Alla Camera inizia la discussione delle mozioni sul caccia F-35

La prima ad essere presentata nel 2010 la Pezzotta-Sarubbi stimolata dalla nostra campagna
Fonte: Camera dei Deputati

Camera dei Deputati Oggi lunedì 12 marzo 2012 è finalmente iniziata la discussione alla Camera delle mozioni sul tema F-35 e sulla preventivata riforma dello strumento militare. Ricordiamo che la nostra campagna ha da tempo (circa due anni) chiesto che fosse il Parlamento ad affrontare sia la questione dell'acquisto dei cacciabombardieri JSF sia la revisione delle spese militari italiane. E' quindi importante che oggi il dibattito abbia preso inizio.

Va considerato che mentre la mozione Pezzotta-Sarubbi (stimolata dalla campagna nel 2010 come l'analoga mozione Veronesi al Senato) è sul piatto da molto tempo, subendo molti ritardi quando la questione delle spese militari e dei caccia F-35 era meno sentita dall'opinione pubblica, diversi altri testi sono stati presentati in questi giorni ed addirittura in queste ultime ore. Sintomo che - finalmente - le spese militari e gli onerosi acquisti di armamenti stanno uscendo, almeno questo è il nostro auspicio, dalle segrete stanze del Ministero della Difesa per diventare tema di dominio e discussione pubblica. Una necessità imprescindibile a nostro parere, viste le questioni e i rilevanti fondi in gioco.

Di seguito il resoconto sommario della prima parte di discussione generale sulle mozioni (vi terremo informati relativamente alle prossime sedute ed alle votazioni)

UPDATE di seguito viene riproposto il resoconto stenografico di quanto discusso in Aula oggi alla Camera

***

 

Discussione delle mozioni Di Stanislao ed altri n. 1-00781, Pezzotta, Sarubbi ed altri n. 1-00408, Gidoni ed altri n. 1-00861, Porfidia ed altri 1-00862, Moffa ed altri n. 1-00907, Misiti ed altri n. 1-00908 e Rugghia ed altri n. 1-00909 sulla riduzione e razionalizzazione delle spese militari, con particolare riferimento al blocco del programma per la produzione e l'acquisto dei cacciabombardieri Joint Strike Fighter (JSF) F-35 (ore 13,40).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Di Stanislao ed altri n. 1-00781, Pezzotta, Sarubbi ed altri n. 1-00408, Gidoni ed altri n. 1-00861, Porfidia ed altri 1-00862, Moffa ed altri n. 1-00907, Misiti ed altri n. 1-00908 e Rugghia ed altri n. 1-00909, sulla riduzione e razionalizzazione delle spese militari, con particolare riferimento al blocco del programma per la produzione e l'acquisto dei cacciabombardieri Joint Strike Fighter (JSF) F-35 (vedi l'allegato A - Mozioni). Pag. 40
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che è stata altresì presentata la mozione Cicu ed altri n. 1-00920 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00781. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, l'Italia dei Valori è soddisfatta che finalmente il Parlamento sia investito di questo tema e che si possa finalmente discutere, io credo ampiamente e laicamente, su un tema che evidentemente non è di competenza esclusiva del Governo, affinché attraverso il Governo si coinvolga direttamente il Parlamento con le sue prerogative, significando che, nel momento in cui il Governo propone, il Parlamento dispone. Almeno nelle democrazie più avanzate così funziona. Quando viene portato all'attenzione della comunità nazionale - non solo ed esclusivamente del Parlamento e delle Commissioni - un tema così importante, soprattutto in questa fase economica, ci dovrebbe essere la ricerca da parte del Governo e della maggioranza che lo sostiene di un confronto e di un dibattito che faccia evidenziare la qualità - lo dico tra virgolette - della proposta cosicché il Parlamento se ne impossessi in qualche modo facendo un'ampia discussione, laddove ha convinzione, scienza e coscienza di poterlo rappresentare e anche votare favorevolmente. L'Italia dei Valori ha posto una riflessione importante, scevra da propaganda e demagogia.

Pag. 41

Ha espresso delle convinzioni politiche-istituzionali, richiamandosi ad una coscienza collettiva che, in qualche modo, è stata travolta rispetto alla necessità, invece, di oggettivare il dato relativo alla tematica in questione.
Dunque, oggi parlare della mozione, in termini di riduzione e razionalizzazione delle spese militari, con particolare riferimento agli F-35, evidentemente ci pone finalmente, grazie all'Italia dei Valori, in una dimensione europea del dibattito, cosa che fino ad oggi non è accaduta. Vi è stato, in un certo senso, un convitato di pietra. Come non pensare che in questa situazione di crisi, così grande e profonda, che ha lacerato e diviso interi comparti della nostra società, non si possa e non si debba discutere di una spending review che tenga conto del fatto che, nell'ambito di tale dato, non vi può essere esclusivamente la riduzione e la cancellazione di impegni assunti, ma che questi impegni devono essere riferiti e riorientati rispetto ad un modello di difesa che non si può esaurire «nell'orticello» dello Stato italiano e in una dimensione governativa e che deve coinvolgere, invece, anche la dimensione europea; dovremmo parlare in maniera importante, seria e approfondita - e ritengo, laddove possibile, con cognizione di causa - dei temi che riguardano una Maastricht della difesa europea, che comprenda anche l'Italia affinché non pensi di lavorare in uno splendido isolamento perché, nel raccordo, nel coordinamento nell'ambito della dimensione europea, esiste anche il modello di difesa europeo-nazionale.
Dunque, è su questi temi - che dovrebbero far tremare i polsi e che hanno attivato meccanismi di riflessione, dentro e fuori quest'Aula - che noi, con la nostra disponibilità, parlo dell'Italia dei Valori, abbiamo sollecitato una riflessione nel Paese, al di fuori del recinto istituzionale. Infatti, ora possiamo avere più competenza, conoscenza e pensare ulteriormente in che modo e in che misura offrire una riflessione, dando, in qualche modo, una convinzione agli italiani partendo da alcune situazioni che si sono ormai consolidate, facendo capire quali sono le posizioni politiche e istituzionali in maniera intelligibile, affinché non vi sia più confusione di ruoli e di funzioni ma in modo che ognuno si riprenda la propria responsabilità in termini di scienza e coscienza, di capacità Pag. 42propositiva politica ma anche di capacità di mettere in campo una dimensione delle risorse che abbia a che fare anche con la nostra cultura e con la nostra Costituzione.
Quando diciamo che gli F-35 sono e devono rimanere improponibili, nella dimensione della nostra Carta costituzionale, è perché l'articolo 11 lo vieta. L'Italia non partecipa alle azioni in maniera offensiva ma difensiva e si propone anche nelle missioni di pace attraverso la sua capacità di mettere in campo elementi che hanno a che fare con la stabilizzazione, l'addestramento e la formazione, ossia tutta quella capacità di umanizzazione e di modelli di riferimento che fanno crescere le società nelle quali siamo impegnati a dare un contributo definitivo per il loro rilancio. Mi riferisco, evidentemente, non solo e non tanto all'Afghanistan ma anche laddove siamo stati bravi ad essere interpreti di un ruolo, nelle missioni internazionali, che va nel senso che ci indica l'articolo 11 delle Costituzione.
Ebbene, oggi questa riflessione ci pone nella dimensione, finalmente, di carattere europeo e internazionale e ci pone anche in linea con quanto già si fa negli Stati occidentali e nelle democrazie avanzate, dove si affida al Parlamento una proposta senza che, in qualche modo, ne siano condizionati gli esiti, come aveva tentato inizialmente di fare il Governo e anche, in qualche modo, parte della maggioranza che lo sostiene. Perché questo? Perché oggi siamo ad un punto in cui l'Italia è tra i primi otto Paesi al mondo per spese militari e perché al momento incombono sul suo bilancio ben 71 programmi di ammodernamento e riconfigurazione di sistemi d'arma, che ipotecano la spesa bellica da qui al 2026. Quindi, bisogna ragionarci.
D'altro lato, vi è un aspetto in qualche modo dirimente, che viene fuori anche dall'anelito di forte presenza che vuol richiamare anche il comparto, che già si sente fortemente penalizzato dal punto di vista del taglio delle risorse, degli stipendi, del personale, della formazione e dell'addestramento, e che non ha possibilità di trovare, in un certo senso, una comprensione e una giusta causa di riconoscimento perché si è impegnato in questo costosissimo programma che non ha nulla a che fare, invece, con gli intendimenti che dovrebbe avere il nostro comparto difesa in relazione all'articolo 11 della Costituzione. Pag. 43
Voglio dire che vi è un'ambizione smodata a diventare potenza militare mondiale e non ci si occupa, invece, dell'addestramento, delle risorse, della messa in sicurezza dei nostri militari e dei nostri mezzi impegnati sul campo.
Su questi temi ci siamo impegnati ed evidentemente abbiamo posto un problema più alto, più forte e più profondo, non limitato agli F35, significando anche che noi mettiamo in campo una spesa militare, nell'ambito del nostro PIL, dell'1,4 per cento - così come emerge dai dati ufficiali della NATO - e non dello 0, 90 per cento, come indicato dal Ministero.
Quindi, questi elementi ci inducono a ripensare al tema della nostra presenza e al modo e alla misura in cui bisogna intervenire, facendo riferimento ad un modello di difesa con riferimento al quale bisogna capire se può ancora contenere questo dato, ossia gli F35 e quant'altro si muove attorno alla proposta degli F35, o se invece bisogna parlare in termini di una spending review che tenga conto di una riduzione. Se è vero, come è vero, che noi da 190 mila uomini andiamo a 140 o forse anche a 130, evidentemente parliamo di ben altra cosa, solo di spesa e non di investimenti, che non hanno nulla a che fare con la nostra cultura e - lo ripeto - con il nostro dettato costituzionale.
Evidentemente, dovremmo pensare o meglio il comparto difesa, soprattutto, in questo momento di crisi, dovrebbe pensare di più e in maniera urgente, all'esigenza di una nuova rivisitazione dell'amministrazione della difesa e dello stesso modello di difesa, che dovrebbe concentrarsi essenzialmente sull'acquisto di tecnologie e mezzi atti a garantire la sicurezza dei nostri soldati nelle missioni all'estero piuttosto che l'acquisizione di armamenti atti all'offesa, ossia un modello di difesa incentrato sulla formazione e sull'addestramento dei nostri soldati; altro che F 35!
È su questo tema che dovremmo interrogarci, ossia sul perché in questi anni non si è più discusso, anzi si è taciuto - si parla di convitato di pietra - del nuovo modello di difesa, del futuro delle Forze armate nazionali e del ruolo del Paese sulla scena internazionale.
Noi di questo abbiamo voluto investire il Parlamento, la comunità nazionale e le associazioni, che hanno offerto un grande contributo di idee, di progetti e di riflessioni, che noi in qualche modo abbiamo favorito come gruppo dell'Italia dei Valori, ampliando la disponibilità alla discussione in Aula Pag. 44perché abbiamo voluto sentire tutti: non solo e non tanto il Ministero della difesa e il Ministro, non tanto e non solo questi aspetti anche riconducibili all'esperienza di Cameri, che poi prenderò in esame nella dichiarazione di voto. Credo che su questi temi il gruppo dell'Italia dei Valori sia andato dritto alla questione, senza infingimenti di sorta, assumendo una posizione in qualche modo intelligibile, che si muove tra scienza e coscienza e mette al centro della riflessione la politica, la cultura e la Costituzione di questo Paese.
Abbiamo chiesto semplicemente - e mi avvio alla conclusione - un impegno al Governo. Gli impegni sono indirizzati ad assumere iniziative volte a bloccare in via definitiva il programma per la produzione e l'acquisto dei 131 cacciabombardieri ed a valutare la reale possibilità di utilizzare tali risorse per il rilancio dell'economia ed il sostegno all'occupazione giovanile; ad assumere iniziative volte a cancellare i finanziamenti previsti per il 2012 per la produzione dei quattro sommergibili Fremm, dei cacciabombardieri F35, delle due fregate Orizzonte, con un risparmio previsto intorno ai 783 milioni di euro; a rivalutare e a ridimensionare gli accordi tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ed il Ministero della difesa al fine di reperire le necessarie risorse da destinare per la copertura delle borse di studio per tutti gli idonei durante l'anno accademico 2011-2012 e per gli anni accademici successivi; a bloccare in via definitiva il progetto della mini naja «Vivi le Forze armate» - 8 milioni e mezzo di euro buttati per far contento l'ex Ministro La Russa - con un risparmio immediato da destinare alle politiche sociali, con particolare riferimento alle famiglie ed ai minori che vivono in condizioni di povertà; ad assumere iniziative finalizzate a rivedere gli stanziamenti che interessano la difesa presenti nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, comparto strategico e fondamentale per il reale rilancio dell'economia del Paese, valutando la possibilità dell'impiego di tali risorse in ambiti di maggiore urgenza e necessità e, da ultimo ma non per ultimo, a rivedere il quadro complessivo delle spese militari prevedendo una razionalizzazione delle risorse e destinando parte di esse, stanziate per armamenti, alla formazione, all'addestramento e alla riqualificazione del personale del comparto.

Pag. 45

Questo in sintesi è quanto noi abbiamo chiesto e tutto il resto lo dirò nel corso della dichiarazione di voto perché credo che rispetto ai dati circolati in Italia - dai 18 miliardi in giù - oggi abbiamo un dato in più che forse ci viene fornito in maniera più analitica e in cui si parla di 20 miliardi di euro per gli F-35; pertanto su questi temi ci dovremmo interrogare perché credo che complessivamente la manovra per il comparto difesa da qui al 2036 - non più al 2026 - muoverà qualcosa come 42 milioni di euro su ogni tipo di intervento che riguardi gli armamenti. Su questo non solo ci dobbiamo interrogare, ma che ognuno si assuma la propria responsabilità politica e morale in questo Paese e che ognuno dica al Paese, in maniera convinta, decisa e intelleggibile, cosa vuole fare evitando confusione di ruoli e funzioni e soprattutto mettendo in campo finalmente una politica in cui si capisca chi è per fare qualcosa nel segno e nel solco della Costituzione e chi invece vuole essere, ripulitisi di tutto il resto, il belligerante del nuovo millennio, cosa che non ci aiuterebbe ad essere più vicini ai problemi di Paesi come l'Afghanistan, il Libano ed altri, che hanno bisogno di cooperazione piuttosto che di interventi militari.
Pertanto a questo punto capiremmo come e in che misura, con quali prospettive e profondità, l'Italia si vorrà muovere all'interno di un comparto, la Difesa, che deve essere ridisegnato, ridefinito e ricollocato in una dimensione europea e internazionale.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Enzo Carra, che illustrerà anche la mozione Pezzotta, Sarubbi ed altri n. 1-00408, di cui è cofirmatario.

ENZO CARRA. Signor Presidente, noi dell'Unione di Centro per il Terzo Polo abbiamo atteso molti mesi, anzi noi firmatari di questa mozione sottoscritta da parlamentari di diversi gruppi abbiamo atteso diversi mesi prima che questo documento venisse iscritto in calendario per la discussione. Ce ne siamo più volte doluti, abbiamo lamentato il ritardo, sapevamo e conosciamo quale può essere l'elemento o gli elementi di divisione di un tale documento e la sua delicatezza. A questo Pag. 46punto devo dire che forse non ce ne dogliamo neanche più perché ci sembra che uno spiraglio si stia aprendo, almeno in termini di discussione e forse anche di qualcosa di nuovo su un documento che possa superare anche le nostre posizioni collettive o individuali che dir si voglia.
Adesso cercherò non laicamente come il collega Di Stanislao ma analiticamente - non so cosa intendesse per laicamente in questo caso, anche perché non siamo in chiesa - di affrontare la questione: nei tre anni del precedente Governo abbiamo criticato la logica dei tagli lineari, quei tagli che hanno portato, come ha detto il Ministro Giarda stamattina su un giornale, ad aumentare forse il debito perché essendo dei tagli che non potevano comprimere le spese fondamentali poi si aumentava il debito con i fornitori, insomma abbiamo sempre chiesto dei tagli selettivi e questo a maggior ragione vale per il comparto della Difesa.
Questa nostra mozione è nata a luglio dello scorso anno e abbiamo, ripeto, atteso però quando già a novembre il Governo ci ha detto che i tagli sarebbero stati fatti in modo diverso abbiamo cominciato a rifiatare perché abbiamo dovuto constatare, anche con il recente intervento del Ministro della difesa in Commissione il 15 febbraio, che le cose forse stanno cambiando, non so se in meglio o in peggio, ma stanno cambiando. In quell'intervento comunque abbiamo ascoltato più volte la parola «riesaminare», «riguardare»; il Ministro ha parlato di una riforma ineludibile ma inevitabile delle spese del comparto della Difesa e cioè anche delle sue spese. Un'intenzione che non è così distante da quello che è già successo in America con Obama qualche mese fa, con il Presidente della più grande potenza militare del mondo che decide di spendere 450 milioni di dollari in dieci anni in meno, 45 milioni di dollari all'anno in meno.
Dopo l'intervento del Ministro della difesa in Commissione, un giornale conservatore, ovviamente non pacifista, ha scritto in merito al costo degli F-35, i cacciabombardieri a cui si fa particolare riferimento al secondo punto all'ordine del giorno, che lei, signor Presidente, ha letto questa mattina. Secondo questo giornale conservatore, che è Il Foglio, non è così chiaro ciò che ha detto Di Paola in Commissione, perché il Ministro ha detto che nei prossimi mesi verranno piazzati gli ordini per Pag. 47i primi tre F-35, smentendo così, sostiene Il Foglio, il generale Claudio Debertolis, a capo della direzione nazionale armamenti, che il 7 febbraio aveva invece dichiarato che questi ordini erano già state fatti. Il Ministro - cito - ha inoltre ribadito che il costo di 80 milioni di dollari è esemplare, una cifra, sempre secondo il giornale, che appare improbabile. Infine, il Ministro ha affermato che il caccia Eurofighter Typoon è costato molto di più, senza indicare però il costo complessivo del programma F-35. Questo è il punto: quanto costa? Credo che almeno su questo punto possiamo cominciare ad avvicinarci alla realtà. Signor Presidente, con questa mozione, della quale riconosciamo i limiti, forse anche la parzialità, vogliamo molto meno rispetto ai risparmi di Obama o a quanto qualche parte del nostro Paese onorevolmente e comprensibilmente vorrebbe, cioè un mondo senza guerra e un Paese senza Forze armate. Vogliamo molto di meno, ma anche forse molto di più. Vogliamo aprire un dibattito parlamentare per la prima volta su un programma militare, perché questo ci sembra il momento di farlo. Se non ora, quando? Anche per noi la guerra è troppo importante. Scusatemi ancora una citazione per lasciarla ai colonnelli e questo è il momento di non lasciarla ai colonnelli, potrei dire neanche agli ammiragli. Possibilmente, vorremmo «parlamentizzare» anche questo dibattito. Una volta siamo arrivati a quel punto della storia e salutiamolo con la comprensibile gioia e soddisfazione che ci deve essere in una società democratica come la nostra. Il fatto che non possiamo dire di fare la guerra, d'altra parte, non ci impedisce di dire che noi la chiamiamo qualche volta peace keeping. Quindi o aboliamo le Forze armate o stabiliamo che cosa farne e che cosa fargli fare soprattutto, senza giri di parole e senza sottintesi, direi come per i servizi segreti, che qualche volta chiamiamo segreti e qualche volta non si capisce cosa ci stiano a fare se non sono segreti. Credo che questo sia il momento della verità anche per le Forze armate e anche per gli armamenti delle Forze armate, così parleremo anche degli F-35, buoni o cattivi che siano. Tra l'altro a questi F-35 dobbiamo riconoscere anche un merito già in partenza, quello di aver riportato in Italia la Lockheed Martin senza Antelope Cobbler, che già è qualcosa insomma in un Paese come il nostro: la Lockheed è stata per decenni imparentata strettamente Pag. 48con la corruzione e la decapitazione di un vertice dello Stato. Adesso si parla invece, come direbbe il nostro collega, laicamente, anzi militarmente, di uno strumento importante di modernizzazione del nostro armamento. Nella discussione ovviamente dovremo esaminare, se si farà mai - mi auguro che si faccia - il posto che vogliamo assegnare, noi per primi all'Italia nel mondo, e poi quello che vogliamo che l'Europa faccia con noi. Non so se qualcuno di voi ha letto quella battuta, anzi quella considerazione, del generale Mini, che immagino si intenda bene di questa cosa.

Pag. 49

«Se l'Europa si mettesse insieme, spenderebbe un decimo di quello che sborsa oggi e sarebbe più efficiente». Anche questo caso credo che andrà comunque esaminato, senza farsi illusioni, perché sappiamo che non se ne possono fare con questa Europa, ma nello stesso tempo, e lo chiediamo al Governo, anche senza ignorare - so che non lo farà - quell'opinione pubblica che non è fatta soltanto di accoliti, di conformisti, ma anche di persone che testimoniano un massiccio impegno per la pace, che è stato uno dei fenomeni più importanti che abbiamo visto negli ultimi anni; perché dietro quelle bandiere che abbiamo visto per tanto tempo sventolare davanti ai balconi delle case più povere, e anche di quelle più ricche del nostro Paese, vi erano altrettante persone e altrettanti italiani.
Quindi, la nostra mozione è rappresentativa di un'atmosfera. Non guardate ai dettagli, ma all'atmosfera, e considerate che vi è un processo da fare. Penso che voi ne dobbiate convenire, e forse ne convenite. Noi aspettiamo, per conto nostro, che la discussione che si apre questa mattina, e che ha atteso tanto tempo per entrare in quest'Aula, non si concluda sbrigativamente con un voto favorevole o contrario e con qualche intemerata militarista o di altro genere; io credo che questa discussione si debba concludere davvero, possibilmente, con un documento, anche diverso da quello che io e altri abbiamo presentato, che superi non tanto le parzialità, ma guardi soprattutto al futuro, aiutando il Paese in una delle questioni fondamentali per ogni nazione da che mondo è mondo (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fugatti, che illustrerà la mozione Gidoni ed altri n. 1-00861, di cui è cofirmatario.

MAURIZIO FUGATTI. Signor Presidente, la situazione in cui versano le finanze pubbliche costituisce da mesi oggetto di preoccupazioni crescenti, in ragione delle pressioni esercitate dai mercati sui titoli del debito sovrano italiano. Tale condizione esige obiettivamente l'adozione di misure straordinarie, in linea con il carattere prioritario assunto dall'esigenza di Pag. 50restaurare la fiducia dei mercati e delle maggiori istituzioni internazionali nei confronti del nostro Paese.
Uno dei settori sui quali sembra possibile incidere, tenendo conto di quanto stanno facendo i principali alleati del nostro Paese, è quello della difesa, dove appare necessaria un'azione di compressione degli sprechi, che tuttavia salvaguardi la futura operatività dello strumento militare. Non appare opportuno colpire gli investimenti, che rappresentano l'avvenire tecnologico delle Forze armate ed un patrimonio per lo sviluppo complessivo del Paese.
È allo stesso modo sconsigliabile apportare ulteriori tagli alle spese di funzionamento, poiché ciò equivale a sacrificare funzioni essenziali, come l'addestramento del personale e la manutenzione dei mezzi, da cui dipende, in ultima analisi, la sicurezza dei soldati che vengono inviati sui teatri di crisi. Il modo più opportuno di ottenere la riduzione della spesa è quello che passa per il ridimensionamento del numero degli effettivi alle armi.
A questo proposito, il più consistente intervento militare oltremare mai intrapreso dalla Repubblica è quello attualmente in corso in Afghanistan, dove sono schierati poco più di 4 mila uomini delle Forze armate italiane. Al picco dei suoi impegni, tra il 2003 ed il 2008, lo strumento militare nazionale non ha mai impiegato all'estero più di 11mila persone; si tratta di numeri che, anche computando il ciclo degli avvicendamenti delle truppe, non possono essere espansi oltre la soglia dei 30 mila uomini all'anno.
Alla luce dei dati sopracitati, risulta incomprensibile, anche considerando il più generoso dei supporti tecnico-amministrativi e logistici, il mantenimento in linea di 190 mila militari o anche dei 170 o 140 mila di cui si è parlato più recentemente. In un recente contributo apparso su una nota testata nazionale, il generale Mini, già comandante della Kfor, ha evidenziato come persino voci provenienti dal mondo militare ammettano, senza imbarazzo, che cambiare e razionalizzare è oggi possibile.
Va stigmatizzata, in particolare, la circostanza che esistano circa 500 ufficiali generali ed ammiragli in servizio, cosa che implica che ve n'è uno ogni 356 militari alle armi. Pag. 51
Sono in servizio circa 57 mila marescialli ed equiparati, poco meno di un terzo della forza organica.
Tali storture sono in parte riconducibili alla progressione automatica delle differenti carriere, che procedono automaticamente secondo il modello dell'avanzamento normalizzato, probabilmente ormai inadeguato ad un contesto dove proprio gli impegni militari sui teatri di crisi dovrebbero permettere una più rigorosa selezione basata sul merito.
I firmatari del presente atto di indirizzo esprimono dubbi sull'effettiva necessità di confermare il programma, noto come «mini naja», in quanto fonte di un'oggettiva dispersione di risorse.
Per tutto questo si impegna il Governo: a ridurre l'ampiezza delle prossime campagne di arruolamento e ad incentivare l'esodo del personale in esubero, anche predisponendo percorsi di mobilità verso amministrazioni che risultino carenti di personale, con profili compatibili, in modo tale da avvicinare progressivamente gli organici delle Forze armate italiane a quota 100 mila unità; a confermare la riduzione quantitativa dell'esperienza della cosiddetta mini naja; a porre allo studio iniziative normative che tendano a ridurre drasticamente il numero degli ufficiali generali, colonnelli e tenenti colonnelli in servizio, che risultano in sensibile soprannumero, sia ricorrendo al collocamento in aspettativa per riduzione quadri, sia alla mobilità verso posizioni compatibili esistenti in altre amministrazioni dello Stato dove si siano verificate carenze di personale; a valutare l'opportunità di ridurre progressivamente, con gli stessi metodi, la consistenza organica del ruolo marescialli, con un obiettivo ideale, a medio e lungo termine, del 30 per cento in meno rispetto agli attuali numeri; ad intervenire sui meccanismi di progressione delle carriere, ponendo finalmente in discussione gli automatismi previsti dal cosiddetto sistema di avanzamento normalizzato e valorizzando il merito; a confermare la partecipazione nazionale a tutti i più importanti programmi multinazionali di progettazione, sviluppo e produzione di armamenti suscettibili di avere ripercussioni occupazionali e ricadute tecnologiche sul nostro Paese, oltreché sul livello di operatività dello strumento militare italiano (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

Pag. 52

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mogherini Rebesani, che illustrerà la mozione Rugghia ed altri n. 1-00909, di cui è cofirmataria.

FEDERICA MOGHERINI REBESANI. Signor Presidente, cerchiamo di affrontare in questa sede - mi sembra che alcuni colleghi prima di me abbiano provato a farlo - da una parte, il tema della ridefinizione del nostro modello di difesa e, dall'altra, nello specifico, quello del programma di acquisto e di produzione dei Joint strike fighter F-35, in modo razionale, serio, trasparente e, soprattutto, non ideologico, sapendo che questo è un campo in cui è bene sgomberare il terreno sia da totem intoccabili, considerati indispensabili per decisioni prese magari 15 o 20 anni fa, sia da tabù che non si possano toccare, discutere o, addirittura, prendere in considerazione.
Proviamo a fare questo esercizio in modo utile non soltanto per la dinamica parlamentare e per la relazione tra Parlamento e Governo, ma anche per creare un circolo virtuoso, che sarebbe bene che si innescasse su questi temi, tra le sedi della decisione politica e della valutazione tecnica da una parte, e l'opinione pubblica e il sistema mediatico dall'altra. Credo che per fare questo, per svolgere cioè un ragionamento serio e razionale, sia necessario partire dalla considerazione di tre elementi, tre precondizioni.
Da una parte vi è la necessità, quasi nuova per questo Paese - a mia memoria, non credo si sia mai svolto un esercizio simile -, di definire in sede parlamentare una strategia di sicurezza nazionale, così come avviene in altri Paesi del mondo, ad esempio negli Stati Uniti d'America, ovviamente, ma anche in tantissimi altri Paesi europei. l'Italia è nuova ad esercizi di questo tipo, anzi, in realtà ancora non si sono avviati, però è innegabile che il programma JSF fu avviato per la prima volta nel 1998, la prima pietra fu messo in quell'anno. Sono passati 15 anni, il mondo è cambiato completamente: allora eravamo ancora in una fase di elaborazione successiva al crollo del muro di Berlino, eravamo ancora dentro le dinamiche dei conflitti nei Balcani, ancora ragionavamo di un nuovo ordine mondiale e il senso stesso di un intervento militare, di un sistema di difesa e di sicurezza nazionale ed internazionale era tarato su una certa realtà del mondo.

Pag. 53

Da allora ad oggi, appunto, sono passati quindici anni e in questi quindici anni sono successe tantissime cose. Quella più evidente dal punto di vista della sicurezza internazionale e nazionale è sicuramente l'attentato dell'11 settembre e tutto ciò che ne è conseguito, in termini di conflitti, da noi condivisi o da noi invece osteggiati. Penso al conflitto in Afghanistan ed al suo inizio, all'Iraq, ma anche ad altre missioni, che sono state le più diverse tra loro, come quelle in Libano e in Libia.
Dal 1998, ovvero dal 1996 ad oggi, il mondo è cambiato moltissimo e sono cambiate moltissimo le minacce alla sicurezza delle persone, che si devono affrontare in questo mondo così diverso. Si fa riferimento di solito a minacce che sono diventate asimmetriche e più difficili da immaginare e da pensare in termini semplicemente di contrapposizione classica - tradizionale - tra eserciti, tra strumenti militari.
Allora, pensiamo che si debba partire da qui. Pensiamo che, anche quando si parla solo di un «semplice», tra virgolette, acquisto di un sistema d'arma, si debba partire dal definire insieme, come comunità nazionale e come classe dirigente di un Paese, il quadro geopolitico in cui il nostro Paese si trova, a partire dal suo vicinato più prossimo, l'Europa e il Mediterraneo - due aree non indifferenti per quanto riguarda la sicurezza collettiva internazionale -, analizzare quindi le minacce e capire anche quali siano quelle prevedibili da qui a dieci, venti, trenta, quarant'anni e da qui definire insieme una strategia di sicurezza nazionale, da cui fare discendere un modello di difesa, un modello di difesa, se possibile, appunto, connesso con la realtà che ci circonda, a partire dall'Unione europea e dalla NATO, i nostri due ambiti di intervento e di relazione principale in materia di difesa.
Ora, se noi immaginiamo quali tipi di minacce potremmo avere di fronte nei prossimi dieci, venti o trenta anni, è chiaro che avremo bisogno di uno sforzo di analisi collettiva molto importante, che sicuramente non si può realizzare in qualche settimana e avremo bisogno anche di una certa capacità di proiezione, non tanto a militare da questo punto di vista, ma analitica. Immagino per esempio che la cyber security avrà molto più rilievo e molto più spazio in futuro, che non in passato. Avremo bisogno di altri strumenti di sicurezza non Pag. 54prettamente militari. Penso alla diplomazia o alla necessità di risolvere le contraddizioni dello sviluppo nel globo, che producono tante tensioni regionali e locali, i cui effetti poi si ripercuotono anche sulle nostre vite quotidiane; infatti le tensioni regionali poi diventano man mano sempre più importanti e sempre più globali.
Per questo noi abbiamo chiesto che al riguardo si conduca una discussione approfondita in sede parlamentare, magari con una Commissione bicamerale ad hoc; c'è infatti bisogno di uno sforzo di alto livello, lungimirante e serio, di analisi del mondo in cui ci troviamo, delle esigenze di sicurezza strategica cui dovremo fare fronte. Ed è soltanto a valle di questo ragionamento che noi potremo definire un modello di difesa efficace, efficiente e razionale per il nostro Paese.
Il secondo elemento, che va tenuto in considerazione, è quello delle esigenze di bilancio. Crediamo che, in realtà, questo sia un punto valido sempre. Se chi prende le decisioni - a partire dal Governo e dal Parlamento - adottasse sempre la necessaria attenzione riguardo alla spesa pubblica, facendo investimenti oculati e prioritari - il contrario di quei tagli lineari o di quelle spese, per così dire, facili, che abbiamo conosciuto negli anni passati - probabilmente non si arriverebbe neanche a situazioni di crisi economica, come quella che stiamo vivendo in questi anni.
Oggi, però, è evidente che è indispensabile non solo una trasparenza totale nella gestione dei fondi pubblici. I contribuenti, che pagano le tasse onestamente, hanno il diritto e anche il dovere - credo - di sapere come vengono spesi i propri soldi. È indispensabile avere priorità condivise a livello della comunità nazionale e strategiche, che guardino in avanti, che guardino il futuro, sulle spese pubbliche. È indispensabile un'attenzione all'equità sociale, che però mi sembra che questo Governo stia cercando di fare il possibile per applicare.
Se è sempre valido l'imperativo categorico di fare attenzione a come si spendono i soldi dei contribuenti ed a come si gestiscono i fondi pubblici, è evidente che in questa fase di crisi economica, un'attenzione particolare è ancora più dovuta. Già nel 2009, quando il programma JSF aveva dovuto passare il vaglio dei pareri delle Commissioni competenti, noi del gruppo del Partito Democratico, in IV Commissione difesa, avevamo chiesto che questo fosse un elemento centrale, quello cioè di rivedere il programma di acquisizione dei JSF alla luce Pag. 55della crisi economica, che nel 2009 era già evidente a tutti, tranne che al Ministro Tremonti, probabilmente. Forse per questo, il Governo di allora non aveva ritenuto di dare nessuna risposta ed aveva tirato dritto.
È però un elemento per capire se la crisi economico-finanziaria globale, in particolare quella europea ed in particolare quella italiana, sia compatibile con un programma di questo tipo, non soltanto perché è molto costoso - probabilmente esistono altri programmi altrettanto costosi nel settore della difesa - ma anche perché presenta una serie di tipicità e di punti particolari che gli sono propri ovvero il lungo periodo che occupa la necessità di stanziare fondi per molti anni consecutivi in modo consistente ed alcune criticità sulle quali poi tornerò.
È comunque una considerazione comune a livello internazionale, sia nell'Europa che negli Stati Uniti, il fatto di rivedere le spese relative alla difesa ed in particolare ai sistemi d'arma alla luce delle ristrettezze di bilancio e comunque alla luce del fatto che i contribuenti in questo periodo sono particolarmente attenti a come vengono individuate le priorità di investimento.
Questo credo che valga soprattutto per quei Paesi come l'Italia inseriti a pieno titolo e solidamente in reti di alleanze internazionali che consentirebbero di sviluppare di più un'ottimizzazione degli investimenti e delle risorse. Non tutti possono fare tutto, probabilmente, in questi tempi di crisi nel settore della difesa e forse può essere un bene che può spingerci a fare di necessità virtù e a compiere dei passi avanti verso quel sistema più integrato di difesa europea che fino ad oggi è stato piuttosto pigro nell'avanzare in termini operativi e che invece, forse, sarebbe proprio il caso di far avanzare in modo più spedito.
È insomma indispensabile fare il necessario in campo di sicurezza nazionale per definire, in sede parlamentare e in sede più ampia, attraverso l'analisi dei rischi, il modello di difesa, con una razionalizzazione delle risorse ed una prioritarizzazione di come queste risorse vengono spese all'interno del bilancio della difesa. Non mi soffermerò sulla ridefinizione dello strumento militare, come ama chiamarlo il Ministro, perché non è il tema specifico delle mozioni, tema cui il gruppo del PD si è attenuto, cercando di lasciare per dopo, per quando affronteremo veramente il tema della ridefinizione del modello di difesa, la discussione delle sue linee più complessive. Pag. 56Vado quindi subito al tema dell'acquisto dei sistemi d'arma e quindi nello specifico dei Joint Strike Fighter. Sull'acquisto dei sistemi d'arma la Commissione difesa della Camera aveva svolto un lavoro qualche anno fa molto approfondito e molto importante, arrivando ad alcune conclusioni unanimi che credo debbano essere implementate in modo anche piuttosto rapido - credo che al riguardo ci sia consenso fra tutti i gruppi -, indicando alcuni principi basilari che credo possano essere molto salutari nel nostro lavoro futuro. Innanzitutto la trasparenza, perché sono programmi che nascono magari dieci o vent'anni prima e man mano nel tempo, di anno in anno, lo stesso Ministero della difesa può perdere traccia esatta del punto di realizzazione del programma, per non parlare dell'opinione pubblica e del Parlamento. Quindi ci vuole un sistema che riesca a monitorare lo stato di avanzamento dei programmi, che riesca a rendere democratico il controllo parlamentare di ogni stato che il programma di acquisizione attraversa, e soprattutto ci vuole una ridefinizione complessiva dell'acquisto dei sistemi d'arma. Parliamo dei Joint Strike Fighter adesso perché c'è stata una sorta di attenzione molto concentrata su questo tema che si presta molto facilmente ad un uso mediatico, ma esiste tutta un'ampia gamma di acquisti di sistemi d'arma che andrebbe attentamente monitorata e rivalutata alla luce delle esigenze strategiche, del modello di difesa di cui l'Italia si vuole dotare e delle esigenze di bilancio.
Soprattutto questo avrebbe dovuto essere effettivamente il primo punto da nominare nella spending review sull'acquisto dei sistemi d'arma. Crediamo che questo tipo di analisi vada svolto certo costantemente, ma soprattutto a valle della definizione del modello di difesa, perché comprare o produrre sistemi d'arma senza aver definito preventivamente una sorta di concetto di sicurezza strategica per il nostro Paese è come andare a fare la spesa senza sapere se si deve cucinare una cena per una persona o per cinquanta persone. È un po' complicato sapere se quello che stai comprando con i soldi che hai portafoglio ti servirà effettivamente a fare quello che devi. Allora prima occorre definire qual è il quadro in cui ci muoviamo, poi decidere quali sono le missioni che l'Italia assume per sé, qual è quindi lo strumento che ci serve, quali sono le disponibilità economiche o finanziare e i progetti di investimento a lungo termine che ci servono, anche in termini Pag. 57industriali, e soltanto dopo si potrà fare una valutazione razionale e seria se effettivamente i sistemi d'arma in cui siamo impegnati hanno un senso, una razionalità, oppure non ne hanno.

Pag. 58

Sui Joint Strike Fighter in particolare, è sicuramente un programma nato ormai quasi diversi decenni fa in modo molto ambizioso, e forse in quanto tale anche controverso: controverso in parte per le alleanze industriali, per il fatto che i Paesi coinvolti, i Paesi partner, non sono necessariamente tutti Paesi europei (il progetto non coinvolge tantissimi Paesi europei), ma questo direi che è marginale.
Direi che il programma è stato controverso per due motivi principali che si sono andati accentuando negli ultimi tre-quattro anni in concomitanza con lo svilupparsi della crisi economico-finanziaria. Da una parte, il fatto che il programma ha incontrato alcuni problemi tecnici, nulla di drammatico, nulla di esiziale per l'esito del programma probabilmente, però si tratta di problemi tecnici che ci sono stati e che sono ancora in fase di risoluzione, che hanno fatto slittare in avanti i tempi di realizzazione del programma stesso. Anche questo è abbastanza naturale, abbastanza ovvio però va registrato. In secondo luogo, il programma è forse controverso per la questione dell'impossibilità di definirne con esattezza i costi. Ovviamente è un problema legato ai problemi tecnici, ed è un problema che però a tutt'oggi è irrisolto. Ad oggi non sappiamo quanto costa un singolo velivolo, o quanto costerebbe al nostro Paese, sappiamo soltanto quanto sono costati i velivoli precedentemente acquistati da altri Paesi, e i numeri variano di molto, da prototipo a prototipo, da Paese a Paese.
Questa serie di ambiguità, o meglio di difficoltà oggettive (dicevo, non esiziali ma oggettive) hanno accumulato negli anni una casistica di riduzione degli ordinativi, rallentamenti, non fuoriuscite complessive di singoli Paesi dal programma ma una diminuzione ed un rallentamento dell'attuazione del programma da parte di tutti i partner industriali, compresi gli Stati Uniti. Per questo nel 2009 il Partito Democratico in Commissione difesa aveva chiesto un approfondimento specifico sulle compatibilità economiche del programma che considerasse la fase che il Paese stava attraversando. Avevamo chiesto informazioni precise sulle ricadute industriali ed occupazionali, e avevamo chiesto sostanzialmente nell'ormai lontano 2009 un ripensamento dell'opportunità del programma. Nel parere che la Commissione diede, senza la nostra Pag. 59partecipazione al voto, favorevole all'avviamento del finanziamento del programma era inclusa una sola condizione, quella che il Governo ogni anno riferisse al Parlamento sullo stato di avanzamento del programma soprattutto rispetto alle sue compatibilità economiche, alle ricadute industriali e occupazionali, allo stato di risoluzione di questi problemi cui avevo accennato.
Dal 2009 al 2012 il Parlamento non ha mai ricevuto nessun tipo di comunicazione dal Governo rispetto a questo programma, e credo che questa mancanza di trasparenza sia stata un importante fattore negativo anche rispetto alla sensibilità che il sistema mediatico e l'opinione pubblica hanno avuto in questi ultimi mesi. Meno trasparenza c'è su questo tipo di investimenti più diventa problematico per chiunque, anche per chi è profondamente convinto (come alcuni nostri colleghi lo sono) della validità del programma, sostenerlo pubblicamente. Su questo programma c'è bisogno anzitutto di questo, di trasparenza, e devo dire che questo Governo l'ha introdotta dopo 3-4 anni di totale buio.
Allo stesso modo credo che sia stata positiva la decisione del Ministro di ridurre da 131 a 90 il numero di velivoli che si sta pensando di ordinare. La nostra mozione nel dispositivo ha un punto qualificante.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

FEDERICA MOGHERINI REBESANI. Dati i problemi che ci sono stati negli altri Paesi, a partire dagli Stati Uniti, sia di bilancio che di valutazione tecnica, tutti gli altri Paesi coinvolti nel programma non chiudono oggi, nel 2012, la valutazione finale su quanti aerei complessivamente acquisteranno (che sia nell'ordine delle centinaia, o che sia nell'ordine delle decine). Gli stessi Stati Uniti stanno rinviando a dopo il 2017 il numero complessivo finale dei loro ordini, ed è il principale Paese produttore. Noi crediamo che il nostro Paese debba tenere aperta la porta a una valutazione complessiva, trasparente nel tempo, per valutare ulteriori riduzioni, da qui ai prossimi anni, che (così com'è stato fatto adesso con la riduzione da 131 a 90) consenta al nostro Paese di tenere conto del quadro strategico internazionale e delle esigenze del bilancio (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Pag. 60

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cicu, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00920. Ne ha facoltà.

SALVATORE CICU. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la mozione a mia prima firma si limita a trattare solo ed esclusivamente l'argomento dell'acquisto relativo al programma dei sistemi d'arma e, cioè, del Joint Strike Fighter. Ma gli spunti che ho potuto raccogliere rispetto a delle riflessioni che ritengo fortemente interessanti mi stimolano ad ampliare preliminarmente l'oggetto del mio intervento. Credo che, in maniera particolare l'ultimo intervento, possa essere condiviso nella parte in cui non si può non tenere conto del fatto che le nostre Forze armate, soprattutto nell'ultimo decennio, hanno svolto e svolgono un ruolo centrale e fondamentale nello scacchiere geopolitico della difesa a livello internazionale. E certamente - dico una cosa elementare - noi facciamo parte di organizzazioni internazionali con cui ci rapportiamo e con le quali decidiamo come e dove intervenire diversificando, attraverso una valutazione geostrategica, quali sono gli obiettivi da raggiungere, non certo per fomentare o per innescare guerre, ma certamente, al di là dei termini italiani e inglesi, per intervenire con le nostre Forze armate e inserirci soprattutto in contesti che riguardino processi di democrazia dei Paesi dove interveniamo.
Naturalmente, e contestualmente, con una partecipazione che è anche quella della cooperazione e del sostegno sociale, culturale e giuridico. Insomma, noi agiamo in maniera globale, non certamente per imporre a qualcuno la storia futura, ma per realizzare, insieme alla decisione soprattutto dei Paesi liberi, come e in che modo si possano raggiungere obiettivi di democrazia e di libertà.
Perché dico questo? Perché non vorrei che in qualche modo si innescasse un meccanismo strano: è evidente che noi come Parlamento abbiamo votato e deliberato in maniera precisa quali missioni sostenere, quali obiettivi raggiungere, soprattutto quali missioni poi debbono essere considerate ancora in prospettive valide e quali, invece, già abbiamo individuato che avranno una definizione di scadenza.
Tutto questo perché il Parlamento ha sempre partecipato nell'individuazione che serve a definire in maniera trasparente la nostra partecipazione. Non voglio dimenticare qua il prezzo che Pag. 61le nostre Forze armate, con uomini e donne straordinari, hanno pagato e pagano per portare avanti un progetto di sicurezza per il nostro Paese e per la libertà degli altri Paesi. Non vorrei esimermi dal ricordare che abbiamo due militari, i due marò, che si trovano in questo momento in una fase delicatissima sotto tutti i punti di vista, forse perché delle norme precise non sono state definite da questo Parlamento. Non vorrei dimenticare insomma che le nostre Forze armate sono, all'interno del contesto internazionale, un momento di credibilità del nostro sistema di democrazia parlamentare. Questo ci tengo a sottolinearlo perché credo sia importante una disponibilità di reciproca fiducia tra le Forze armate e questo Parlamento.
Quando si parla di trasparenza, quindi, non ho dubbi che si agisca in totale trasparenza. Sicuramente c'è bisogno, però, che il dibattito parlamentare e, quindi, la valutazione e l'esame del Parlamento debbano avere degli elementi in più, possano cioè partecipare attivamente, non certo alla valutazione tecnica, che non può essere rimessa a coloro che non hanno questo ruolo, ma certamente ad un indirizzo politico che riguarda soprattutto la fase del confronto con gli alleati e quell'elaborazione di processo e di individuazione sempre di più della partecipazione militare, cercando di capire, nel prossimo futuro, come e in che modo noi andremo ad inserirci nel contesto geostrategico.

Pag. 62

È fondamentale ricordare che in questi giorni il Ministro Di Paola ha partecipato costantemente al lavoro delle Commissioni per trasferire la propria impostazione, la propria valutazione ed il proprio pensiero rispetto a quello che dovrà essere il nuovo modo di riorganizzare lo strumento militare.
È certamente un'analisi e una valutazione complessa, che è ancora in fase di approfondimento e di confronto. È una valutazione che non può pensare di essere definita, ultimata e conclusa con una mozione che certamente apre e rafforza questo tipo di confronto, ma che non può certo definirla. Da qui la scelta del mio gruppo di non addentrarsi in questo momento nel confronto che attiene a questo tipo di valutazioni, ciò perché riteniamo che ci debbano essere ulteriori confronti, ulteriori sviluppi, ulteriore contributo da parte del Parlamento che non può essere definito con il semplice indirizzo contenuto in una mozione.
È evidente che vi sono diversi aspetti che dobbiamo considerare, ma, in maniera fondamentale, ciò che vive il Paese e ciò che vive il mondo: una crisi di sistema, una crisi di sistema economico, una necessità quindi di razionalizzare, di ottimizzare e di puntare a sostenere oggi quello che serve affinché non vi siano sorprese rispetto a quello che viene definito default, cioè al fallimento del sistema del nostro Paese o del sistema europeo.
In questa logica il rigore e l'equità devono essere indirizzati anche e soprattutto a settori come quello della difesa. Ecco perché personalmente ma anche il mio gruppo auspichiamo che vi sia una valutazione attenta, che si abbini appunto la trasparenza a quello che è un elemento di progressiva capacità di guardare a quello che occorre, anche in termini di strumento militare, cercando soprattutto, nella comparazione con gli altri Paesi, in maniera particolare con gli Stati Uniti e l'Europa, di capire come stanno le cose. Gli Stati Uniti, lo ricordo, sullo stesso progetto hanno posto delle serie limitazioni e parlano, in proiezione, addirittura del 2017; dobbiamo rapportarci anche con l'Europa, con la quale abbiamo logicamente una cooperazione continuativa, che serve a parlare lo stesso linguaggio, lo stesso linguaggio politico, ma anche quello dei programmi d'armi. Pag. 63
Sappiamo esistere anche il progetto che riguarda l'Eurofighter, per cui, essendo già in fase avanzata, io credo che su tutto questo debba esserci una riflessione attenta, che tenga conto della destinazione delle risorse di cui in questo momento il Paese ha bisogno. Dobbiamo considerare quali sono le esigenze reali che in questo momento viviamo. Le esigenze reali naturalmente le valutiamo soprattutto nel momento in cui vi è necessità di cambiare gli strumenti perché sono desueti, perché non sono più affidabili. Pertanto quando si parla di sicurezza dei nostri soldati e delle nostre Forze armate è chiaro che dobbiamo guardare all'efficacia e all'efficienza degli strumenti. Credo che questa comparazione, tra quello che occorre al sistema civile e quello che occorre al sistema militare, poi, alla fine, vadano ad integrarsi. Infatti il sistema militare non è altro che una destinazione di sicurezza per il sistema civile ed una destinazione di crescita e di credibilità nel contesto internazionale, per quel recupero di fiducia che noi dobbiamo realizzare. Quindi mi sembra che vi sia un'osmosi, che non possiamo dividere il contesto ma occorra valutare, obiettivamente e serenamente, quali sono i problemi.
Io credo che occorra far fronte ad una necessità, cioè che il Governo si impegni a presentare in Parlamento nei prossimi giorni il piano di investimenti che intende sostenere, con una prospettiva, noi riteniamo, di medio-lungo termine, tenendo conto appunto delle disponibilità finanziarie a legislazione vigente e, quindi, a riconsiderare alcuni aspetti - ma l'ho già detto in un precedente passaggio - così come stanno facendo gli altri Paesi coinvolti nel progetto Joint Strike Fighter, subordinando le decisioni ad una valutazione complessiva, che attiene appunto alle esigenze operative che sono state diffusamente richiamate e allo stato di avanzamento del progetto stesso e ai costi ad esso collegati.
Insomma, viviamo una fase dove occorre una disponibilità reciproca ad una valutazione complessiva: Parlamento ed Esecutivo, soprattutto in questo settore, devono trovare un'intesa comune perché è in gioco l'interesse del Paese, ma, soprattutto, quello di non far prevalere l'utopia. Credo che il sogno, la speranza di tutti sia che nel mondo non vi siano più guerre e che non esistano più forze armate o soldati. Tuttavia, sappiamo che, pur mantenendo questa grande fiducia e questa grande speranza, in maniera pragmatica, chissà per quanto Pag. 64tempo ancora, invece, dovremo sostenere progetti di sicurezza che vedranno impegnati uomini e donne specializzati, professionalmente competenti e culturalmente preparati, affinché vadano a difendere non solo la sicurezza dei nostri confini, ma anche progetti e processi di libertà nel mondo. Questi uomini e donne, certamente, hanno bisogno di strumenti operativi e di garanzie di sicurezza per poter realizzare questi obiettivi e queste condizioni.
Tutto ciò, naturalmente, ha bisogno non di posizioni ideologiche, non di posizioni preconcette, non di sentimento dell'opinione pubblica: infatti, nel momento in cui i nostri artigiani, le nostre piccole e medie imprese, i nostri agricoltori, i nostri allevatori, insomma tutto quello che si riconduce al sistema del lavoro, soffre, non resiste e non riesce a realizzare, oggi, in maniera precisa, una speranza di possibilità di progetto di vita, nel momento in cui si sente dire che risorse ingenti vengono destinate ad un progetto di sistemi d'arma, è evidente che tutto questo va a cozzare e ad implodere.
Dobbiamo avere la capacità di far capire che, innanzitutto, bisogna guardare al nostro sistema delle imprese, al nostro sistema del lavoro, al nostro sistema economico, ma, contestualmente, con la trasparenza e le riduzioni che occorrono e, soprattutto, con progetti di ampio respiro da verificare e da valutare nel tempo, magari quando il nostro sistema imprenditoriale sarà più forte, più garantito e tutelato, potremo parlare di nuovo, eventualmente, di ambizione di investimenti, i quali, comunque, dovranno sempre tenere conto di quella che sarà la realtà degli interventi e, quindi, della necessità di una valutazione che lo stesso Parlamento potrà realizzare.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00908. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, anch'io ribadisco la posizione che molto spesso abbiamo illustrato in quest'Aula sulle condizioni della finanza pubblica del nostro Paese e le preoccupazioni per le pressioni che esercitano i mercati sui titoli del debito pubblico italiano. Questa situazione evidentemente ha portato e comporterà ancora molta attenzione e ha portato anche a misure straordinarie per consolidare la fiducia dei mercati e delle maggiori istituzioni internazionali nei confronti dell'Italia. Pag. 65
Noi, però, sappiamo che la difesa è un settore sul quale è ancora possibile incidere, in quanto sono necessarie, certamente, razionalizzazioni degli investimenti e anche una riduzione degli eventuali sprechi. Dobbiamo, quindi, salvaguardare la futura operatività dello strumento militare, senza escludere investimenti secondo le possibilità del Paese. Le Forze armate devono garantire, in questo modo, anche lo sviluppo tecnologico e un sensibile incremento della ricerca scientifica e tecnologica, e portare alla lunga anche molti vantaggi.
Le spese di funzionamento che garantiscono il mantenimento nel tempo di capacità operative essenziali per lo strumento militare sono certamente l'addestramento del personale e la manutenzione dei mezzi, e vanno salvaguardate. Tra le questioni più impellenti, in questo momento, vi è, certamente, l'adesione al programma JSF, la quale, ad avviso di Grande Sud, si ritiene necessaria, in quanto ad uno strumento militare serio non può mancare la componente aerea.
Non possiamo, infatti, trascurare il fatto che la nostra attuale dotazione deve essere ammodernata e la scelta degli F-35 è ritenuta tecnologicamente, operativamente e industrialmente valida. Già lo stesso Governo, parlo di questo Governo, nel confermare questa scelta ha cominciato a dichiarare, attraverso il Ministro della difesa, che per l'Italia sarebbe necessaria una riduzione, una razionalizzazione non solo del personale, ma anche di questo programma, tant'è vero che si pensa di ridurre il numero degli effettivi alle armi; in effetti tale numero andrebbe collegato alle possibilità di spesa che ha, in questo momento, il nostro Paese. Le eventuali storture che emergeranno vanno eliminate attraverso una politica militare italiana che deve essere basata, soprattutto, sulla prevalenza del merito rispetto a quella dell'anzianità.
Chiediamo, quindi, nella nostra mozione che il Governo si impegni a valutare la possibilità di contenere l'ampiezza delle prossime campagne di arruolamento, di predisporre la mobilità verso altre amministrazioni, se ci fosse personale sovrappiù e specializzato, e vogliamo anche essere sicuri che ci sia la partecipazione nazionale a tutti i più importanti programmi multinazionali di progettazione, di sviluppo e di produzione dei mezzi strumentali, suscettibili di avere ripercussioni occupazionali Pag. 66e soprattutto sviluppi scientifici e tecnologici nel nostro Paese. Non dimentichiamo che, purtroppo, proprio in occasione di eventi bellici si sono avuti, per l'umanità, i maggiori salti nella ricerca scientifica e tecnologica e le migliori conquiste della scienza.
A nostro avviso, occorre, quindi, confermare la riduzione della commessa per la produzione e l'acquisto dei cacciabombardieri; è questa una necessità che deriva dalla situazione economica e politica di questo momento. Non possiamo pensare a un blocco di questa adesione, alla possibilità di non aderire a questo programma ma, secondo le intenzioni del Governo, condividiamo l'intenzione di portare il numero degli F-35 da 131 a 90; ciò mi sembra molto opportuno, come pure opportuno ci sembra il fatto di razionalizzare assolutamente le spese, di insistere sulla formazione, insistere sulla qualità, sulla specializzazione e insistere sul merito rispetto all'anzianità.
Quindi, Grande Sud approverà, e lo ripeteremo quando si tratterà di svolgere le dichiarazioni di voto, tutte quelle mozioni che vanno in questa direzione; credo, invece, che non potremo che votare contro quelle mozioni che dovessero pensare a un blocco di questa adesione e a un depauperamento delle nostre Forze armate - Forze armate che comunque appartengono a uno tra i primi dieci Paesi più economicamente avanzati del mondo.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta. Sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 15,30.

 

***

PER ULTERIORI INFORMAZIONI sull'iter passato delle mozioni

Le Mozioni parlamentari contro gli F-35

Nell'ambito della campagna "Taglia le ali alle armi"

La campagna Stop F35 scrive ai capigruppo della Camera: discutete su questo progetto inutile e costoso

Il Parlamento deve discutere una scelta che costerà al nostro Paese almeno 15 miliardi di euro