Crisi economica in Italia: i costi dell’acquisto e della gestione dei caccia F-35

Maurizio Simoncelli
Fonte: Diretta News - 02 marzo 2012

La crisi economica che l’Italia sta attraversando ha portato, seppur parzialmente, all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale la questione delle spese militari, rappresentate dalla volontà governativa di acquistare 131 aerei F-35 per un costo complessivo di 15 miliardi di euro, a cui vanno aggiunti i costi dei propulsori, cioè i motori. F35

La produzione del Joint Strike Fighter F-35 coinvolge, oltre agli Stati Uniti, altre otto nazioni: il Regno Unito, l’Italia, l’Olanda, la Turchia, il Canada, la Danimarca, la Norvegia e l’Australia. E’ un caccia multiruolo di quinta generazione monoposto, a singolo propulsore, con capacità stealth, che può essere utilizzato per supporto aereo ravvicinato, bombardamento tattico e missioni di superiorità aerea. Capoprogetto, per così dire, è l’americana Lockheed Martin.

Stando ad un recente paper realizzato dall’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo, secondo quanto previsto originariamente per le aziende italiane, Alenia Aeronautica dovrebbe realizzare il cassone alare del 100% dei velivoli destinati all’esercito italiano e del 50% di quelli riservati per USA e Regno Unito. Avio avrebbe il compito di sviluppare e produrre il sistema di trasmissione e parte della turbina del motore F136. Galileo Avionica sarebbe incaricata dello sviluppo e della costruzione della cella “sotto vuoto” del sistema di controllo di tiro. Elsag sarebbe interessata ai sistemi informativi a supporto dello sviluppo del prodotto e per la logistica. A Marconi Selenia Communications sarebbe assegnata la realizzazione dei sistemi radio di riserva. Altre industrie italiane avrebbero ottenuto contratti e sarebbero successivamente impegnate nelle fasi seguenti del programma: Aerea (piloni di lancio dei missili), Datamat, Gemelli, Logic, Selex Communication, Marconi, Sirio Panel (schermi e luci dell’abitacolo), Mecaer, Moog, Oma, Oto Melara, Secondo Mona, Sicamb (seggiolino eiettabile), Consorzio S3Log, Elettronica, Aermacchi e Vitrociset.

Da parte dei vertici delle forze armate e delle industrie si è detto che questa mole di finanziamenti genererebbe a regime 10.000 posti di lavoro. In realtà, dice Gianni Alioti della FIM Cisl Internazionale, “nonostante la partecipazione al programma F35, costato finora – ai contribuenti italiani – intorno ai 2,5 Miliardi di euro per la fase di sviluppo e industrializzazione e per gli investimenti a Cameri [la località piemontese dove saranno parzialmente prodotti e assemblati, n.d.a.], l’occupazione nel settore aeronautico in Italia (senza contare le perdite consistenti nell’elettronica per la difesa) avrà nel 2012 un saldo negativo di 1.280 unità rispetto al 2012″.

Tre settimane fa, il ministro della difesa, l’ammiraglio Di Paola, ha proposto una riduzione del quantitativo di aerei a 90, ma affermando che è comunque un sistema d’arma vitale per ammodernare il parco aerei delle nostre FF.AA (AMX, F16 e Tornado). Considerato che i costi unitari degli aerei sono andati continuamente lievitando (già dagli 80 milioni unitari iniziali agli attuali 130 milioni), come ha confermato la stessa Lockheed Martin, è difficile ipotizzare ad oggi un effettivo risparmio in questo progetto che si annuncia forse come il più costoso dell’aeronautica militare. Il costo per ora di volo è passato dai 9.145 $ del 2002 agli odierni 23.557 (US GAO 12-340). Basta pensare che, essendo il costo unitario passato dagli 8,9 miliardi di yen ai 12,2 miliardi di yen, il 24 febbraio scorso lo stesso ministro della Difesa Naoki Tanaka giapponese ha evidenziato in una lettera inviata al Pentagono l’ipotesi di blocco del maxi-acquisto di 42 aerei F-35 nel caso in cui i prezzi dovessero salire ancora, richiedendo inoltre una revisione del sistema degli appalti nell’ambito di un accordo militare di vendita che accorda agli Usa la modifica discrezionale dei prezzi. Dulcis in fundo, anche il Pentagono ormai si starebbe orientando verso una riduzione degli ordinativi di questo apparecchio che ha sollevato tante critiche pure in seno all’amministrazione militare statunitense (oltre alla Corte dei Conti statunitense GAO).

Questo sta portando in Italia anche diversi enti locali, ormai allo stremo di risorse, ad adottare in modo “bipartisan” mozioni in merito a tale utilizzo di risorse finanziarie, rivendicandone altra destinazione. Si è calcolato infatti che con il costo di un solo aereo si potrebbero realizzare 387 asili nido con 11.610 famiglie beneficiarie e circa 3.500 nuovi posti di lavoro, oppure sostenere 14.742 famiglie con disabili e anziani non autosufficienti aiutate con servizi di assistenza. Un miraggio ormai per tanti comuni.

Ma a parte il dibattito sui costi eccessivi e il balletto di cifre mai troppo chiare da parte dell’amministrazione militare, rimane una questione di fondo connessa allo scopo ultimo di questo aereo, che può essere utilizzato sulle portaerei e può avere una doppia capacità convenzionale e nucleare. Queste sue specificità hanno fatto sollevare alcune obiezioni politiche, anche in relazione al dettato costituzionale italiano e ai nostri impegni internazionali assunti aderendo al Trattato di Non Prolif Maurizio Simoncelli erazione nucleare.

Senza voler entrare per ora in un dibattito (peraltro ormai necessario sul modello di difesa italiano), da parte di alcuni si è osservato che tale programma sembra andare a concorrere con quello dell’Eurofighter Typhoon (prodotto da un consorzio europeo costituitosi nel 1983 e composto da Gran Bretagna, Germania, Italia e Spagna), riaffermando con l’impegnativa scelta dell’F-35 il predominio statunitense rispetto a quello europeo nel settore della cooperazione di produzione degli armamenti.

L’Eurofighter, definito dalla Finmeccanica nel febbraio 2010 “fulcro della tecnologia aerospaziale e di difesa europea”, è un velivolo multiruolo con ruolo primario di caccia da superiorità aerea e intercettore, di quarta generazione e mezza (non pienamente stealth), con bimotore a getto e con ala a delta. Peraltro, questo aereo è ritenuto da alcuni non al livello di altri apparecchi concorrenti (come l’F-15, l’F-16, l’F-35 e il Gripen), al punto che, oltre ai quattro paesi produttori, solo un altro paio di governi lo hanno sinora acquistato (Arabia saudita e Austria). Lo stesso ministro Di Paola ha affermato all’ADN Kronos che “nelle prossime settimane o al massimo fra pochi mesi piazzeremo l’ordine per i primi 3 velivoli, e poi di anno in anno saranno fra i 3 e i 5. Il costo iniziale sarà più alto, circa 80 milioni di euro; ma poi scenderà, forse intorno ai 70 o anche 60 milioni di euro: dipenderà dal numero delle richieste totali. Ma consideriamo che gli Eurofighter ci sono costati praticamente il doppio, rispetto a queste cifre”. Anche se diverse fonti parlano di circa 80 milioni ad esemplare per l’Eurofighter, si continua a navigare nell’incertezza delle cifre. Pure nelle affermazioni del ministro traspare che, in poche parole, non si sa quanto potrà costare neppure questo impegnativo progetto.

Comunque, considerati i problemi sia dell’uno sia dell’altro apparecchio, la scelta può essere certamente influenzata dai costi significativamente diversi e dalle scelte di politica industriale nel settore della difesa, più o meno europeiste. Un dato è certo: gli Usa, come è stato dichiarato, non hanno nessuna intenzione di condividere le tecnologie più avanzate (stealth) con i partner. D’altro canto, secondo “Eurofighter World” 2/2010, l’F-35 non è nettamente superiore all’Eurofighter in tutti i parametri tecnici e, pertanto, la scelta non sembrerebbe semplicemente dovuta ad una supposta superiorità tecnica.

Insomma appare certamente un quadro ingarbugliato, dove da un lato le forze armate premono per rinnovare il parco macchine aereo, dall’altro le esigenze di bilanci ormai all’osso chiedono urgenti ripensamenti o quantomeno rinvii in attesa di tempi migliori (come hanno fatto in vario modo la Danimarca, la Gran Bretagna, la Turchia, l’Australia ecc.).

Un bel rebus anche per il governo tecnico italiano e per i partiti che lo sostengono alle prese con drastici tagli alle pensioni, all’istruzione e alla sanità (la cosiddetta politica di “lacrime e sangue”), sempre meno accettati dall’opinione pubblica.