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I voli delle armi atterrano in Procura

L’Italia continua a spedire bombe all’Arabia Saudita impegnata nella guerra contro lo Yemen. Ma il governo tace.
La Rete Disarmo ha quindi presentato una serie di esposti per verificare il rispetto della legge 185/90
Emanuele Isonio
Fonte: Valori - 07 marzo 2016

La scacchiera è quella della Penisola arabica, ma gli interessi in gioco sono tutti tricolore. A giocare la partita c’è, da un lato, il governo italiano e, dall’altro, le associazioni riunite nella Rete italiana per il disarmo, che da tempo stanno cercando di ottenere informazioni sui frequenti carichi di armi che partono dal nostro Paese alla volta dell’Arabia Saudita per essere poi utilizzate nei bombardamenti in territorio yemenita in un conflitto condannato dalle Nazioni Unite e già da mesi indicato come la peggiore tra le emergenze umanitarie dall’Ocha (l’ufficio Onu di coordinamento per gli Affari umanitari, vedi ). Emergenze umanitarie Ma Palazzo Chigi, di fronte alle richieste di informazioni e chiarimenti, sceglie di arroccarsi dietro silenzi e risposte evasive. La coalizione pacifista cambia quindi strategia e gioca di sponda: a fine gennaio, con una conferenza stampa alla Camera dei deputati annuncia di aver presentato una serie di esposti in diverse Procure. Obiettivo: chiedere alla magistratura di verificare se, nell’invio di armi all’Arabia Saudita, effetti va mente è stata rispettata la legge 185/90, la norma che regola il commercio di armi, giudicata unanimemente come molto innovativa ma interpretata, nel corso del tempo, in modo sempre meno rigoroso dai diversi governi. Le associazioni sospettano infatti che, autorizzando la vendita di armi alla Royal Air Force saudita, l’esecutivo abbia violato il punto chiave della legge 185, che vieta espressamente non solo l’esportazione, ma anche il transito e l’intermediazione di materiali di armamenti «verso i Paesi in stato di conflitto armato» e verso Stati «la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione».

LE FOTO CONFERMANO GLI INVII Roma e Milano sono state le prime Procure coinvolte dagli esposti. Seguite, nelle settimane successive da Brescia (sede centrale di RWM Italia, filiale dell’azienda tedesca Rheinmetall, fornitrice delle bombe aeree), Cagliari (dove i carichi di armi sono partiti per il Medio Oriente), Verona, Pisa, Perugia, La Spezia e Como. «In questo modo – spiega Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Disarmo– speriamo di far partire più indagini e tenere alta l’attenzione su una vicenda sconcertante che sta esacerbando un conflitto responsabile finora di quasi seimila morti di cui circa la metà tra la popolazione civile e 830 tra donne e bambini». Inizialmente il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ha negato: «L’Italia non vende bombe all’Arabia Saudita per la guerra nello Yemen», diceva il 4 dicembre scorso. Ma Rete Disarmo, insieme al deputato sardo ex Pdl, Mauro Pili, ha ricostruito le spedizioni avvenute in poche settimane (vedi): i carichi finiscono tutti nella penisola saudita. E l’utilizzo in territorio yemenita delle bombe fabbricate a Domusnovas in Sardegna dalla RWM è stato appurato grazie alle fotografie effettuate da Ole Solvang, ricercatore della Ong Human RightsWatch. Dalle foto degli involucri esplosi si legge chiaramente la sigla NCAGEA447, che identifica la provenienza italiana. «Per di più – rivela Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio Opal di Brescia – considerate le ingenti forniture di bombe aeree della RWM Italia avvenute in questi mesi, riteniamo che si tratti di nuove autorizzazioni all’export rilasciate direttamente dall’attuale governo». «Ci auguriamo – osserva ancora Vignarca – che la Magistratura, o chi di dovere, prenda presto in esame il nostro esposto e che, finché la materia non sia accertata, possa sospendere immediatamente l’invio di bombe e materiali militari verso l’Arabia Saudita».

PARLAMENTO SCAVALCATO Ma alla base dell’esposto della Rete Disarmo c’è anche un altro aspetto: gli invii sono stati effettuati senza il previo parere del Parlamento, previsto sempre dalla legge 185. «Non ci risulta – conclude Vignarca – che le Camere siano state consultate in merito a queste spedizioni, anzi sono state presentate diverse interrogazioni alle quali il Governo non ha ancora dato risposta». Le uniche voci a parlare sono arrivate dalla Farnesina: il sottosegretario agli Esteri, Benedetto Della Vedova, replicando a un’interpellanza urgente del gruppo Sel di Montecitorio, aveva sostenuto a inizio dicembre, che «il governo rispetta scrupolosamente gli embarghi e le altre misure di carattere restrittivo adottate a livello internazionale». E il suo “superiore”, il ministro Gentiloni, rispondendo al deputato penta stellato, Manlio Di Stefano, aveva minimizzato le esportazioni: «L’Arabia Saudita – affermò in aula –nonè il primo Paese destinatario delle nostre esportazioni. Nel 2014 è stato il sesto e, l’anno prima, l’Italia è stata preceduta nelle esportazioni verso Riad da Regno Unito, Francia e Germania. Siamo quindi quelli che esportano meno verso l’Arabia Saudita». 

 

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