La discussione alla Camera sulla mozione "NO F35"

Testo stenografico della seduta di lunedì 24 giugno
Fonte: Camera dei Deputati - 25 giugno 2013

Camera dei Deputati Riportiamo di seguito il testo stenografico completo realtivo alla discussione delle mozioni Marcon, Spadon, Beni, Sberna ed altri n. 1-00051 concernente la partecipazione italiana al programma di realizzazione dell'aereo Joint Strike Fighter-F35 (ore 16).

Il nostro monitoraggio sulla discussione e le votazioni sarà continuo e puntuale

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  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Marcon, Spadon, Beni, Sberna ed altri n. 1-00051concernente la partecipazione italiana al programma di realizzazione dell'aereo Joint Strike Fighter-F35 (Vedi l'allegato A –Mozioni)
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato nel calendario. 
  Avverto che è stata presentata la mozione Giorgia Meloni ed altri n. 1-00118 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni. 
  È iscritto a parlare il deputato Airaudo, che illustrerà anche la mozione n. 1-00051 di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  GIORGIO AIRAUDO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la mozione che oggi presentiamo chiede a questo Parlamento di evitare una spesa inutile all'intero Paese cancellando la partecipazione italiana al programma di realizzazione dell'aereo Joint Strike F35. 
  Lo chiediamo perché non serve alla nostra difesa nazionale, nel rispetto del dettato costituzionale e della politica estera italiana, un cacciabombardiere di quinta generazione, capace di trasportare anche ordigni nucleari, con caratteristiche di bassa rilevabilità da parte dei sistemi radar. 
  Lo chiediamo perché nell'essere in questo programma partner di seconda fascia con gli Stati Uniti e altri 8 Paesi nella realizzazione di 3.173 velivoli per un costo complessivo stimato di 396 miliardi di dollari, anche se nessuno, allo stato attuale, è in grado di quantificare il costo finale dell'intero progetto e quindi di ogni singolo aereo, tale costo oggi è stimato intorno – è una stima potenziale – ai 190 milioni di dollari. Il nostro Paese, essendo noi fornitori di seconda fascia, non ha nessun trasferimento di tecnologie per partecipare a questo programma, non partecipa allo sviluppo del prodotto, quindi non acquisiamo né tecnologie di prodotto, né tecnologie di processo. Lo stesso nuovo stabilimento di Cameri è un lay out clone di uno stabilimento Lockheed negli Stati Uniti, neanche quello facciamo noi. 
  Lo chiediamo ancora perché la ricaduta occupazionale è nella migliore delle ipotesi puramente sostitutiva e siamo lontanissimi dai 10 mila posti di lavoro ipotizzati nel nostro Paese al varo del progetto. 
  Per gli attuali 90 velivoli, ad oggi preventivati, sono destinati a regime 700 addettiPag. 45al montaggio finale e 1.100 per la produzione delle ali, ammesso che queste restino nei volumi noti visto che recentemente 800 ali sono state assegnate dalla Lockheed ad Israele alla nota Iai, una vera potenza del settore. 
  Ad oggi, risultano 50 neoassunti a Cameri e 150 lavoratori trasferiti dallo stabilimento di Torino Caselle in quel di Cameri in trasferta, con una forte preoccupazione che i due siti di Torino Caselle e di Cameri siano posti in alternativa, visto il numero finale di circa 1.800 addetti e vista l'assenza di prodotti e la destinazione alla sola produzione militare del sito di Torino Caselle. Quindi, non nuova occupazione, ma nella migliore delle ipotesi, trasferimento dei lavoratori di Torino in quel di Novara. 
  Molti altri Paesi stanno sospendendo, rinviando la decisione o cancellando le commesse per gli F35: la Gran Bretagna e la Danimarca decideranno solo dopo il 2015; l'Olanda ha avviato un'inchiesta parlamentare a seguito di un pesante voto contrario al progetto del suo Parlamento; l'Australia non userà gli F35 come piattaforma esclusiva; la Turchia ha rinviato l'acquisto dei primi F35; la Norvegia ha minacciato di ripensare le sue scelte; la Danimarca riaprirà la gara solo dopo il 2015. In Canada, in particolare, il ripensamento nasce dalle polemiche dovute alle omissioni sui costi fatte dal Governo. Uno studio indipendente (Kpgm) ed altri organi di controllo pubblici hanno, infatti, stabilito che il costo complessivo, in quarant'anni, includendo anche l'uso e la manutenzione, è di oltre 45 miliardi di dollari, tre volte le previsioni fatte dal Governo canadese. I quasi 400 veicoli che a questo punto vengono a mancare rispetto alle ipotesi iniziali, aumenteranno e faranno lievitare i costi. Nel programma, inoltre, oltre all'inarrestabile livello dei costi dovuti a suoi ritardi, si sono riscontrati, come è noto, molti problemi tecnici che, da un lato, portano a continui abbassamenti degli standard operativi e, dall'altro, ad un'ulteriore lievitazione dei costi, dal casco del pilota alla vulnerabilità ai fulmini, fino ai problemi al motore.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  GIORGIO AIRAUDO. Noi pensiamo che quel denaro, che noi abbiamo stanziato in un programma pluriennale, possa essere usato nell'ambito del bilancio dello Stato per ben altre opere: tutelare il patrimonio scolastico del nostro Paese – l'Unione delle province italiane ci dice che il 60 per cento delle scuole rischia di non riaprire il prossimo anno scolastico –, una campagna straordinaria pluriennale per costituire nuovi asili e un intervento, con queste risorse, che ridefinisca, a lato di questa rinuncia, la nostra politica di difesa e che definisca i sistemi d'arma necessari e che dica – e ho concluso – che il nostro Paese non vuole le armi nucleari sul proprio territorio e, quindi, non ha bisogno di aerei che le possono trasportare da qualche altra parte nel globo(Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Corda. Ne ha facoltà.

  EMANUELA CORDA. Signor Presidente, ogni giorno che passa aumentano le dichiarazioni e gli studi internazionali che denunciano i difetti, anzi, direi, l'inutilizzabilità degli F35, un progetto nato male e proseguito peggio e del quale non si riesce neanche a intravedere la conclusione, considerato che il suo coronamento, inizialmente previsto per il 2011, è stato spostato al 2018. Una storia infinita, insomma, che dura da oltre 15 anni e che ha divorato centinaia di miliardi di euro. La conoscete bene anche voi questa storia, cari colleghi – e mi rivolgo, in particolar modo, ai colleghi del PD –, e a maggior ragione, dovreste fare di tutto per porvi la parola fine. Dovreste farlo per il bene del Paese, così come avevate promesso in campagna elettorale. 
  Quanto conta la parola data ? Perché ve la state rimangiando, snobbando la nostra mozione ? Per che cosa, poi ? Per un prodotto, chiamiamolo così, che non solo non migliora le prestazioni dei suoi predecessori, ma sembra addirittura peggiorarle.Pag. 46Così si sono espressi i maggiori esperti internazionali da Pierre Sprey, il creatore degli F16, a Frank Kendall, uno dei principali consulenti del Pentagono, fino al capo dell'Autorità aeronautica militare degli Stati Uniti, il maggiore Richard Kock, che è arrivato a dire che non vorrebbe mai che i suoi uomini salissero su uno di quei velivoli, che non avrebbe le dotazioni minime necessarie per rispondere al fuoco nemico. 
  Ricordiamo che l'appalto per la costruzione degli F35 è in capo all'americana Lockheed Martin, un colosso multinazionale che vanta un fatturato di quasi 50 miliardi di dollari all'anno, che dà lavoro a centinaia di migliaia di americani e che, per il 90 per cento, vive e prospera grazie alle commesse del Dipartimento della difesa americano. Eppure, proprio gli americani sono fra i più critici nei confronti di questo progetto. 
  Non credo che in Italia si sarebbe mai visto un vertice militare capace di parlare come il maggiore Kendall, che evidentemente ha a cuore la sicurezza dei suoi uomini e dei suoi concittadini e non vorrebbe che il suo Governo continuasse a buttare centinaia di miliardi di dollari per un progetto che, ormai è chiaro, è fallimentare. Non lo diciamo noi, lo dicono per primi gli americani, lo dicono vari studi commissionati proprio dal Pentagono e, in particolare, quello della Rand Corporation, una delle società di consulenza militare più importante al mondo che, prima, ha stroncato il modello a decollo verticale e, recentemente, ha stroncato anche quello a decollo convenzionale. Viene criticata la scarsa visibilità, l'inefficienza del casco tecnologico e dei radar ma anche l'assetto, l'autonomia di volo e non solo. È stato documentato che, allo Stato, la manutenzione di questi velivoli verrebbe a costare più del 40 per cento rispetto ai caccia attuali. Dinnanzi a tutto questo, il Segretario della Difesa Robert Gates è arrivato a dire che se la Lockheed non risolverà tutti questi problemi entro due anni – l'azienda ha già operato oltre 800 modifiche al progetto iniziale – il Governo americano ritirerà la sua richiesta di acquisto. Ma se addirittura gli americani che pure, hanno lanciato il progetto, hanno l'appalto principale e che quindi avrebbero, in teoria, tutti i vantaggi a portarlo a compimento, potrebbero rinunciare all'acquisto, come è possibile che, in Italia il Governo e il Parlamento abbiano ancora dubbi ? È superfluo ricordare ancora una volta, signori colleghi, che i costi preventivati inizialmente sono più che raddoppiati e anche con la riduzione del numero di velivoli da acquistare la spesa per lo Stato sarà enorme e, soprattutto, incalcolabile. Questo è, a nostro parere, l'aspetto più incredibile. Il nostro è un movimento pacifista o, più semplicemente, rispetta davvero lo spirito e la lettera della nostra Costituzione, a differenza di tutti coloro che in quest'Aula si riempiono la bocca elogiandola e, poi, tutti i giorni, la tradiscono cinicamente nei suoi aspetti essenziali. Ma se anche si ritenesse che produrre e acquistare questo tipo di armi fosse necessario, o addirittura vantaggioso, come si può pensare di imbarcarsi, specie in un periodo di crisi come questo, in una operazione economica per la quale non si può fare alcun calcolo del rapporto costi/benefici ? È assurdo: di volta in volta avete provato a calcolare quali dovrebbero essere i vantaggi per il Paese, in termini di commesse, posti di lavoro, sostituzione di tecnologie obsolete, ma se anche queste previsioni fossero credibili, e non lo sono mai state, i costi continuano ad aumentare e non si ha la minima idea di quanto potrebbero gonfiarsi. Ancora una volta gli americani sono più seri di noi: i ripetuti aumenti della previsione di spesa, infatti, hanno fatto scattare negli Stati Uniti, la legge Nunn-McCarthy, che obbliga il Congresso a sottoporre a nuova deliberazione un impegno di spesa che, nel frattempo, è aumentato di oltre il 25 per cento. Ebbene, in Italia ci troviamo dinanzi a previsioni di spesa che raddoppiano eppure sembra che né i partiti principali, né tanto meno il Governo, intendano davvero tirarsi fuori da questa avventura assurda, incostituzionale e rovinosa.Pag. 47
  A chi replica che, annullando interamente l'ordine, rischieremmo delle penali, rispondiamo che mente, perché il Memorandum of Understanding non prevede penali, infatti altri Stati hanno rivisto i loro impegni. A chi ci dice che, in questo modo, l'Italia risulterebbe «inaffidabile» rispondiamo che, anzitutto, è inaccettabile che un presunto prestigio internazionale pesi maggiormente delle sofferenze e dei sacrifici che sta affrontando il nostro popolo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Noi pensiamo che col prestigio internazionale non si mangi, non si curino i malati, non si costruiscono gli asili; inoltre, per quale ragione dovremmo risultare inaffidabili proprio noi, quando tanti altri Paesi, e per primi gli USA, stanno contestando il progetto, ipotizzando di defilarsi ? La verità è che, come sappiamo, attorno all'industria degli armamenti, specie attorno al mondo delle commesse internazionali, si muove un universo di commissioni e corruzione spaventoso, ed è per il vantaggio di poche migliaia di industriali, militari, politici e mediatori, che vengono alimentate queste colossali bolle speculative degli armamenti, che non hanno nulla a che fare con reali esigenze di difesa e non hanno, neanche, a che fare con l'opportunità di sviluppare tecnologie e dare posti di lavoro; infatti, se questo fosse il vero obiettivo, ci sono innumerevoli campi civili in cui l'industria e il commercio internazionale potrebbero investire in conoscenza e posti di lavoro, producendo beni che migliorino la qualità della vita, e non le armi, che sono l'esatto opposto. 
  Vorrei, infatti, sottolineare, che le stime fatte in più occasioni sulle presunte ricadute positive per l'Italia, in relazione all'adesione al progetto F-35, si sono sempre rivelate errate, e in ogni caso hanno evidenziato che non c’è alcun vantaggio, specialmente in termini di posti di lavoro. Si tratta com’è evidente di una follia. Semmai qualcuno ci guadagnerà, saranno Finmeccanica e le sue associate, ma guadagneranno, ancora una volta, a spese della collettività che pagherà a caro prezzo l'interesse di pochi a gestire commesse miliardarie che, lo ripetiamo, non avranno correlative ricadute positive sul nostro Paese. 
  Ci sembra odioso utilizzare il pretesto della creazione di posti di lavoro per giustificare gli investimenti in industrie belliche che, con una seria politica industriale, potrebbero essere gradualmente riconvertite in produzioni civili. Il nostro Paese ha una tradizione di innovazione industriale e tecnologica straordinaria. Più precisamente: vorremmo che patrimoni di professionalità e intraprendenza di aziende come la Beretta, Oto Melara e Aermacchi, fossero messe al servizio della vita e non della morte. È chiedere troppo ? No, è chiedere il minimo, in un Paese civile, nel Paese dell'articolo 11. 
  Nelle scorse settimane abbiamo effettuato delle viste ispettive presso alcune basi militari per meglio conoscere gli ambienti e confrontarci con essi. Nei breefing introduttivi ci è stato spiegato che gli investimenti sugli armamenti sono necessari per scongiurare eventuali attacchi. Dunque, ci si difende a prescindere, anche in assenza di minacce imminenti. Questa dovrebbe essere la ratio utile a giustificare le spese folle sugli armamenti: incutere timore per evitare l'offesa. A questo punto ci domandiamo: è dignitoso vivere in una condizione di perenne insicurezza ? Forse prima di domandarci il perché questo pianeta sia straziato dalle guerre dovremmo interrogarci sulla guerra che abbiamo dichiarato fin dal principio alla nostra e altre specie, o la guerra al nostro habitat. Siamo gli unici esseri viventi sulla terra che distruggono il proprio habitat. Poi ci vantiamo della nostra intelligenza. Ci autodistruggiamo forse per eccesso di intelligenza ? Io credo che la guerra sia dentro di noi. Prima faremo la pace con noi stessi, prima capiremmo che paura genera paura e che l'insicurezza genera mostri. Parafrasando Nietzsche, dico che, se continueremo a guardare a lungo in un abisso, l'abisso vorrà poi guardare dentro di noi. 
  Perché dunque noi vogliamo fermare questo progetto ? Dovremmo chiedere semmai perché voi altri, cari colleghi deputatiPag. 48– e mi rivolgo in particolar modo ai colleghi del PD, che tendono sempre a fare un passo avanti e quattro indietro –, non volete fermare questo progetto. Siete spaventati a morte, lo leggiamo ogni giorno nei vostri sguardi e nelle vostre parole. Vi chiediamo un atto di coraggio contro i cacciabombardieri di quinta generazione. Investite sul futuro dei nostri figli e sull'unico bene che non si può comprare: la vita (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Carlo Galli. Ne ha facoltà.

  CARLO GALLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la nuova situazione determinatasi con l'entrata in vigore della legge n. 244 del dicembre 2012, soprattutto dell'articolo 4, riconsegna al Parlamento la responsabilità primaria, in interazione dialettica con il Governo, non solo dell'analisi della situazione geopolitica internazionale, delle sfide strategiche che sovrastano il nostro Paese e della valutazione delle opportune misure per fronteggiarle, ma anche dei singoli sistemi d'arma dal punto di vista sia operativo sia delle compatibilità economiche. Il nesso fra politica e armi, fra politica e politiche della difesa e della sicurezza, dunque, si stringe. La pretesa autonomia della tecnica e degli specialismi cede il passo alla valutazione, alla decisione, al controllo della politica democratica. Il potere politico, nella sua forma istituzionale più alta, cioè nelle Camere, nelle quali la sovranità popolare si rappresenta, afferma la propria superiorità su ogni altro potere e su ogni altro interesse, su tecnostrutture, su complessi militari-industriali. 
  Difesa e sicurezza sono a tutti gli effetti concetti politici su cui la discussione pubblica è non auspicabile, ma doverosa. È dunque con legittima soddisfazione, per questo grande risultato che dobbiamo sempre più valorizzare, che oggi cogliamo una grande opportunità e affrontiamo una grande sfida. La questione degli F-35 sollevata dall'opposizione, ma ben presente anche al PD, affida al Parlamento e a questa Camera il compito, oggi urgente come non mai, di conoscere per deliberare, in piena libertà e in piena consapevolezza, su ogni aspetto degli interessi permanenti del Paese e sulla loro possibile armonizzazione. Si tratta di interessi interni tanto rilevanti da coinvolgere la stessa tenuta democratica della società, come l'esigenza di fronteggiare la crisi economica in presenza di una drammatica scarsità di risorse pubbliche oltre che private. L'esigenza, cioè, di dare una risposta politica credibile e rapida a un bisogno di lavoro che è anche un bisogno di speranza. 
  Una esigenza che non può essere mortificata, pena l'ulteriore discredito delle istituzioni, da spese inutili o avventate o scarsamente giustificabili, quale che sia l'ambito coinvolto. 
  E si tratta poi degli interessi esterni, di quelli cioè che nascono dal fatto che il nostro Paese è collocato in un contesto internazionale, fatto di opportunità ma anche di crisi e di minacce. È, infatti, ormai nozione comune e condivisa che la complessa serie dei fenomeni e dei processi che vanno sotto il nome generico di globalizzazione sia portatrice anche di rischi difficilmente controllabili, che sfidano le strutture ordinative internazionali. Rischi mobili, dinamismi potenti e sfuggenti, al cui pacifico controllo l'Italia contribuisce con la sua azione internazionale in ambito europeo e in ambito ONU, volta alla costruzione, in prospettiva, di un sistema globale in cui l'ingiustizia e l'oppressione abbiano meno spazio di quanto oggi non accada. 
  Politica è anche questa azione, volta a modificare nella direzione della giustizia e della civiltà, l'ambiente storico, politico ed economico internazionale. Questo ambiente, nel caso italiano, è soprattutto il cosiddetto « Mediterraneo allargato» (fino cioè all'Oceano indiano orientale), l'area dalla quale dipende di fatto la nostra economia. È un'area segnata profondamente da un arco di crisi complesse – economiche, politiche, religiose e demografiche – che non si può certo pensare diPag. 49risolvere con strumenti militari, ma dalla quale non si può pensare di chiamarsi fuori. Né si può fare totale affidamento sulla potenza militare e diplomatica statunitense, che sta spostando il proprio focus strategico verso il Pacifico e che è titolare di interessi non sempre coincidenti con quelli italiani ed europei. È quindi necessario che l'Italia sappia coniugare l'azione diplomatica, la proiezione di cooperazione – cioè il modo normale di funzionamento della nostra azione internazionale – con l'eventuale proiezione di forza, insieme agli alleati e nel quadro della legalità internazionale, contro le minacce che le possono provenire dall'esterno. 
  Del resto, è la stessa Costituzione a prescrivere che l'Italia sia un Paese pacifico, che cioè rinunci alla guerra come aggressione alla libertà altrui e come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Un'autolimitazione dello jus ad bellum, della sovrana disponibilità all'uso della forza, che la coscienza mondiale, almeno dalla Grande Guerra, ha maturato universalmente, e che è la condizione per la stessa esistenza dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e dell'Unione europea, che da un punto di vista storico appunto nelle immani tragedie di due guerre mondiali trovano la propria legittimazione ideale e pratica più radicale. 
  Nondimeno, benché la guerra tra Stati in Occidente e in Europa occidentale...

  PRESIDENTE. Deputato, dovrebbe concludere.

  CARLO GALLI. ... appaia, mi affretto, Signor Presidente, per molti versi una possibilità ridottissima, e benché le nostre forme politiche democratiche non siano orientate alla guerra come avveniva invece nella fase di vigenza del classico sistema westfaliano dell'Europa moderna, resta all'Italia, come Paese sovrano, pur collocato all'interno di un sistema di alleanze consolidate e in un'ottica europea occidentale, il dovere di proteggere i propri cittadini dalle minacce alla vita, ai beni, all'ordinato svolgimento della vita democratica, allo sviluppo economico del Paese. 
  E in quest'ottica e con questo spirito che l'Italia fa parte dell'Alleanza civile e militare del Nord Atlantico, è in questa ottica che oggi auspica e ricerca la collaborazione anche nella progettazione e nella produzione dei sistemi d'arma e dei concetti operativi, nell'ambito della difesa comune, con gli Stati che fanno parte dell'Unione europea e che fa ogni sforzo perché questa – che per storia e vocazione è soprattutto una potenza civile – trovi nondimeno anche l'unità della sua politica estera e di difesa e si superino nazionalismi, esclusivismi, diffidenze, egoismi statali duri a morire. 
  Mi avvio a concludere. Per entrare nello specifico, infine, è per ovviare all'obsolescenza della sua arma aerea che, ancora in questa ottica, l'Italia negli ultimi quindici anni ha partecipato, per una modesta quota percentuale, alla progettazione del caccia-bombardiere Lockheed F-35...

  PRESIDENTE. Deputato, dovrebbe concludere. È fuori tempo di due minuti.

  CARLO GALLI. In questo momento e in queste circostanze, una indagine conoscitiva condotta dalle Commissioni parlamentari competenti, cioè esteri e difesa, con piena libertà d'azione in tutte le direzioni e verso tutte le decisioni, in merito alle prospettive strategiche del Paese, alla sua sicurezza e, quindi, anche merito ai sistemi d'arma da adottare, tenuto conto della presente situazione economica, delle alleanze in cui ci collochiamo, delle connesse esigenze di interoperabilità, delle ricadute occupazionali che dalle diverse opzioni conseguano, è la migliore risposta ai legittimi, pressanti interrogativi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)...

  PRESIDENTE. Mi dispiace, deputato, le devo togliere la parola. La ringrazio. 
  È iscritto a parlare il deputato Rossi. Ne ha facoltà.

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  DOMENICO ROSSI. Signor Presidente, signor Ministro, colleghi, è chiaro che non si possono che condividere iniziative che sono volte a trovare risorse o ad affrontare problematiche sociali, quali quelle che ancora oggi sono purtroppo irrisolte. Parimenti, però, non possiamo non evidenziare come problemi quali quelli oggi in discussione non possono essere affrontati, se non a trecentosessanta gradi e privi di qualsiasi forma di demagogia. 
  Occorre innanzi tutto ricordare che l'efficienza del sistema di sicurezza e difesa di un Paese non sono solo indispensabili per garantire il reale sviluppo di una nazione, ma ne sono anche assetti primari di credibilità internazionale. Non credo che sia una novità: in quest'Aula abbiamo sentito molte volte che l'attuale quadro internazionale è caratterizzato da incertezza e instabilità, che vi sono sfide, rischi e minacce asimmetriche globali, che travalicano quelli che sono i confini nazionali e per i quali il nostro Paese sta contribuendo a varie missioni nel mondo, all'interno delle nostre principali organizzazioni di riferimento, come Unione europea, Alleanza atlantica e Organizzazione delle Nazioni Unite. In sintesi, lo scenario che abbiamo davanti, caratterizzato da una evidente instabilità e proprio nel bacino del Mediterraneo, fa chiaramente intendere l'esigenza di uno strumento di difesa nazionale efficiente, compatibile con le risorse assegnate, ma pienamente interoperabile e integrabile nei contesti multinazionali e multidisciplinari. 
  È con questi scopi, e in relazione alla congiuntura finanziaria del Paese, che è già stato programmato nell'arco del 2012 un pesante processo di revisione dello strumento militare, basato sull'eliminazione di ridondanze di comandi per esaltare l'operatività del rimanente: un ridimensionamento dello strumento militare globale definito con la legge n. 244 del 2012, di cui aspettiamo i decreti delegati a breve, numericamente rilevante, pari circa a 43 mila riduzioni di unità di personale militare e civile, e che ha portato le nostre Forze armate da 190 mila a 150 mila unità. 
  È in questo contesto di revisione riduttiva che si è posta a suo tempo l'esigenza di ammodernare la componente aero-tattica delle nostre Forze armate, oggi formata da tre linee diverse, AMX e Tornado per l'Aeronautica militare e AV-8B per la Marina militare. Tutto questo per un totale di 256 aerei, che nell'arco dei prossimi 15 anni usciranno progressivamente dalla linea operativa solo ed esclusivamente per vetustà. Già oggi, dei 236 Tornado e AMX più di un terzo non è operativamente impiegabile. 
  Per sostituire tali aerei, e non per assumere nuovi ruoli nei contesti internazionali, è stato individuato a suo tempo l’F-35: un velivolo multiruolo di quinta generazione, un velivolo che ha determinate caratteristiche stealth e net centriche e che garantisce interoperabilità con i Paesi NATO, che ha compiti ovviamente di carattere globale e che si inquadra in un programma ben più vasto di acquisizione della difesa nel mondo, con uno sviluppo contemporaneo di tre varianti, per le esigenze di 9 nazioni e 12 Forze armate. 
  È un progetto in cui l'Italia è partner di secondo livello, con una quota di sviluppo del programma circa al 4 per cento, a fronte del 10 per cento di USA e Regno Unito. Un progetto partito molti anni fa, e sviluppatosi progressivamente, come dimostra il Memorandum of Agreement firmato nel 1998 dal Governo D'Alema, con un investimento di 10 milioni di dollari; un progetto che ha avuto la conferma alla fase di sviluppo nel 2002 con il secondo Governo Berlusconi e un impegno di spesa di circa 1,2 miliardi euro; un programma sul cui andamento è stato più volte informato il Parlamento, nel 2004 e nel 2007 (Governo Prodi); per finire al parere espresso dalle Commissioni difesa di Camera e Senato l'8 aprile 2009 circa la fase di sviluppo del programma, in cui, in quel momento, venivano compresi addirittura 131 F-35
  Sottolineo che è stato proprio il Governo Monti nel 2012 a stabilire una riduzione complessiva dei velivoli, da 131 a 90, un avvio più graduale delle acquisizioni,Pag. 51minori oneri complessivi, e comunque salvaguardando le esigenze produttive della FACO. 
  La FACO è un progetto per cui è ormai in fase di apertura presso l'aeroporto militare di Cameri una linea di assemblaggio e di verifica per i velivoli destinati ai Paesi europei. 
  Ho delineato tutti questi passaggi perché mi è sembrato opportuno sottolineare come la sostituzione di sistemi d'arma così sofisticati non possa essere la risultante di un contratto estemporaneo, ma la conclusione di una programmazione compiuta, da attuare in numero di anni variabili. Occorre in sostanza riflettere sul fatto che la proposta di cancellazione del programma sposta il discorso non sull'effettiva utilità degli F-35, ma in primis sull'efficienza della nostra aeronautica militare. Ci si chiede cioè se alla fine questa debba esistere o meno, se debba avere gli stessi compiti attuali o no, pur con diversa potenzialità. 
  Con tutta sincerità, la stima e la differenza che porta ogni parlamentare, come si fa a mettere in discussione un programma partito un decennio fa e strutturato in tutte le sue parti da una collaborazione strettissima ? Un programma che instaura a Cameri una struttura all'avanguardia a livello europeo, che dà opportunità sia per la crescita occupazionale del sistema Paese che per l'indotto della regione, un programma che assicura la presenza del marchio italiano nella realizzazione, che dà certo occupazione a un numero pari a circa 10 mila lavoratori, che ci permette di metter mano a mezzi e tecniche che da soli non saremmo mai in grado di raggiungere. 
  È su questo punto che è opportuno fare alcune precisazioni, l'indotto include grandi aziende, piccole e medie imprese nelle maggiori regioni italiane mentre il ritorno tecnologico industriale è essenzialmente legato alla suddetta FACO, una FACO che darà un ritorno occupazionale primario – ditte che ricevono commesse dirette – e secondario – cioè ditte che producono macchine utensili per la produzione – stimato in circa 10 mila posti di lavoro, con 60 aziende nazionali, di cui 6 del gruppo Finmeccanica, ed il resto grandi, piccole e medie imprese. Un programma che al momento già dà un ritorno occupazionale di circa 1.060 posti di lavoro, che tra l'altro è ripartito in modo sufficientemente equo sul livello nazionale (56 per cento al nord, 17 per cento al centro e 27 per cento al sud). Dobbiamo altresì ricordare che la FACO, che sarà pronta nel 2014 per iniziare la produzione nel 2016, è previsto che continui la sua attività per quaranta anni, mutando da una funzione di mero assemblaggio a centro di manutenzione, riparazione, revisione e aggiornamento delle flotte dell'area euro-mediterranea. 
  In sintesi, mi sembra che vi siano tutti i presupposti per continuare sulla strada intrapresa, non dimentichiamoci, tra l'altro, che dotarsi di questi mezzi migliorerebbe le condizioni di ogni regola di ingaggio dei nostri ragazzi impegnati nelle varie missioni. Vogliamo aiutarli, oppure vogliamo accogliere, come purtroppo alcune volte è accaduto, le loro bare ? Forse le lamentele ai programmi successivi sarebbero false e pretestuose. 
  Per concludere, Scelta Civica osserva che i principali Paesi europei hanno avviato dei processi di revisione delle rispettive Forze armate e che il Parlamento italiano ha già approvato la legge di revisione dello strumento militare che, nel delineare Forze armate sostenibili nel prevedibile quadro finanziario, prevede un insieme di programmi di acquisizione di mezzi e sistemi d'arma, tra cui l’F-35. Peraltro, il prossimo Consiglio d'Europa costituirà un appuntamento fondamentale per dare impulso alla costruzione della difesa europea e tutti i Paesi dell'Unione saranno chiamati in quella sede a trovare convergenze e complementarità anche con l'obiettivo di ricercare il miglior utilizzo delle risorse disponibili nell'attuale quadro finanziario generale, questo con riferimento alla costituzione di assetti operativi e addestrativi comuni finalizzati alla piena interoperabilità. 
  Ecco pertanto che Scelta Civica auspica la presentazione di una mozione dellaPag. 52maggioranza che non abbia solo il problema o il senso di affrontare unicamente il programma F-35, tra l'altro in avanzatissima fase di realizzazione, ma che miri a dare impulso, a partire dal Consiglio europeo di difesa, a concrete iniziative per la crescita della difesa comune europea. Un obiettivo indispensabile per tutti i Paesi europei, che può consentire la costituzione di nuovi assetti operativi e addestrativi comuni, nonché la promozione di sinergie industriali finalizzate alla ricerca e allo sviluppo di programmi comuni. 
  Un obiettivo che, se raggiunto, e se effettivamente prenderà corpo, potrà – allora sì – consentire di rivalutare la coerenza dello strumento militare italiano nel suo complesso e nello specifico. 
  Ma ci preme anche sottolineare che, indipendentemente da ciò, il Parlamento – così come richiamato pochi minuti fa dal rappresentante del Partito Democratico – potrà sempre esercitare le proprie prerogative di controllo del programma F-35, anche sotto il profilo dei costi attraverso l'utilizzo della procedura prevista dall'articolo 4 della legge n. 244 del 2012. 
  Concludo, sottolineando che, oltre ad auspicare una mozione di maggioranza, Scelta Civica è, peraltro, sensibile evidentemente alle esigenze sociali manifestate dai proponenti e si farà parte diligente, in quanto facente parte del Governo, nell'esame delle proposte, nelle sedi opportune (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Duranti. Ne ha facoltà, per sette minuti.

  DONATELLA DURANTI. Signor Presidente, colleghe e colleghi, è stato già detto perché l'acquisizione degli F-35 è sbagliata: è sbagliata perché non si può pensare di spendere cifre così ingenti in un periodo di crisi tanto profonda e mentre il Paese reale si trova in una situazione di povertà e difficoltà crescenti e, in ogni caso, anche se non fossimo in questa precipitazione sociale ed economica, tante sarebbero le ragioni per operare una scelta differente, cioè per cancellare il programma di acquisizione degliF-35
  La decisione di dotare l'aeronautica e la marina militare di questo tipo di aerei – è stato detto, con capacità stealth e netcentriche, predisposti per trasportare ordigni nucleari, le B-61, con capacità di velocità supersonica, a decollo e atterraggio verticale – risponde a precise esigenze operative, a precisi ruoli e compiti. 
  Il Capo di Stato maggiore della difesa, nell'audizione alle Commissioni difesa di Camera e Senato, ha dichiarato che i sistemi d'arma devono rispondere appunto a esigenze operative, ruoli e compiti che le Forze armate devono assolvere. Quindi, sta al Parlamento e al Governo la loro definizione, ma l'acquisto di un sistema d'arma è un fatto tecnico. 
  Queste le dichiarazioni del Capo di Stato maggiore della difesa. Quindi, è esattamente il punto politico che va affrontato: qual è il ruolo dello strumento militare e a quale politica di difesa corrisponde un aereo con caratteristiche altamente offensive e di combattimento ? Al Parlamento va restituita la titolarità di definire la politica di difesa, di affrontare un dibattito che coinvolga le forze politiche, i soggetti sociali e le istituzioni, su quale modello di difesa si vuole adottare, a partire da alcuni punti fermi. Innanzitutto, il rispetto del dettato costituzionale dell'articolo 11, la separazione della politica di difesa da quella estera, a cominciare dal ribaltamento di un assunto di questi ultimi decenni, secondo cui lo strumento militare è strumento privilegiato della politica estera. Noi diciamo che lo strumento privilegiato della politica estera è la cooperazione internazionale, l'attività delle diplomazie, l'attività di intelligence, il confronto con gli altri Paesi, in particolare nel Mediterraneo. 
  Va aperta una riflessione profonda sugli strumenti in grado di produrre più sicurezza: non si produce più sicurezza, nel nostro Paese e nei Paesi confinanti, dotandosi di ulteriori strumenti militari così offensivi e addirittura capaci di trasportare gli ordigni nucleari. Bisogna rispettare gli accordi di non proliferazionePag. 53nucleare, riparlare in questo Paese, dopo decenni, di disarmo, una parola abbandonata, disarmo persino progressivo e unilaterale. 
  Il tema, ancora, dell'estensione del concetto di interesse nazionale, che si è trasformato in un'ottica strategica con l'avanzare della globalizzazione e della centralità degli interessi del mercato, fino a far coincidere gli interessi di difesa dei confini nazionali con la difesa delle vie di comunicazione, per garantire libertà di circolazione delle merci e delle risorse energetiche, passando dalla difesa interna alla proiezione dello strumento militare all'esterno, ovunque siano messi in discussione gli interessi economici dell'Italia e persino degli alleati. 
  Cosa c'entra tutto questo con l'articolo 11 ? Bisogna partire da un dibattito di questo tipo per decidere di quali sistemi d'arma abbiamo necessità. 
  Chiediamo un nuovo Libro bianco della difesa – l'ultimo risale ai primi anni del Duemila – che ci metta in condizione di capire ruoli e compiti, esigenze operative e priorità. Gli F-35, insomma, servono per fare cosa e dentro quale concetto strategico della difesa ? 
  Le scelte sui sistemi d'arma non possono essere lasciate ai vertici militari, tanto meno possono essere piegate alle esigenze delle grandi aziende belliche private. Voglio dire ai colleghi del PD – e anche al collega Rossi – che mi dispiace, ma l'articolo 4, comma 2, della legge per un nuovo tentativo di riforma dei vertici militari e della difesa (la legge n. 244 del 2012) recita un'altra cosa e dice che i singoli programmi di armamento sono sottoposti alla valutazione delle Commissioni parlamentari per un parere, che si applica anche il silenzio-assenso e che, se la Commissione esprime un parere difforme dalla richiesta del Governo e lo stesso non intenda aderirvi, deve tornare alle Commissioni. In ogni caso, le Commissioni devono esprimersi di nuovo in senso contrario, a maggioranza assoluta dei componenti e il programma può non essere adottato. Ma, le Commissioni devono giustificarlo. La contrarietà deve essere obbligatoriamente motivata con la non coerenza del programma alla pianificazione contenuta nel documento annuale della difesa. 
  C’è un piccolo problema, cioè che questo documento annuale e la pianificazione triennale non sono soggetti al voto parlamentare e, quindi, non vi è alcun vincolo reale per il Governo. Solo se la pianificazione pluriennale fosse sottoposta preventivamente all'approvazione parlamentare, le previsioni contenute in quell'articolo avrebbero un qualche valore. Così non ne hanno e noi crediamo che non basti chiedere un'indagine conoscitiva sui nuovi sistema d'arma. Le indagini conoscitive non si negano a nessuno. 
  Dobbiamo andare fino in fondo e chiedere, per esempio, al Governo perché l'Italia esce dal progetto dell’Eurofighter ? Perché l'Italia continua a chiedere gli armamenti per i droni ? Noi saremo l'unico Paese europeo ad avere più linee di velivoli simili, con le stesse capacità offensive e di combattimento. 
  Allora, vogliamo capire perché si vendono gli Eurofighter e si dice che devono essere sostituiti dagli F-35
  E, poi, il Parlamento può chiedere ...

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  DONATELLA DURANTI. Concludo, Presidente. Si può chiedere come mai e chi sceglie i fornitori dei sistemi d'arma ? Qualcuno ricorda di che cosa stiamo parlando ? Stiamo parlando della Lockheed, di quell'azienda che utilizza e ha utilizzato le mazzette per promuovere i suoi affari, con tale convinzione – non so come dirlo in un altro modo – da inserirle addirittura come spese nei suoi bilanci. 
  E, allora, tutto questo che cosa c'entra con il nuovo concetto strategico della difesa ? Noi abbiamo bisogno di capire perché addirittura il Pentagono fa marcia indietro e noi, invece, vogliamo ancora mantenere l'acquisizione di questi aerei. 
  Concludo dicendo che accettiamo la sfida. Vogliamo anche noi discutere delle ricadute sui posti di lavoro dei lavoratori dell'industria bellica privata. Ebbene, noiPag. 54diciamo che, dentro quell'industria, ci sono tali capacità di innovazione tecnologica...

  PRESIDENTE. Dovrebbe concludere.

  DONATELLA DURANTI. ... e che tali professionalità possono essere utilizzate per cominciare a riconvertire pezzi di produzione del nostro Paese. E non ci venite a dire che avete a cuore la produzione degli F-35 perché avete a cuore la difesa dei posti di lavoro. Non vi crediamo, perché difendere i posti di lavoro è una politica, è una scelta di politica economica seria, che ancora qui oggi non avete fatto (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cicu. Ne ha facoltà.

  SALVATORE CICU. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, sono convinto che questa discussione e questo approfondimento siano opportuni. È giusto che il Parlamento abbia la possibilità, in una fase così difficile per il Paese, di poter meglio dare il proprio contributo non solo in termini di idee o di indirizzo, ma in termini sostanziali, in termini di processo di determinazione decisionale di questa fase. Perché lo credo ? Perché questo Parlamento ha avuto sempre la straordinaria possibilità di dare una linea di continuità rispetto al tema della difesa, che è sempre stato considerato un tema fondante, centrale e straordinariamente importante per la vita del Paese. 
  Ma lo dico perché in Italia si è iniziato a parlare del progetto già nel 1996 con il Ministro Andreatta, ma – come sapete, colleghi – l'approfondimento del tema e la discussione sono avvenuti con altrettanti Governi, come il Governo D'Alema, il Governo Berlusconi, il Governo Prodi e, oggi, con il Governo Letta. 
  Questo ci serve per capire che questa linea di continuità, questo approfondimento e questo riconoscimento al Parlamento rispetto alla valutazione del tema sono sempre avvenuti, ma sempre in ordine a un indirizzo che si è sempre uniformato in termini positivi e con pareri favorevoli sia delle Commissioni competenti che dello stesso Parlamento, perché già qualche anno fa, o meglio un anno fa, nel 2012, questo Parlamento è stato coinvolto intensamente e pienamente con l'approvazione di diverse mozioni, che hanno portato ad una riconsiderazione importante e strategica rispetto al numero previsto di centotrentuno e si è arrivati al numero di novanta. 
  Ora, io credo che sia difficile per ciascuno di noi, colleghi, poter dire se questo è un progetto da venti, da trenta, da ottanta o da novanta, a meno che non ci siano degli esperti che abbiano una visione strategica talmente elevata da poter indicare con una ricognizione politica, quindi non tecnica, quanti potrebbero essere o quale potrebbe essere il numero più idoneo per soddisfare le esigenze della difesa. 
  Io credo che qui ci sia un rapporto di fiducia e che ci debba essere un rapporto di lealtà con le istituzioni di questo Paese e questo deve avvenire senza infingimenti e senza ipocrisie ! Io non credo che ci siano corrotti e non credo che ci siano persone, soggetti o aziende che vogliono speculare su progetti che riguardano la vita e il sistema di difesa del Paese. Credo che ci siano da compiere valutazioni di grande livello e di grande dimensione per capire meglio e di più rispetto alla strategia, ma anche rispetto agli obiettivi che abbiamo portato avanti. 
  I colleghi sanno bene che noi siamo uno degli ultimi Paesi rispetto alla percentuale di PIL che viene destinata alla difesa del Paese e, quindi, non siamo degli speculatori o coloro che hanno scialacquato o scialacquano, destinando chissà quali risorse al sistema industriale della difesa o al sistema delle risorse umane della difesa. Siamo sempre stati molto moderati, molto attenti e abbiamo ragionato rispetto a ciò che le risorse del Paese ci potevano consentire e ancora lo facciamo. Ma lo facciamo inseriti in un contesto che ci vede su una linea precisa, che è quella di partecipare a degli organismiPag. 55internazionali e, insieme agli organismi internazionali, di portare avanti degli obiettivi. 
  Ho sentito in qualche modo in quest'Aula oggi parlare di guerra, parlare di violazione della Costituzione, e parlare, in qualche modo, di superamento di quello che ci consente la norma della vita del nostro Paese, cioè che l'Italia partecipa solo ad azioni di pace. Noi sappiamo benissimo quali azioni abbiamo e a quali stiamo partecipando e sappiamo benissimo quale ruolo e quale funzione nella geostrategia internazionale e mondiale l'Italia e gli uomini e le donne delle Forze armate hanno saputo raggiungere con risorse molto ridotte e molto limitate. 
  Io credo che da un decennio a questa parte la nostra credibilità e la nostra autorevolezza internazionale siano dovute e rimesse in gran parte – e credo di non esagerare – proprio alla capacità, alla competenza, alla professionalità, al metodo e allo stile che i nostri soldati hanno nel mondo, diverso completamente dallo stile e dai metodi di altri Paesi. Noi non sfondiamo mai la porta a calci, noi non entriamo sparando, ma chiediamo di conoscere la cultura dei Paesi dove ci troviamo, costruiamo sistemi democratici in quei Paesi, creiamo istituzioni, forniamo istituzioni democratiche e istituzioni libere. Noi portiamo il popolo a partecipare alla libertà e all'opportunità di costruire istituzioni democratiche. 
  Io credo che tutto questo abbia una sua valenza, io credo che sia inserito e abbia una connessione precisa rispetto al discorso che stiamo facendo. 
  Certo, è facile lasciarsi andare alla demagogia, è facile lasciarsi andare anche a valutazioni che non hanno nulla a che fare con il sistema Paese, dove – lo sottolineo – la difesa costituisce un elemento centrale. Certo, è facile dire: chiudiamo il Parlamento, così come chiudiamo anche la possibilità che questo Paese abbia una difesa. Viene facile dire: chiudiamo tutto, perché il Parlamento è la morte della democrazia e la difesa è la morte che noi portiamo nei contesti internazionali in cui operiamo. 
  Io capisco che è una linea ideologica e, per quanto non la faccio mia – non posso farla mia, la lascio a chi la fa propria –, rifletto anche sul fatto che questo Paese, per fortuna, ha gli obiettori di coscienza, così come ha anche i volontari – li ha avuti e li ha ancora oggi – per professione e ha anche coloro che credono che un Paese debba e possa difendere i propri confini nazionali da quelle aggressioni che avvengono nel mondo, con atti terroristici, sono avvenuti e continueranno, purtroppo, ad avvenire. 
  Noi siamo in questa fase e in questa progressione. Credo che parlare di Paese che guarda all'innovazione e alla ricerca tecnologica... Io sono convinto che ci siano tanti settori a cui guardare, sono convinto che questi settori sono strategici e fondamentali, ma tra questi settori c’è anche il sistema industriale del Paese. È un Paese che guarda a una partecipazione che vede oggi un linguaggio internazionale e mondiale tale da sperare, pensare – almeno io a questo ho sempre pensato e sperato – che possa esistere una forza di pace europea. 
  Quindi, il prossimo appuntamento che ci vedrà protagonisti ci darà la possibilità di avere ancora più forza e di partecipare al processo e alla determinazione decisionale, se saremo in una linea di continuità che contempli un investimento che, certo, il Parlamento con la più volte citata legge n. 244, approvata nella scorsa legislatura, può avere continuamente la possibilità – ed è importante che questo avvenga –, con l'attenzione e con l'approfondimento doveroso e necessario, di verificare, al di là di eventuali indagini, che poi alla fine sono state fatte nelle precedenti legislature. Io non sono contrario alle indagini, ma sono favorevole a che questo Parlamento assuma sempre di più un ruolo di partecipazione e di decisione rispetto alla vita del Paese e, quindi, anche e soprattutto, rispetto al sistema di difesa. 
  Credo che la riforma che in qualche modo noi abbiamo approvato e i decreti attuativi che stanno arrivando saranno un altro elemento di grande confronto, di grande approfondimento, di grande opportunitàPag. 56e possibilità per capire meglio e di più come presentarci nel contesto europeo e internazionale. 
  È evidente che c’è un ritorno, è innegabile. Quindi, è chiaro che verificheremo questo ritorno in termini occupazionali e di investimento, con numeri precisi. Io credo che, quando si aprono cantieri in Italia, soprattutto in momenti come questo (e rispetto all'apertura di questi cantieri si parla di migliaia di posti di occupazione e di un indotto straordinario), è innegabile che, così come guardiamo al dramma della crisi, dobbiamo guardare anche al rientro di opportunità di lavoro, di opportunità di partecipazione, di opportunità di investimenti e di commercializzazione. È evidente che c’è una compensazione. 
  Quindi, la nostra è una scelta moderata, la nostra è una linea di continuità, la nostra è una visione strategica, che vuole verificare, vuole approfondire e, se c’è la necessità, anche riconsiderare insieme al Parlamento, però chiediamo anche, in questo momento, unità, perché siamo in una fase difficile per il Paese, siamo all'interno di un contesto di Governo eccezionale, rispetto a risposte eccezionali che il Paese si aspetta da noi. 
  Quindi, non credo che possano prevalere, in questo momento, aspetti ideologici, ma quello che deve prevalere è una valutazione corretta e obiettiva in ordine a una prospettiva che il Paese può e deve avere, non semplicemente parlando di cacciabombardieri, ma parlando anche della possibilità di munirsi di innovazione tecnologica, che, nel confronto con gli altri Paesi e con il linguaggio che gli altri Paesi adottano, possa essere adeguata e idonea, ma non certamente per fare stragi o per causare morti, perché credo che nessuno qua dentro abbia mai avuto questo spirito e mai lo avrà. 
  Lo ripeto e lo sottolineo: questo perché noi guardiamo ad obiettivi che pongono finalmente la difesa italiana in una condizione di non essere subordinata né di sottostare a decisioni che non tengano conto della nostra preziosissima partecipazione e del nostro contributo. 
  Credo che, parlando delle nostre missioni e guardando, ad esempio, a quella del Libano, dove noi in questo momento abbiamo il comando, ci sia da esprimere una valutazione davvero molto positiva, perché nel coordinamento e nell'azione abbiamo l'attenzione di produrre e di dare prospettive alla pace che cresce e alle istituzioni democratiche, che finalmente parlano di libertà e di partecipazione. 
  In questo senso, noi sosteniamo un processo che riguarda l'attuazione del programma, ma certamente mantenendo l'attenzione che questo Parlamento può e deve avere e con una valutazione che ci riserviamo di svolgere nella dichiarazione di voto finale in maniera più compiuta (Applausi dei deputati del gruppo Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Matarrelli. Ne ha facoltà.

  TONI MATARRELLI. Signor Presidente, signor Ministro, colleghi deputati, la mozione presentata dal collega Marcon e sottoscritta da 558 parlamentari, con cui si chiede la cancellazione della partecipazione italiana al programma dei cacciabombardieri F35, costituisce l'esito e nello stesso tempo lo sviluppo di un impegno sempre più diffuso, esercitato da parte di associazioni, gruppi, movimenti e singoli cittadini di diverse ispirazioni ideale e religiosa che si sono mobilitati contro tale progetto fin dall'inizio, ben quindici anni fa. A loro si deve soprattutto, ben prima della presentazione del programma degli F35, la maturazione di una cultura e di una coscienza di pace radicata nei valori della Costituzione italiana, nella Carta delle Nazioni Unite e in tante Dichiarazioni internazionali, attraverso l'analisi critica e la verifica approfondita dei progetti reali di riarmo, come quello che riguarda proprio i cacciabombardieri di quinta generazione. 
  Sulle ali di tale impegno è stato possibile avviare il tentativo di rompere le barriere dell'arroganza di oligarchie che hanno voluto sottrarre al dibattito democratico scelte e decisioni che impegnanoPag. 57somme considerevoli della spesa pubblica. È stato possibile, inoltre, alimentare un nuovo senso comune e una nuova cittadinanza comune che hanno coinvolto numerose amministrazioni locali, le quali, negli ultimi mesi, hanno approvato mozioni o richieste inviate al Governo nazionale di abbandono del progetto F35
  La mozione, di cui discutiamo oggi, indica con esemplare chiarezza tutte le criticità che tale progetto ha manifestato nel corso degli anni e rammenta tutte le riserve, i ripensamenti, le decisioni di sospensione e di partecipazione dei vari Stati protagonisti dell'accordo per la realizzazione di un velivolo, che – non dobbiamo dimenticare e non possiamo dimenticare – può trasportare persino ordigni nucleari. 
  Vogliamo perciò che appartengano a questo Parlamento e risuonino in quest'aula le domande degli uomini comuni, che sono la grande maggioranza di coloro che hanno eletto noi deputati e che esprimono il chiaro senso di una cultura sempre più condivisa. Perché occorre comprare questi terribili strumenti di guerra ? Il nostro Paese pensa di poterli utilizzare in qualche luogo e in un certo periodo di tempo ? Quanto costa comprarli e poi mantenerli ? Come si potrebbero impiegare gli stessi soldi, mentre milioni di cittadini, soprattutto nel nostro Mezzogiorno, sono privi di lavoro, di servizi sociali, di dignità ? 
  Gli F35 sono armi da guerra, quella guerra che la nostra Costituzione ripudia e che sempre più si presenta per la forza distruttiva del suo armamentario come pura follia e potenza di nullificazione. È perciò origine di una paura e di una disperazione sempre più diffusa e noi pensiamo, con il poeta, che «guerra alle guerre è una guerra da andare» e, cioè, che l'unica ostilità che ci muove è quella avversa alle guerre. 
  Del resto, anche una riserva di semplice buonsenso ci autorizza a considerare demenziale l'aumento progressivo della spesa militare mondiale, che nel 2010 ha raggiunto la cifra spaventosa di 1.630 miliardi di dollari, nel bel mezzo di una crisi economica che ha fatto ancora impennare il numero dei dannati della terra, ed ha ulteriormente allargato in maniera importante la forbice delle distanze fra gli uomini. 
  Le ragioni del rifiuto degli F35 rimandano ad un modello di difesa e ad una concezione della sicurezza fuori tempo e fuori luogo, che hanno quindi bisogno di essere rivisitati attraverso l'utilizzo di un'ampia informazione e l'apertura di un dibattito che, per insopportabile negligenza o per colpevole malafede, ad oggi non ci sono mai stati. A tale proposito è comunque insostenibile tenere in vita un esercito di 180 mila uomini, acquistare caccia bombardieri costosissimi ed infilare i militari italiani in operazioni di sicurezza nelle strade delle nostre città. La sicurezza oggi da una parte ha necessità di altri investimenti, dall’intelligence alla cooperazione, ad una più coinvolgente diplomazia dei popoli e degli enti locali; dall'altra costituisce un bene pubblico come altri beni pubblici: l'istruzione, la salute, le risorse di un territorio, una protezione civile efficiente, una polizia sempre più professionale e dotata di mezzi, una giustizia che funzioni, un apparato amministrativo con regole chiare e socialmente controllato. 
  Possono forse gli F35 offrire una qualche protezione ai cittadini dalla disoccupazione ? No, perché anche i dati sviscerati oggi in questo dibattito sono ridicoli, perché pensare di investire 15 miliardi di euro per 2.000 posti di lavoro mi pare veramente tentare di prendere in giro l'intero Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà e MoVimento 5 Stelle). Ci possono salvare dall'inquinamento, dalle malattie, dalle sacche di nuovo analfabetismo di ritorno, dalla criminalità organizzata sempre in agguato, dalla corruzione dilagante ? Credo proprio di no. E comunque 25 miliardi di euro annui di spesa militare costituiscono una somma altissima – dissento profondamente dalle dichiarazioni che ha fatto il mio collega del PdL – tanto alta da essere secondo me eticamente insostenibile. È perciò urgente il bisognoPag. 58di un'attenta e dettagliata analisi e revisione dello strumentario bellico di cui è dotato il Paese e degli sprechi ad esso ed al suo uso collegati. Perché una parte significativa di questo denaro non può essere utilizzata per sollecitare e promuovere politiche economiche e sociali che con più efficacia e in minor tempo possano consentire di alleviare gli effetti di una crisi che diventa sempre più drammatica ? Il peso internazionale di un Paese e la sua autorevolezza non sono determinati, e di sicuro non possono essere misurati, dalla quantità della spesa per comprare armi e preparare o fare guerre o dal numero di missioni militari a cui partecipa...

  PRESIDENTE. Dovrebbe concludere deputato.

  TONI MATARRELLI. ... le quali vanno valutate ognuna nella propria specificità, perché ci sono tante possibilità di costruire la pace. Termino rapidamente. Tale peso invece dipende sempre più dalla capacità di assumere e risolvere questioni comuni, quali quelle che gettano nell'insicurezza e condannano alla miseria un numero sempre più grande di donne e di uomini, costretti a sopravvivere in condizioni di intollerabile vergogna. Non è l'Italia degli F35 quella che siamo stati chiamati a costruire, non è e non può essere questo, quello che desideriamo per le nostre generazioni future. Vi esorto pertanto, onorevoli colleghi, ad approvare la mozione e a profondere un impegno inedito per promuovere e sostenere tutte quelle altre iniziative che avranno lo scopo di interdire il progetto degli F35, riducendo così le spese militari, per utilizzare queste risorse per combattere le antiche e le nuove povertà, povertà che cresccono in maniera sempre più sostenuta e sempre più evidente nel nostro Paese(Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Giacomelli. Ne ha facoltà, per dieci minuti.

  ANTONELLO GIACOMELLI. Signor Presidente, rispondere alla questione specifica che la mozione pone non è possibile, se non dando conto prima di tutto della posizione personale di ciascuno di noi su temi importanti (la pace, la guerra, l'uso delle armi, i livelli di difesa di uno Stato), che evocano echi profondi nella coscienza di ciascuno. 
  Dico subito che io non mi iscrivo tra coloro che pensano di poter dividere, secondo il loro criterio, quest'Aula in pacifisti e guerrafondai. Credo che sia un modo manicheo di ragionare, che non rispetta la verità e non aiuta, e credo che ciascuno dovrebbe riconoscere agli altri la stessa buona fede, la stessa onestà intellettuale che richiede venga riconosciuta a se stesso. Ho sentito evocare da molti interventi, magari parzialmente, la Costituzione. Anch'io vorrei prendere questo come filo del mio intervento, perché per me, laicamente, quelle indicazioni sono la guida per misurare il nostro cammino, anche in questo campo complesso. Nell'articolo 11 della Costituzione, l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli. La pace, dunque, come valore fondante; la costruzione della pace come impegno costitutivo del nostro essere nazione, popolo e Stato. Ma la costruzione della pace non può essere una semplice invocazione, non può essere un tema che semplicemente inseriamo nei nostri discorsi. La costruzione della pace richiede politiche attive per la sua realizzazione. La pace non può essere distinta dalla giustizia, dal rispetto della dignità dei diritti della persona, dalla rimozione di ogni ostacolo a uno sviluppo equo e giusto, che consenta ad ogni popolo e ad ogni persona di essere artefice del proprio destino. 
  Come non richiamare il valore e l'attualità di quell'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa quando richiama la destinazione universale delle risorse e ricorda a ciascuno come il destino di ogni persona e di ogni popolo sia legato a quello degli altri. Dunque, il ripudio della guerra, ma anche l'individuazione degli organismi internazionali, del concerto conPag. 59gli altri, come sistema per promuovere la pace. E la Costituzione consente alle limitazioni di sovranità necessarie a partecipare a questi organismi. Quando si cita questo articolo, bisognerebbe farlo nella sua completezza, perché altrimenti perde senso e diventa slogan. Allora questo postula un ruolo centrale della politica estera e un ruolo centrale degli organismi internazionali, delle comunità di Stati, a partire dall'Europa e per finire alle altre organizzazioni degli Stati che ormai da decenni sono i riferimenti per chiunque voglia promuovere una politica che rimuova gli ostacoli, che avvii relazioni, che costruisca ponti di dialogo. 
  E anche noi auspichiamo il ruolo centrale della politica estera. Non si parte su questi temi con una mozione che va a toccare un singolo programma d'armi senza richiamare la necessità che anche il nostro Paese riprenda una politica estera che abbia forza e autorevolezza che, forte dei suoi legami e delle sue alleanze, tuttavia non tema di avviare autonome azioni di dialogo, di costruzione di nuove relazioni. L'Italia ha una tradizione importante, nei decenni passati ha svolto un ruolo decisivo nel Mediterraneo, con il mondo arabo, con i Paesi dell'Est. Io penso che questo sia il punto da cui partire e se noi non leghiamo la politica della difesa alla politica estera, alla sua centralità, noi smarriamo il senso di ogni riflessione. 
  E, infine, mai citato, ma tuttavia presente in Costituzione, l'articolo 52 stabilisce che la difesa della patria è un sacro dovere di ogni cittadino. L'idea che la politica della difesa sia un valore costituzionale è il punto che noi non dobbiamo smarrire. Essa tuttavia non è affidata né a una struttura specializzata, né all'organo esecutivo; è affidata complessivamente al popolo, ad ogni cittadino, ad ognuno di noi, al di là delle forme con cui questo avviene. Questo è un richiamo ad una responsabilità che ciascuno di noi dovrebbe sentire su se stesso, libero ciascuno di definire con la propria idea, con la propria intelligenza come l'idea di difesa dello Stato e di difesa dei valori che lo Stato rappresenta possa estrinsecarsi, ma tuttavia assumendo questa responsabilità, non delegandola agli altri. Una politica di difesa coerente con i valori costituzionali, concertata con l'Europa, con i nostri alleati occidentali, con gli organismi internazionali di cui facciamo parte e in cui assumiamo responsabilità, compatibile con la situazione finanziaria del Paese, non estranea ad essa, coerente in ogni suo specifico programma. 
  Su questi temi a che punto siamo ? Lo voglio dire al collega di SEL che mi ha preceduto, ma anche alla collega del Movimento 5 Stelle che ho ascoltato. Con buona pace del Movimento 5 Stelle diciamo che il mondo non inizia con il loro ingresso in Parlamento, non siamo all'anno zero. Passi sono stati compiuti. Si possono giudicare come si vuole, limitati, insufficienti, ma c’è un cammino che l'istituzione ha compiuto. 
  La spesa, questa spesa di cui tanto si è parlato, è diminuita nel nostro Paese, in questo settore, nell'ultimo triennio del 19 per cento, più che in ogni altro Paese occidentale, senza che questo alterasse il nostro sistema, perché è stata compiuta misurandosi con le difficoltà e nel merito delle scelte. Abbiamo approvato una riforma dello strumento militare rendendo le nostre Forze armate più orientate alle missioni internazionali di pace a cui devono partecipare, più capaci di essere formate, dotate tecnologicamente per queste missioni e non per ostentare una ipotetica contrapposizione tra Stati. Infine – lo ha citato il collega Galli e gli altri che sono intervenuti – il riconoscimento di un nuovo potere al Parlamento, una svolta reale. Mi meraviglia che chi vuole entrare nel merito con precisione non sottolinei questo punto. Il Parlamento, con la legge n. 244 esattamente dell'anno scorso, ha la potestà di esprimersi sulla coerenza di ogni programma d'arma, ha la potestà di entrare nel merito, valutare, esprimere un parere che non è una mozione di indirizzo o una generica richiesta ad altri, ma è assunzione di responsabilità. Infine, sullo specifico programma degli F35, la riduzione dell'ipotetico fabbisogno da 135 a 90. Obiettivi raggiunti perché ci siamo misuratiPag. 60nel merito, perché abbiamo accettato il confronto con la complessità dei temi, senza sfuggire attraverso le scorciatoie della demagogia o della semplificazione. 
  Questo lavoro per noi prosegue, deve proseguire, indicando l'impegno di questa legislatura, che non è dare per acquisito ciò che esiste, ma anzi verificarlo ogni giorno, verificando l'adeguatezza, la compatibilità, la sostenibilità e l'integrabilità con i programmi degli altri Paesi. Dunque, una mappa dei rischi – di cui non parliamo come se agissimo in un mondo che è quello di Alice nel paese delle meraviglie –, dei nuovi rischi, delle insidie, della loro forza tecnologica, della loro pericolosità per la pace a cui tutti ci richiamiamo. 
  Poi un Libro bianco della difesa. L'ho sentito richiamare da una collega di SEL. Sono d'accordo. È una richiesta del PD della scorsa legislatura che reiteriamo. Un Libro bianco della difesa che serva a rivedere complessivamente anche il modello della difesa, a misurarne l'adeguatezza nel mondo di oggi e nello scenario internazionale di oggi. 
  Poi le scelte misurate di concerto con ogni Paese europeo e certe indagini conoscitive, audizioni, su ogni programma d'arma, sulla sua adeguatezza, sulla sua importanza per il Paese, sulla sua integrabilità con le scelte degli altri Paesi. 
  Insomma, signor Presidente, noi non accettiamo di ridurre la complessità di questi temi e delle scelte difficili a soluzioni semplicistiche, a slogan. Certo, potremmo dire: «Beh, noi gli aerei lasciamo che li costruiscano e li acquistino altri, noi facciamo le navi» come se, evidentemente, salvasse la nostra coscienza il fatto che la proprietà dei singoli strumenti sia dell'uno o dell'altro Paese. Noi vogliamo una politica, vogliamo istituzioni che si assumano fino in fondo le loro responsabilità, che non sfuggano alla difficoltà di conciliare questo anelito ad una progressiva riduzione delle armi nel mondo, all'avvento della pace, tuttavia con la situazione in cui si trovano a chiudere...

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  ANTONELLO GIACOMELLI. ... e con la loro responsabilità. Per questo io personalmente trovo difficile aderire a quella mozione che pure, lo capisco, muove da spinte che sono presenti nell'opinione pubblica a cui noi però sentiamo di rispondere con un esercizio più pieno e più completo della nostra responsabilità di parlamentari, ed è a questa che invitiamo i colleghi dell'opposizione.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Frusone. Ne ha facoltà, per dieci minuti. Vi invito a stare nei tempi.

  LUCA FRUSONE. Grazie, signor Presidente, e grazie Ministro per essere qui oggi. Inizialmente, pensavo di dover parlare degli enormi e numerosi problemi tecnici che questo aereo sta incontrando nella sua fase di sviluppo, in realtà, essendo proprio una fase di sviluppo, verranno in larga parte risolti, mantenendo però dei deficit di progettazione che nessun periodo di sviluppo potrà mai colmare. Mi riferisco alla scarsa manovrabilità dell'aereo, alla presenza di un solo motore, allo scarso combact ready, che ne limiterà l'uso in alcune missioni, ed altre mancanze che hanno portato alcuni esperti addirittura a non classificarlo come caccia di quinta generazione, anche perché, in un confronto con aerei da supremazia aerea, ne uscirebbe distrutto in pochi minuti. 
  Potremmo parlare per ore dei difetti congeniti di questo caccia, ma vorrei focalizzare l'attenzione su altro. Di F35 se ne è parlato molto, ma raramente si è detta la verità. Di fronte ad uno scenario così incerto, dove nemmeno il costo finale è chiaro, ben si collocano le dichiarazioni preelettorali di alcuni leader. Mi vengono in mente le parole: «nell'ambito delle spese militari bisogna assolutamente rivedere il nostro impegno per gli F35». Se non erro, eravamo in gennaio, in campagna elettorale, e tali parole sono state pronunciate da Pier Luigi Bersani. A questo punto, mi chiedo: come mantener fede ai propri impegni, se nel PD non si può nemmeno parlare di F35, tant’è che solo inPag. 61quattordici hanno firmato la mozione e da quel che ci risulta diverse firme sono state ritirate, lasciandoci con il dubbio del perché di questo dietrofront
  Leggendo i giornali di partito, dovremmo essere noi i teleguidati, i congelati; siamo così congelati che abbiamo collaborato volentieri ad una mozione così importante, con chiunque ne volesse parlare, senza dar peso ai colori politici. Perché questa mozione è importante. Questa volta, si parla di F35, ma molte sono le spese della difesa che possono essere riviste per poter meglio investire le risorse. Si potrebbe con l'occasione – e già è stato detto – riparlare di un Libro bianco della difesa, riaprire un dialogo sugli armamenti, ammettere gli errori del passato e prendere una nuova strada, meno onerosa e più trasparente. 
  Ci dite che bisogna studiare scenari di geopolitica, valutare il concetto di difesa, verificare l'adeguatezza, ma quando avete pensato di acquistare questi aerei, su che cosa vi siete basati (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) ? Tanti sono i mezzi in dotazione ai nostri militari che hanno problemi e mettono a rischio la loro incolumità. Se vogliamo, possiamo parlare del «Lince»: alcuni esemplari sono stati addirittura sequestrati per valutarne la pericolosità; possiamo parlare degli «Ariete», dei carri armati progettati già vecchi e superati da altri carri ancor prima di finirne lo sviluppo. A questo punto, ci chiediamo perché mettere in mano ai nostri militari degli strumenti difettosi e pericolosi; ci chiediamo perché dobbiamo continuare su questa strada, senza poter riflettere, senza poter pianificare, senza poter essere informati, inseguendo aziende, acquistando armamenti di cui non abbiamo bisogno o che, peggio ancora, non solo sono inutili, ma anche dannosi. 
  Ci risulta, per esempio – e siamo ben lieti di essere smentiti –, che non sono stati ordinati solo tre F35 per il momento, ma, a quanto pare, nei lotti successivi, si parla di altri aerei, tre o quattro, non ci è dato capire; ma sono, comunque, altri F35 inseriti nel lotto n. 8 e in attesa di finanziamento. A questo punto, ci chiediamo quando gli italiani verranno informati che diverranno ben presto veri possessori non di tre aerei difettosi, ma probabilmente di sette; perché ci si sta confondendo con questi numeri. Preciso che sono, appunto, solo i primi lotti; in realtà, si parla sempre di 90 aerei, anzi, perdonatemi, di 131 aerei, visto che il Ministro Mauro ha dichiarato di voler tornare al vecchio progetto e, quindi, anche l'impegno per una riduzione del numero sbandierato da alcuni partiti sono parole al vento. 
  In questo affare occorre la massima serietà e noi abbiamo gli occhi spalancati. Infatti, se guardiamo alla storia, non siamo molto fortunati quando si parla di Lockheed. la Repubblica, il 31 agosto del 1994, in occasione di un nuovo accordo con il gigante della guerra, titolava: «Lockheed in Italia prima di tutto è il nome di uno scandalo». E se andiamo a vedere, le analogie con il periodo dello scandalo Lockheed sono impressionanti: eravamo sì negli anni Settanta, però c'era la Lockheed, appunto; si parlava dell'acquisto sempre di aerei; c'era Finmeccanica e c'erano le larghe intese, proprio come ora. Come è andata a finire lo sapete meglio di me e spero vivamente che non si ripeta. Ci fu un processo, unico nella storia, dinnanzi alla Corte costituzionale, un Presidente della Repubblica dimesso e diverse condanne. Di buono ci fu solo che gli Stati Uniti promulgarono una legge anticorruzione; magari, tra qualche scandalo, anche noi riusciremo ad averne una seria, anche se diventa difficile parlarne con prescritti proprio per corruzione e con chi ci fa grandi intese (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Visto che si parla di difesa della patria, noi siamo ben più preoccupati, per la nostra patria, da chi dice che le tangenti sono commissioni che si devono pagare piuttosto che da fantomatiche minacce estere da sventare con aerei tanto costosi quanto problematici. Le informazioni date per giustificare l'acquisto, come ho già detto, sono al limite dell'inverosimile; si sparano cifre sull'occupazione, come se 13Pag. 62miliardi di euro investiti in altri settori non ne portassero molta di più, si parla della sostituzione dei vecchi Tornado, sappiamo che la tecnologia avanza, ma ci chiediamo perché dobbiamo vendere alcuni Eurofighter nuovi per far posto agli F-35, considerando che altri Paesi, con dovute modifiche, utilizzeranno gli Eurofighter anche per l'attacco al suolo. Come vedete, i motivi del «no» a questo progetto sono così tanti che non è possibile elencarli tutti in pochi minuti e a maggior ragione ci chiediamo perché si vuole continuare, ostinatamente, su questa strada quando persino gli Stati Uniti stanno riducendo il numero di aerei da acquistare quest'anno. Cosa c’è sotto ? In occasione dell'informativa del Ministro Mauro di qualche settimana fa, ho ascoltato da quei colleghi parole importanti; lo stesso Ministro parlava di soluzioni più avanzate per tutelare al meglio la sicurezza del personale. Ben vengano le soluzioni avanzate, quando funzionano, ma ricordiamoci che per la sicurezza interna le nostre forze dell'ordine non hanno soldi per il personale o per i giubbotti antiproiettile che non saranno avanzati come gli F-35 ma salvano vite. Si è parlato di ripristinare libertà e democrazia e, a quanto pare, questi aerei serviranno anche a questo; non pensate sia utile ripristinare questi valori anche in Italia, non pensate che l'ingente somma per questi aerei sia più utile a riportare dignità è felicità in questo Paese distrutto da vent'anni di false opposizioni e finte contrapposizioni, sfociate nell'ennesimo inciucio tra gemelli diversi ? Non pensate che tale cifra sia più utile se investita in misure serie, come il reddito di cittadinanza, come il sostegno alle piccole e medie imprese ? Come possiamo uscire di qui e dire ai cittadini che spenderemo miliardi di euro per delle armi, quando la situazione economica è così disastrata ? Per nascondere il vergognoso decreto-legge passato in Aula la settimana scorsa ci avete accusato di essere contro i terremotati, quando volevamo solamente avere la possibilità di migliorare il testo. Questi soldi, quanto bene potrebbero fare a quei territori ? 
  Mi appello a voi, colleghi, soprattutto ai deputati del PD che non devono fare altro che mantenere le promesse fatte in campagna elettorale. Questa mozione può dare un contributo fortissimo dal punto di vista economico e potrebbe essere un primo passo verso un mondo meno guerrafondaio, più incline al dialogo e alla pace. La pace, ve ne ho parlato veramente poco, ma è proprio il motivo per cui siamo così contrari a questo progetto. La tecnologia stealth montata su questi aerei è utile per bucare le difese più imponenti del mondo, non certo per difendere il nostro territorio. Siamo ben consci del dovere di difendere la nostra patria, ma non vogliamo essere corresponsabili dell'attacco nei confronti di altri Paesi, attacco che può essere, addirittura, nucleare. Non vogliamo parlare al resto del mondo attraverso bombe e caccia multiruolo; quando gli uomini si incontrano e non si riconoscono negli occhi degli altri è in quel momento che si arrende la pace. Noi vogliamo riconoscerci negli sguardi di tutti. Per favore, utilizziamo questi soldi in maniera più intelligente. Concludo con le parole di una grande persona: trovato lo sguardo giusto, l'occhio stesso si fa iride di pace; tutti insieme, domani, dichiariamo finalmente pace alla guerra(Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Malpezzi. Ne ha facoltà.

  SIMONA FLAVIA MALPEZZI. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, oggi vorrei ritornare ad una data significativa: quella del 12 ottobre 2012, quando l'Europa è stata insignita del Nobel per la pace. Anche io mi sono sentita parte integrante di quel riconoscimento, come una dei 500 milioni di cittadini europei, cittadini di un'Europa premiata per quello sforzo unico di superare guerre e divisioni, nell'idea di disegnare un continente di pace e di prosperità. Non è un caso che il comitato del Nobel abbia voluto premiare più di sessant'anni di sforzi per la costruzione della pace. Anni incominciati con la fine della seconda guerraPag. 63mondiale, quando l'ispirazione di alcuni grandi uomini, come De Gasperi e Spinelli, ha gettato le basi per la costituzione di un'Unione europea che, come diceva proprio Spinelli, doveva essere il mezzo per il raggiungimento di quella pace perpetua, possibile solo a fronte di un completo disarmo mondiale. Pace, non tregua. Di strada ne abbiamo fatta ma il percorso è incompiuto; Tuttavia, parlare di pace, oggi come allora, non significa annullare qualsiasi velleità di difesa, ma ricondurre il concetto di difesa in chiave europea. 
  Oggi questo non c’è, perché non esiste in maniera consistente, ma solo marginale, né una vera politica estera comune né una politica della sicurezza comune. Formalmente la difesa prevista dal Trattato di Lisbona rientrerebbe a pieno titolo persino nel mercato comune europeo. Tuttavia, il comportamento degli Stati che regolarmente favoriscono l'industria nazionale a scapito della concorrenza europea fanno sì che esistano tanti mercati nazionali quanti sono gli Stati. Allora ci troviamo di fronte alla non Europa della difesa, che ci porta a duplicazioni dei programmi di sviluppo, di strutture militari e a costi politici ed economici. E ci porta oggi, oltretutto – in una drammatica situazione di crisi economica e sociale, in cui le priorità sono ben altre –, a discutere sulla necessità o meno di proseguire un percorso, quello dell'acquisto degli F-35, costosi e anche con qualche grande limite tecnico, percorso dal quale altri Stati europei si sono un po’ sganciati. Ma il Partito Democratico – e mi dispiace, cari colleghi del MoVimento 5 Stelle – non fa un passo avanti e cinque indietro, ma fa politica, che è soprattutto mediazione per poter risolvere i problemi: è già da tempo che ha richiesto una completa revisione dei programmi di armamento, legandoli finalmente ad una riflessione strategica su cosa voglia essere e fare l'Italia in Europa e nel mondo. 
  Ma anche questo deve essere concertato con gli altri Stati, se riteniamo che l'Unione europea abbia un senso. E in un'ottica di piano concertato europeo sarebbe anche necessario che ogni Stato rivendicasse le proprie peculiarità. Per l'Italia, per esempio, mi limito a due aspetti: intanto l'articolo 11 della Costituzione – «L'Italia ripudia la guerra (...)» – che dovrebbe essere un nostromantra; poi l'articolo 52, in cui si riconosce il valore della difesa della patria anche attraverso l'impegno sociale non armato. Quindi, restituiamo dignità al nostro servizio civile nazionale, sosteniamo lo sviluppo di percorsi formativi per gli operatori di pace. Allora, rispetto agli F-35, concediamoci del tempo, sospendiamo il percorso, consentiamo alla Commissione difesa di verificare tutti gli aspetti realizzando quel tanto atteso Libro bianco e facciamo in modo che il Parlamento eserciti quella funzione decisionale in materia che l'articolo 4 della legge n. 244 gli affida. E poi, poniamo anche l'attenzione su una forma di difesa civile già presente nelle organizzazioni non governative e in altri Stati. Investire su queste realtà ci aiuterebbe ad avvicinarci in maniera concreta al progetto dei padri fondatori dell'Europa e a ribadire la volontà italiana di un impegno verso la pace(Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Guidesi. Ne ha facoltà.

  GUIDO GUIDESI. Signor Presidente, non basta dire fermiamo l'acquisizione dei caccia F-35 finché non ci verrà spiegato da che cosa dobbiamo difenderci e di cosa dobbiamo aver bisogno. È giusto però dire che le spese militari non funzionano in questo modo, o perlomeno non funzionano automaticamente così. L'acquisizione di capacità è un processo lento, anzi lentissimo e costosissimo nel tempo, mentre le minacce e le sfide sorgono all'improvviso, e quando ciò si verifica non si ha il tempo di rimediare, ma si è costretti ad agire o reagire con ciò di cui si dispone. Le Forze armate dovranno presto pensionare i Tornado, che ormai volano da trentacinque anni, gli AMX, che non sono mai stati gran cosa, e gli AV-8B, senza i quali le portaerei regrediscono ad insignificanti e costosissimi portacontainer militari. Tra l'acquisto odierno di F-35 – chePag. 64concorreranno a produrre e mantenere quell'unico impianto costruito fuori dagli Stati Uniti, quello in provincia di Novara – e quello futuro degli stessi aerei già fatti in altri Paesi, è vero che uscire ora dall'F-35 significherebbe altresì perdere un quantitativo importante di denaro, quello stanziato per i progetti negli esercizi finanziari 2010-2013, un sesto di tutto il programma, che poi scatterebbero le penali e ci sarebbero posti di lavoro bruciati da qui al 2050 ? 
  Queste sono le domande a cui oggi dobbiamo rispondere e su cui oggi sicuramente va fatta chiarezza. Non è solo ed esclusivamente una questione di difesa, è anche una questione di valutazioni occupazionali e di garanzie occupazionali e su queste c’è bisogno di chiarezza. Il Paese ha ottenuto l'installazione in provincia di Novara dell'unico stabilimento di assemblaggio e manutenzione previsto fuori dagli Stati Uniti; vi dovrebbero essere costruite 1.200 ali comprensive del tronco centrale di fusoliera dando lavoro a 1.500 persone, anche se non mancano coloro che ritengono questi numeri gonfiati. Le imprese italiane coinvolte sono comunque numerosissime e tutte operanti in comparti high tech; 40 ditte nei piani del plain contractors a cui vanno aggiunte altre 32 aziende ed un numero non ancora certo ma rilevante di subfornitori. Sono geograficamente prevalenti al nord anche se vi sono poli produttivi interessati nel Lazio, in Campania ed in Sicilia. 
  Questo per dire che forse è anche l'occasione la presentazione di queste mozioni, per fare chiarezza e perché il Governo la faccia rispetto al garantire i mezzi per la nostra Aeronautica. Quali sono le alternative a questo programma ? Garantiamo gli accordi internazionali stipulati ? Quali le conseguenze economiche sulle nostre aziende della filiera dell'aerospazio e della ricerca nel caso in cui questo accordo non fosse mantenuto ? Quali le conseguenze occupazionali e nei piani industriali ? Queste sono le domande a cui dobbiamo rispondere oltre alla questione strategica della difesa e queste sono le domande a cui ci aspettiamo una risposta da parte del Governo, grazie.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Zanin. Ne ha facoltà per dieci minuti.

  GIORGIO ZANIN. Grazie Presidente, ringrazio i membri del Governo. Io, diciamo, che vorrei ascrivere questa nostra discussione al campo della pace e come primo momento vorrei che rivolgessimo la mente per un attimo ad un grande costruttore di pace come è Nelson Mandela, la cui salute purtroppo ci lascia in questi giorni ancora preoccupati. 
  E vorrei subito sgomberare il campo dal rischio di dividere le opinioni di questa discussione secondo profili politici inattendibili, da una parte i politici veri che fanno i conti con la realtà dall'altra gli idealisti magari anche in sintonia con la società, ma incapaci di capire e perciò di esprimere progetti dotati di vere «gambe politiche». Ecco io trovo questa distinzione del tutto fuori luogo. Come ha scritto oggi anche Ilvo Diamanti, il bisogno di politica è assolutamente connesso con il bisogno di futuro e di uscita dall'incertezza. Il che rinvia all'esigenza di un progetto che si nutre di ideali che sono i veri fondamenti per progettare la realtà. Gli ideali precedono e orientano la costruzione della realtà perciò dovrebbero essere gli ideali ad animare i buoni politici.
  Il mio ideale è di pace, come mi auguro quello di tutti voi, la nostra Costituzione d'altronde per la cui comprensione Calamandrei ci inviterebbe a salire in montagna, non lascia spazio ad equivoci e misura la sua forza di ideale nazionale su alcuni punti chiari che sintetizzo. La guerra è ripudiata dal popolo italiano come strumento di risoluzione delle controversie; la difesa è affare di popolo perciò il Parlamento deve avere su essa la sua massima parola; infine la sovranità, anche difensiva, può essere derogata a particolari condizioni. 
  La traiettoria politica determinata da questi tre vettori ci porta dentro orizzontiPag. 65molto concreti. In pratica la discussione odierna ci deve aiutare a capire in che modo l'eventuale acquisto di 90 aerei F35, oppure l'abbandono di tale strada sin qui intrapresa, può aiutarci a costruire concretamente la pace secondo la prospettiva costituzionale. Si tratta di una scelta che ha chiaramente un valore simbolico oltreché concreto sia per la quantità che per la qualità della spesa prevista. 
  Dico subito che io sono contrario alla produzione degli F-35; ma dico anche con serietà che se nel corso della discussione o di futuri percorsi mi verranno fornite ragioni convincenti, sono assolutamente disponibile a modificare la mia posizione. O quanto meno a rinviarla, nel caso in cui si vedesse opportuna un'indagine parlamentare, come qualcuno ha annunciato, per aggiornare le informazioni disponibili e assicurare perciò pienamente al Parlamento – come è bene che sia – la responsabilità consapevole della scelta sulla quale evidentemente, visto anche il vasto rinnovamento, non siamo tutti pienamente informati. 
  Contemplo questa eventualità non per subdola tentazione all'obbedienza, per dirla «milanianamente», ma per forza di ragionamento politico. E posso dire che questa mia stessa posizione, oltre che diffusa nella società civile e tra tanti elettori che hanno sostenuto la coalizione guidata alle elezioni da Bersani, è ben presente dentro il gruppo parlamentare del Partito Democratico, ben oltre la quindicina di firme apposte a sostegno della mozione in discussione oggi. 
  Cercherò dunque ora di delineare in breve che cosa mi porta a considerare come da rivedere la posizione sin qui tenuta dal nostro Paese per l'acquisto di questi aerei. Penso in primo luogo che l'Italia non debba dimenticare chi è. La memoria di un italiano, che parte dalla civiltà di Agrigento, di Siracusa, di Roma, è molto più ampia e complessa di quella di un abitante del Nuovo Mondo: abbiamo la nostra specifica parola da dire. E diciamola, allora, questa nostra parola, anche sui diritti umani, sull'economia capitalista, sulla globalizzazione, sulla politica internazionale, sulla guerra e sulla pace. Mica dobbiamo vergognarci di Sant'Ambrogio o di Sant'Agostino e delle loro parole sulla pace e sulla guerra, e ridurci a pensare che in campo politico valgano solamente le virtù attive, e cioè l'aggressività, l'affermazione di sé, la conquista, l'attivismo reso frenetico da macchine sempre più potenti e precise nel calcolare, ma irrimediabilmente prive di cuore e di intuito. Senza soprattutto credere – come fa un certo pragmatismo – che qualsiasi riferimento alle teorie dei valori o ai principi morali debba essere soppiantato dall'impulso ad adottare strumenti che funzionano. 
  Ecco: capire ciò che funziona oggi non è mica scontato ! Del resto un bilancio dei 25 anni successivi alla caduta del Muro di Berlino non può che consegnarci un quadro assai problematico sull'idea che le armi costituiscano la miglior risorsa per risolvere i problemi. Da un lato stanno infatti le molte strade aperte dalle strategie non violente per superare le piramidi e unire i popoli, superando il passato: emblematici in ciò la novità storica assoluta della unificazione europea, ma anche il percorso di pacificazione della memoria di violenza in Sudafrica. Dall'altro i continui mezzi fallimenti delle stabilizzazioni armate su cui regna sovrano il sostanziale fallimento afgano, come notava lo stesso Sergio Romano la scorsa settimana sulle pagine delCorriere della Sera, e in generale tutto il quadro mediorientale sviluppatosi dopo l'11 settembre 2001. 
  Negli ultimi vent'anni la scelta di usare le armi a livello internazionale ci ha visto coinvolti così frequentemente fuori dei confini nazionali, che mi pare sensato ad un certo punto fare anche una verifica della strategia generale, dentro cui appunto le azioni sono state poste. Non tanto per valutare il quadro di alleanza in sé, quanto per ciò che inevitabilmente l'alleanza sembra comportare: come se usare gli aerei fuori dei confini nazionali, stirando all'inverosimile il dettato costituzionale, fosse un atto dovuto obbligatorio, e non piuttosto una scelta da rinnovare valutandone caso per caso le conseguenze.Pag. 66Come ad esempio i tutt'altro che positivi scompaginamenti di significato che certe azioni comportano: dalla fiducia popolare per le dichiarazione dei governanti (le famose armi di distruzione di massa inventate da Bush e Blair) al crollo dell'opinione pubblica e nella politica effettiva, in particolare dopo il 2001, dell'autorevolezza dell'ONU, servizio fondamentale alla pace uscito dal secondo dopoguerra e oggi messo in discussione sostanzialmente con le loro strategie proprio dalle nostre democrazie occidentali. 
  La spesa militare è in generale uno dei lieviti inevitabili dei conflitti. Inutile girarci intorno: le lobby della spesa militare assediano da sempre i governi. Non possiamo legare la decisione popolare ai vantaggi di alcuno: tanto più se consideriamo le conseguenze effettive che la tecnologia militare continua a produrre in termini di morti civili. Il costo umano, prima ancora che economico, delle spese militari non va nascosto; e il Parlamento, non solo il Gino Strada di turno, deve farsene carico. 
  È anche in questa direzione perciò che voglio sottolineare l'importanza, come si concordava anche con il collega Paolo Cova, di rinnovare quella posizione di proposta attiva di valorizzazione delle forme di difesa non violenta che sta sul piatto dell'ONU sin dal 1992, quando l'allora Segretario generale Boutros-Ghali, scrivendo l'Agenda per la pace, ha istituzionalizzato ilpeacekeeper
  Ricordo infatti che l'articolo 52 della Costituzione, interpretato dalla Corte costituzionale nella sentenza 24 maggio 1985, n. 164, riconosce il valore della difesa della patria attraverso la prestazione di adeguati comportamenti di impegno sociale e non armato e che l'associazionismo italiano ha sperimentato diverse forme di interventi civili di pace volti alla prevenzione e alla trasformazione dei conflitti attraverso azioni civili non armate e non violente e che con le leggi 8 luglio 1998, n. 230 e 6 marzo 2001, n. 64 è stata istituita una difesa civile non armata e non violenta esercitata attraverso il servizio civile non violento nazionale, svolto sia in Italia sia all'estero. 
  Sarebbe dunque opportuno, proprio mentre discutiamo di sistemi di difesa, inserire nel dispositivo di questa o di altra mozione coerente con lo stesso argomento l'impegno a istituire un corpo civile di pace presso il Comitato per la difesa civile non armata e nonviolenta e a sostenere lo sviluppo di percorsi formativi per gli operatori di pace e a riconoscere le competenze tramite l'istituzione di un albo nazionale degli operatori di pace. 
  Il tempo in cui discutiamo di queste scelte è inoltre segnato con tutta chiarezza da problemi sociali ed economici che lasciano poco spazio ad equivoci, da parte nostra siamo convinti che la spesa sociale sia una priorità per la sicurezza del nostro Paese, dentro i confini prima che sul limes che essi segnano, limes che ha bisogno con sempre maggior chiarezza, anche in campo militare, di un fermo orientamento a carattere europeo. L'integrazione militare sarà infatti figlio maturo dell'unità politica europea, di cui l'Europa e molti, sicuramente in maggioranza, ci diciamo convinti.

  PRESIDENTE. Deve concludere.

  GIORGIO ZANIN. Ecco io penso che queste cose siano da porre al centro della nostra attenzione e del nostro dibattito, per questo mi impegnerò anche all'interno del mio gruppo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Brescia. Ne ha facoltà, per nove minuti.

  GIUSEPPE BRESCIA. Signor Presidente, il MoVimento 5 Stelle è assolutamente contrario all'acquisto dei cacciabombardieri F-35 e lo è per i più svariati motivi, perché sono inutili, perché sono un immane spreco che non possiamo permetterci e perché sono anticostituzionali. Gli F-35 sono aerei da guerra e io vorrei farvi riflettere su cosa è diventata la guerra oggi e farvi quindi comprendere i motivi profondi che ci spingono a dire «no» agli F-35.Pag. 67
  Le guerre moderne si fondano sul principio che contrastare un esercito nemico non basta più, occorre colpire il Paese avversario. Fu proprio la tecnica dei bombardamenti aerei a rendere possibile questa nuova dimensione, aggredire la nazione intesa come popolazione, ricchezza, cultura e volontà avversarie per avere un vantaggio duraturo e su tutti i fronti. Così i civili risultano essere non più un effetto collaterale, ma i principali destinatari della guerra. 
  Nei conflitti di oggi, cosiddetti a bassa intensità, le vittime tra i non combattenti spesso superano il 90 per cento del totale. Soffermiamoci di più su questi dati, perché dobbiamo averli ben impressi quando schiacceremo il bottoncino: tra 100 vittime della guerra, 7 sono combattenti, 17 sono uomini non combattenti e poi, ascoltate bene, 34 sono bambini, 16 sono donne e 26 anziani; 34+16+26=76, il 76 per cento delle vittime sono donne, anziani e bambini. Circa il 7 per cento delle vittime sono combattenti e sia chiaro, il fatto che siano combattenti non significa che siano vittime tollerabili che possiamo mettere in conto, niente affatto. Se solo penso alle famiglie che lasciano nel dolore, non posso che sentire anche mio quel dolore. Il 17 per cento delle vittime sono uomini non combattenti e anche loro lasciano i loro cari senza un punto di riferimento. È così che si creano le cosiddette vittime indirette: orfani, vedove, profughi, migranti. Il 16 per cento sono donne, oltre ad essere colpite dalle ferite loro inferte, sulle donne ricade spesso il peso famigliare e sociale del disastro che la guerra comporta. E poi ratificando la Convenzione di Istanbul. 
  Il 34 per cento delle vittime della guerra sono bambini sotto i 14 anni. Secondo la strategia militare, colpire i bambini significa sterminare la leva dei futuri combattenti, distruggere, attraverso la sofferenza dei piccoli, il morale dei padri che stanno facendo la guerra. E, allora, noi ci chiediamo se la guerra, in qualsiasi sua forma, non sia terrorismo e se noi, comprando questi aerei, non ne saremo complici. Le guerre di oggi contraddicono pesantemente gli impegni presi alla fine della seconda guerra mondiale. L'umanità, sopravvissuta a questa tragedia, si ricostituì con un punto fermo: quanto era successo non doveva più ripetersi, la guerra era da abolire nella storia e nella pratica politica. Per questo, la comunità internazionale scelse di dotarsi di uno strumento, la Carta costitutiva del 1945, che aveva come fine primario quello di impedire le guerre. 
  Nell'articolo 11 della Costituzione, i padri costituenti utilizzano, non a caso, un'espressione particolarmente forte, il verbo «ripudia», che esprime il rifiuto più netto della guerra. Eppure, l'8 aprile del 2009, le Commissioni difesa di Camera e Senato hanno dato il via libera all'acquisto di 131 cacciabombardieri F-35, numero poi ridotto a 90, con una spesa che si aggira tra i 12 e i 15 miliardi, decisione che ci apprestiamo a confermare o a rivedere con il voto che ci apprestiamo a esprimere. 
  Lasciate che vi ricordi quanti investimenti alternativi potremmo attuare con quella somma in un Paese in difficoltà come il nostro. Il mio primo pensiero va a quella mozione del MoVimento 5 stelle che, meno di due settimane fa, chiedeva il ripristino dei fondi al comparto istruzione, cultura, università e ricerca. Erano quasi otto i miliardi necessari in quel caso e ci avete detto che non c'era copertura finanziaria. Dico questo mentre ci giunge la notizia che il Ministro Carrozza ha stanziato 300 milioni per l'edilizia scolastica e mi viene da raccogliere una frase raccapricciante, che ho sentito pronunziare in quest'Aula venerdì scorso e che rispediamo al mittente: la scuola italiana non sa che farsene della vostra elemosina ! Potremmo finanziare il reddito minimo garantito, per esempio, perché vi ricordiamo che la gente continua a suicidarsi perché non arriva alla fine del mese. Insomma, ne potremmo fare tantissime di cose ben più importanti, ma noi lo sappiamo bene questo. Siete voi il punto. Voi cosa ne pensate ? Queste qui non sono solo parole: non si tratta di strategia politica, stiamo parlando di morte. Quante volte ci alziamo in piedi in quest'Aula e osserviamoPag. 68un minuto di raccoglimento in memoria di una persona che non c’è più ? Quante volte correte davanti alle telecamere pronti ad esprimere solidarietà per questa, o quella famiglia o, giustamente, sollevate polveroni anche per un solo morto che si poteva evitare ? Beh, se davvero firmerete l'acquisto anche di un solo cacciabombardiere, vi renderete complici di una strage di esseri umani (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)
  Chi dice che questi aerei serviranno per la pace, dovrebbe, quantomeno, avere il buon senso di rimanere in silenzio. Se davvero avete il coraggio di utilizzare i soldi che gli italiani vi hanno affidato, se avete il coraggio di andare avanti con questo provvedimento e di diventare degli assassini, vi chiedo come potrete – una volta tornati nelle vostre case, con le vostre famiglie e i vostri bambini accanto – addormentarvi sereni. 
  A guardare la storia di questa mozione, le speranze sono davvero flebili e questo voglio che gli italiani lo sappiano. Quando è partita questa iniziativa, le firme raccolte erano molto più di 158, di cui – ricordo – 109 sono del MoVimento 5 Stelle. C'erano molte adesioni, anche da parte del PD, poi, con la formazione del partito unico, molti piddini sono corsi a ritirare la firma. Temendo cosa ? Spiegatelo ai vostri elettori questo ! Cosa nascondete ? Cosa c’è dietro questi aerei ? Spiegatelo agli italiani ! Sono sicuro che troverete le parole anche per giustificare questa scelta scellerata. D'altronde, trovare scuse è il vostro mestiere(Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)
  Voglio chiudere con una citazione, un pensiero che dovrebbe – a mio avviso – accompagnare sempre le nostre scelte: «Siate sempre capaci di sentire, nel più profondo, qualunque ingiustizia commessa, contro chiunque, in qualunque parte del mondo»(Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Grassi. Ne ha facoltà, per 10 minuti.

  GERO GRASSI. Onorevole Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, parto da una considerazione finale. Lo dico al collega che ha appena finito di parlare. Io non ho firmato la mozione di SEL, sono del Partito Democratico, sono contro gli F-35e ho sempre votato contro il riarmo nelle due scorse legislature (Applausi di deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Non credo di essere un'anomalia. 
  Sul provvedimento in discussione, secondo me ci sono due ragioni. Ci sono ragioni di ordine giuridico-economico e ci sono ragioni di ordine morale. A me sembra, per le prime, che nel momento in cui non abbiamo ancora una politica di pace europea – io non la chiamo di difesa, ma di pace europea –, nel momento in cui abbiamo ancora eserciti singoli per le diverse nazioni europee, il cui comportamento spesso è in contraddizione tra loro, nel momento in cui sulla materia in questione ci sono atti pubblici, da parte delle nazioni europee, che assumono una valenza che ci deve indurre a riflettere, perché se l'Olanda si comporta in un certo modo, se l'Inghilterra fa altrettanto, se la Germania – la Germania – assume determinati atteggiamenti, noi per lo meno il dubbio dobbiamo averlo. Dobbiamo avere il dubbio sulla validità di questo progetto, sulla validità di questi aerei, sulla opportunità di questa operazione. 
  Si può continuare e dire tante cose. Si potrebbe dire – e io credo che affermare poi, come risposta, che questa è demagogia e populismo sia sbagliato – che in un tempo di spending review accentuata, una da parte di chi può farla, e una spending reviewche c’è gente che fa non perché decide di farla, ma perché costretta a farla, il dubbio sull'opportunità di questa operazione deve venirci. Si potrebbe dire che il costo della manutenzione e dell'efficienza degli F-35 è tre volte superiore al costo dell'acquisto. Si potrebbe dire che per trent'anni noi saremo vincolati ad una massa di denaro che andrebbe tutta inPag. 69direzione del riarmo. Si potrebbe ipotizzare che questo denaro fosse devoluto alla scuola. Si potrebbe pensare che questo denaro fosse devoluto all'ambiente. Si potrebbe pensare che questo denaro fosse devoluto al welfare
  Guardate, queste cose che vi sto dicendo le ha sostenute un vescovo in odore di santità oggi che, con me e con tanti altri amici, sulla fine degli anni Ottanta, ha combattuto la battaglia degli F-16. Quel vescovo, in odore di santità oggi, si chiamava don Tonino Bello e aveva insegnato a noi, giovani di diversi partiti che a quel tempo, però, avevamo la responsabilità di un comune della provincia di Bari, che la parola pace, shalom, non va pronunciata a metà, va pronunciata tutta (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) e che la parola pace non può indurci a calcolare quello che dobbiamo fare su un tema del genere, perché il Vangelo ci dice quello che dobbiamo fare. E perché noi dobbiamo fare quello che vogliamo fare ? 
  Per un motivo molto semplice, perché la nostra coscienza non starebbe a posto se destinassimo 50 miliardi agli F-35, perché questa è la somma complessiva dell'investimento, dell'acquisto e della manutenzione per un certo numero di anni. Non si oppongano a questa motivazione le ragioni dell'occupazione. Si tratta di mille dipendenti, che non sono pochi, ma sono mille persone. Non si oppongano a queste motivazioni le ragioni dei Trattati internazionali né si venga a dire che usciamo dall'Europa, perché chi parla vorrebbe più Europa, tant’è che aspira ad un unico Ministro della pace europeo, ad un unico Ministro delle finanze, ad un unico Ministro degli esteri e su queste cose la nostra Italia e i Governi che si sono succeduti sono fortemente in ritardo. 
  Ecco perché io auspico che domani il Parlamento sia in grado di approvare un'unica mozione, senza paure, senza infingimenti, senza attribuzioni di paternità o di maternità. Io auspico che il Parlamento domani esprima, quasi gridando, la parola pace. Guardate, non è in contraddizione con il Governo. Non è in contraddizione con quello che noi siamo in Europa. 
  Io auspico – e concludo – che la vicenda degli F-35 non aumenti divisioni all'interno di quest'Aula e all'interno del Paese ma, ascoltando solo i bisogni delle persone, il Parlamento sappia destinare la manovra economica che si paventa per l'acquisto degli F-35 a chi ne ha bisogno nella nostra Italia, destinando quest'ammasso di denaro a chi la spending review la subisce, perché spesso non può mangiare, non può curarsi, non può studiare. Non credo che tutto questo sia parlare contro il Ministro della difesa o sia parlare contro il Governo. Tutto questo significa parlare a favore dei bisogni primari delle persone. Io sono uno di quelli che nella mozione inserirebbe anche il divieto della costruzione di armi giocattolo, perché è da lì che si parte nella diffusione e nella consapevolezza di una cultura di pace. Io sono uno di quelli che invita il Ministro a cambiare anche il nome del suo Ministero, non Ministero della difesa, ma Ministero della pace. L'Italia nel Mediterraneo, nel Medio Oriente, nel terzo mondo, quello che volgarmente viene chiamato terzo mondo, non deve diffondere gli F-35, deve costruire, insieme con l'Europa, una grande missione di pace, che significa portare lì sviluppo, sanità, istruzione e benessere. Questi sono i nostri F-35 (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Beni. Ne ha facoltà, per cinque minuti.

  PAOLO BENI. Signor Presidente, colleghi e colleghe, signori del Governo, stiamo discutendo un tema delicato indubbiamente, su cui sappiamo che c’è forte attenzione dell'opinione pubblica, che riguarda questioni di grande rilevanza, quali i sistemi d'arma, la difesa e la sicurezza del Paese. Il progetto di costruzione dei cacciabombardieri F-35 vede l'Italia impegnata con gli Stati Uniti ed altri Paesi. Sono velivoli di nuova generazione, idoneiPag. 70ad operare negli scenari di guerra, con funzioni di attacco ed anche per il trasporto di ordigni nucleari. Ebbene, io penso che questo sia un progetto molto discutibile per diversi motivi. Intanto per i costi faraonici, oltre 100 milioni di dollari ogni aereo, e sono stime non definitive, destinate probabilmente a lievitare ulteriormente. Poi ci sono dubbi anche sull'affidabilità tecnica di questi velivoli, nelle prestazioni, negli standard di sicurezza. 
  Le criticità emerse nel corso dell'avanzamento del programma, documentate dalla stampa internazionale specializzata, hanno già portato ritardi e ulteriori costi. Inoltre, anche i vantaggi occupazionali che l'Italia aveva previsto in base agli accordi industriali legati alla partecipazione al programma, sono notevolmente ridimensionati rispetto alle stime a suo tempo ipotizzate. 
  Pare discutibile anche la tipologia del velivolo scelto per sostituire gli attuali mezzi della flotta: un aereo particolarmente sofisticato, con caratteristiche di attacco, di cui non si comprende, francamente, l'utilità in relazione a quelli che sono oggi gli impegni internazionali delle nostre Forze armate nel mondo.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI (ore 18)

  PAOLO BENI. Per non parlare del fatto che un investimento così ingente nei mezzi aerei rischia di sottrarre risorse preziose all'efficienza delle forze di terra, di mare e dell'intero strumento militare. 
  Molti dei Paesi coinvolti nel progetto hanno già ridimensionato il loro impegno finanziario o sono usciti dal programma, come il Canada, o hanno rinviato la decisione in attesa di indagini e approfondimenti, come la Gran Bretagna e l'Olanda. 
  Quindi, costi elevati, prestazioni incerte, ricadute occupazionali inferiori alle attese: ci sono molti validi motivi – e non ho parlato ancora del tema su cui si è dilungato l'intervento precedente e non perché non lo condivida interamente – perché anche l'Italia operi un ripensamento su questo progetto, tanto più che non ha sottoscritto contratti definitivi e passibili di eventuali penali. 
  Ma c’è dell'altro: accanto a questi elementi, non possiamo non considerare la preoccupazione del Paese per il crescente disagio sociale, la scarsità delle risorse da destinare ai servizi di welfare, all'istruzione e alla formazione. Ebbene, guardate che, se mancano le risorse per il lavoro, l'istruzione e le politiche sociali, anche le spese militari vanno ridimensionate. Il Paese non capirebbe perché spendere montagne di soldi pubblici per le armi e non lo tollererebbe. E questo – si badi bene – non vuol dire trascurare la sicurezza del Paese, semmai si tratta di definire un programma complessivo di adeguamento anche dei sistemi d'arma nell'ambito di una revisione del modello di difesa e del ruolo delle nostre Forze armate, che sia coerente con la vocazione di un Paese che attua una politica estera orientata alla costruzione della pace e della prevenzione dei conflitti. 
  Del resto, l'articolo 4 della legge n. 244 del 2012 definisce con chiarezza la titolarità del Parlamento in materia di pianificazione dei programmi di ammodernamento e rinnovamento dei sistemi d'arma e impegna il Governo a fornire annualmente al Parlamento la documentazione necessaria. 
  Per questo io penso che, prima di procedere oltre nel programma di costruzione degli F35, sarebbe il caso di fermarsi. Sarebbe il caso di fermarsi, di avviare una opportuna e adeguata indagine conoscitiva da parte del Parlamento sulla situazione dei nostri sistemi d'arma e, solo successivamente, assumere nella sede parlamentare le opportune decisioni. In attesa del completamento di questo processo, io penso che vada sospeso il progetto ed ogni azione connessa ad esso (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.