. Costi così elevati da indurre il gli stessi USA a considerare la possibilità5 di scartare (cioè smantellare e utilizzare per pezzi di ricambio) i primi 189 F-35 acquistati poiché costerebbe troppo riparare le centinaia di difetti hardware e software necessari a rendere questi aerei utilizzabili. Lo stesso destino potrebbe toccare anche ai primi otto F-35 acquistati dall’Italia per 1,2 miliardi di euro (150 milioni l’uno). Se i futuri costi di retrofit rimangono “imponderabili”, ad oggi si può solo sottolineare che quelli già previsti per i velivoli del 9°lotto produttivo ammontano a 25 milioni di euro ad aereo.