Con l’F-35, l’Italia si mette nella mani di Washington?

A colloquio con G. Gaiani
Daniele Scalea
Fonte: GeoPolitica - 14 febbraio 2012

Mentre in Italia infuria il dibattito sull’acquisto dei cacciabombardieri F-35, in India l’appalto per 126 caccia multiruolo è vinto dalla francese Dassault col suo Rafale. Questi eventi spostano l’attenzione sul panorama dei cosiddetti caccia di “quinta generazione” e di “quarta generazione e mezza”. Dell’argomento abbiamo discusso con Gianandrea Gaiani, analista militare, direttore di “Analisi Difesa” e collaboratore di “Panorama” e de “Il Sole 24 Ore”.

«L’F-35 è presentato come un caccia multiruolo» spiega il dott. Gaiani «ma di fatto brilla soprattutto per le sue capacità d’attacco, come cacciabombardiere». Non a caso, Gran Bretagna e Italia hanno scelto d’abbinarlo al Eurofighter Typhoon, usando quest’ultimo come caccia difensivo. La Germania ha invece optato per il solo Typhoon come aereo multiruolo, sia d’attacco sia di difesa.

Lo Eurofighter TyphoonIl dott. Gaiani illustra vantaggi e svantaggi della scelta tedesca di privilegiare il Typhoon: «Non si ha la tecnologia del F-35», che a differenza dei rivali è ancora in corso di sviluppo, ma quando entrerà in servizio sarà l’aereo più avanzato al mondo; «però la spesa da sostenere è inferiore, ed inoltre si dà lavoro all’industria nazionale». Il consorzio Eurofighter è infatti composto dalla tedesca EADS Deutschland, dalla spagnola EADS CASA, dalla britannica BAE e dall’italiana Alenia; il motore EJ200 è stato sviluppato dalla Eurojet, consorzio con la britannica Rolls-Royce, la tedesca MTU, l’italiana Avio e la spagnola ITP. Rispetto al programma F-35 le industrie europee, tra cui quella italiana, figurano solo come fornitrici o sub-fornitrici di quella statunitense, lavorando unicamente alla produzione di talune componenti.

Malgrado il Typhoon sia stato venduto in alcuni paesi arabi e il Rafale abbia recentemente vinto la commessa indiana, il dott. Gaiani non crede che, fra dieci anni, esisteranno in Occidente altri velivoli da combattimento in produzione al di fuori dello statunitense F-35. «Il Rafale è stato acquisito in 200 Il Dassault Rafaleesemplari dalla Francia, ma non ha avuto altri successi nell’esportazione a parte il recente caso indiano. Qui ha beneficiato di tre fattori. Il primo è la tradizione d’impiego d’aerei francesi da parte dell’aviazione indiana. Il secondo è il prezzo ridotto cui è stato offerto a Nuova Delhi (pare meno di 100 milioni ad esemplare, contro i 120 circa del prezzo normale). Il terzo è la “pubblicità” che si è fatto partecipando ai bombardamenti sulla Libia». Guerra in Libia che, tra le altre cose, è servita proprio come vetrina promozionale del caccia della Dassault (operativo pure in Afghanistan), tant’è vero che ai francesi potrebbero ora aprirsi pure i mercati del Brasile e della Svizzera. In ogni caso l’F-35, pur uscendo in ritardo ed essendo più costoso, avrà un paio di vantaggi significativi: sarà più avanzato tecnologicamente, e verrà acquistato in tutto l’Occidente. In particolare, le sue maggiori peculiarità tecniche saranno la dislocazione delle armi nella stiva anziché sotto le ali (cosa che ne incrementerà l’invisibilità ai radar) e la capacità d’interfacciarsi con altre piattaforme, scambiando rapidamente immagini e dati con altri velivoli e truppe a terra, integrandosi in un sistema a rete secondo i dettami della “guerra netcentrica”.

Il Suchoj PAK FAAl di fuori della NATO, spiega il dott. Gaiani, esistono altri caccia di ultima generazione: si tratta dei russi Suchoj Su-30 e Su-35 e soprattutto del PAK FA in fase di sviluppo, e del cinese J-20. Ma hanno alcuni svantaggi rispetto all’omologo statunitense. I russi, per quanto capaci di progettare aeroplani tecnologicamente molto avanzati, pagano le ristrettezze del loro bilancio militare, che non permettono a Mosca di commissionarne un gran numero per se stessa. La Cina, invece, è ancora tecnologicamente arretrata – rispetto ai velivoli da guerra – di circa un ventennio. Ecco perché l’F-35 potrebbe fare la differenza, quando entrerà in servizio. Ma rimane pur sempre un’incognita: adottare le tecnologie più avanzate richiede tempi di sviluppo più lunghi; ed in questo lasso di tempo è probabile che le tecnologie anti-aereo (come i radar) facciano a loro volta progressi, vanificando in parte le aspettative per il velivolo d’attacco.

Fatta chiarezza su questi punti, torniamo all’Italia ed alle polemiche nostrane sull’acquisizione degli F-35. Secondo Gaiani, la questione andrebbe valutata, prima ancora che militarmente, nell’ottica degli affari. Obama, assurto alla presidenza degli USA, ha cancellato tutte le commesse che il Pentagono aveva accordato a produttori italiani (Agusta e Finmeccanica) ed il programma relativo al C-27J della Alenia. Si trattava spesso di commesse concesse da Washington anche per ricompensare Roma dell’impegno prestato in Afghanistan e Iraq. Secondo una logica di reciprocità, il dott. Gaiani ritiene che l’Italia avrebbe dovuto per lo meno chiedere, in cambio della conferma dell’acquisto degli F-35 nordamericani, la selezione del M-346 Master della Alenia Aermacchi nell’imminente gara per il nuovo aereo da addestramento statunitense. Ma nessun elemento oggi lascia pensare che sia stato stretto un simile accordo.

Il Lockheed Martin F-35L’alternativa all’acquisto degli F-35, spiega il direttore di “Analisi Difesa”, sarebbe stata l’adozione del Typhoon anche come aereo d’attacco, sulla scorta dell’esempio tedesco. Ciò avrebbe significato maggiori posti di lavoro in Italia: del consorzio Eurofighter fa infatti parte Finmeccanica tramite la controllata Alenia. Il generale De Bertolis ha previsto che degli 11.000 addetti attuali impiegati in Italia per la produzione di Typhoon, 10.000 saranno assorbiti dalle forniture legate al F-35. «Malgrado ammetta che vi sarà una perdita di 1000 posti di lavoro, mi pare comunque una valutazione ottimista» confessa il dott. Gaiani, ricordando che attualmente sono solo 1500 i lavoratori italiani impegnati nel programma F-35.

A volere con forza l’F-35 sono state l’Aeronautica e la Marina italiane. Esse desiderano un caccia più moderno, che per giunta sarà adottato anche da USA e GB, gli alleati principali, col quale sarà dunque più facile integrarsi. C’è una ragione ulteriore per cui la Marina desidera avere l’F-35: «La portaerei Cavour impiega gli Harrier – spiega il dott. Gaiani – che fra 10 o 15 anni dovranno essere sostituiti; e dei velivoli in ballo, solo la variante F-35B ha la necessaria capacità di decollo ed atterraggio verticale». Si tratta comunque di 20 aerei, mentre l’ordine complessivo, anche dopo il taglio recentemente annunciato per ridurre le spese, ammonterà comunque a 90 o 100 F-35. Il dott. Gaiani ha sostenuto in un articolo la possibilità di acquisire in leasing i 20 F-35B necessari alla Marina, fra 10 o 15 anni.

L'abitacolo del F-35Infatti, il rovescio della medaglia è il possibile colpo di grazia che potrebbe essere dato alla nostra industria militare. Questa dovrebbe essere una valutazione strategica da fare a monte. Nessuno vi ha pensato, chiediamo al dott. Gaiani? «In realtà questa valutazione è stata fatta senz’altro, fin dagli anni ’90, da tutti i governi di destra e sinistra che, da allora, hanno deciso e poi confermato l’acquisto degli F-35». Ed il problema va ben oltre la nostra industria della Difesa, come spiega l’editorialista di “Panorama” e del “Sole 24 Ore”: «Con l’F-35 saremo totalmente nelle mani di Washington. Acquisiremo sì alcune tecnologie, ma non l’hardware. Poniamo per assurdo che tra vent’anni decidessimo d’usare questi aerei, non dico contro gli USA, ma contro un paese alleato degli USA o comunque in una missione sgradita a Washington. Il sistema computerizzato dell’aereo, il suo cuore elettronico, è accessibile esclusivamente agli statunitensi». L’F-35 molto probabilmente potrà essere usato solo al fianco degli USA. Rischia insomma di rivelarsi una scelta sbagliata se, come ritiene probabile il dott. Gaiani, tra qualche anno potremmo non essere più alleati di Washington, perché i rispettivi interessi nazionali si stanno differenziando in maniera sempre più evidente già oggi.

Proprio pochi giorni fa, l’8 febbraio, il Consiglio Supremo di Difesa italiano ha ribadito la “ineludibile necessità” d’integrare i sistemi difensivi dell’Unione Europea.«Si parla tanto d’integrazione europea – commenta amaro il dott. Gaiani – ma poi ci si mette completamente nelle mani degli USA».

Note: Daniele Scalea è condirettore di "Geopolitica", segretario scientifico dell'IsAG (Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie).