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Le armi cinesi e russe che volano in Sudan

Andrea Onori
Fonte: Diritto di Critica - 27 febbraio 2012

Ingenti quantitativi di munizioni, elicotteri da combattimento, aerei d’attacco, razzi terra-aria e veicoli corazzati, escono dalla Cina e Russia per giungere in Sudan, nella terra dilaniata da odio e conflitti continui. Questo atteggiamento, non certo pacifista di Mosca e Pechino, alimenta gravi violazioni dei diritti umani in Darfur, secondo Amnesty International.

Questi continui spostamenti di armi evidenziano la necessità di rafforzare l’inefficace, seppur esistente, embargo sul paese dell’Africa Sub sahariana. Secondo l’organizzazione non governativa fondata n Ribelli Sudan el 1961, attraverso la voce di Brian Wood, un esperto militare, “il conflitto nel Darfur è sostenuto dal flusso costante di armi dall’estero. Per evitare ulteriori gravi violazioni dei diritti umani, tutti i trasferimenti internazionali di armi verso il Sudan devono essere immediatamente sospesi e l’embargo sulle armi delle Nazioni Unite esteso a tutto il paese.”

Dal 2003, il Darfur è teatro di un feroce conflitto che vede messe di fronte la locale maggioranza della popolazione, composta da tribù sedentarie, e la minoranza nomade originaria della penisola arabica, che costituisce la maggioranza nel resto del Sudan. La maggior parte delle ONG che operano sul territorio, reputano credibile la cifra di 400mila morti totali nel “conflitto del Darfur”, cifra sempre citata anche dalle Nazioni Unite.

Si stima che 70mila persone sono state sfollate dall’est Darfur nel 2011 in un’ondata di attacchi etnicamente diretti contro gli Zaghawa da parte delle forze governative sudanesi e le milizie. “La Cina e la Russia – continua Wood – stanno vendendo armi al governo del Sudan, nella piena consapevolezza che molti di loro rischiano di finire per essere usate per commettere violazioni dei diritti umani”. C’è bisogno di fare di più e concretamente affinché paesi come la Cina, la Russia e, in piccola parte la Bielorussia, non continuino a fornire armi e munizioni al Sudan.

Il Consiglio di Sicurezza è chiamato ad affrontare il problema in Sudan. I governi devono anche riprendere i negoziati riguardanti il Trattato sul commercio di armi. Secondo Amnesty International, un trattato efficace dovrebbe costringere i governi a bloccare tutti i trasferimenti. “Fino a quando i governi non impugnano un forte Trattato sul commercio delle armi con norme specifiche, i diritti umani e l’embargo sulle armi, continueranno ad essere violati. In questo modo milioni di persone continueranno a soffrire le conseguenze di questi trasferimenti irresponsabili di armi”, ha concluso Brian Wood.

Le armi, che provengono dall’estero, come documentato in molti dossier, sono usate soprattutto da stupratori e assassini, attraverso il governo centrale sudanese che finanzia le milizie. In qualunque modo si vogliano vedere le cose, a pagare sono sempre i civili, che guardano i loro villaggi disintegrati dalla furia della guerra.

Ma chi finanzia direttamente o indirettamente la guerra in Sudan? L’economia sudanese è incentrata sull’agricoltura che, oltre ad occupare più del 60% della popolazione attiva, alimenta la maggior parte delle modeste attività manifatturiere. Per quanto concerne le importazioni, queste sono principalmente costituite da macchinari, da beni manufatti, automezzi, frumento, prodotti alimentari e prodotti del settore chimico. La Cina rappresenta il principale mercato di sbocco del Sudan (68% delle esportazioni), seguita da Giappone (19%), Indonesia (4%), Corea del Sud (2%), Arabia Saudita (1,7 %). I principali partner per le importazioni sono ancora la Cina (27,9%), Arabia Saudita (7,5%), India (6%) ed Egitto (5,6%).

Tanti sono gli interessi in Sudan anche dai paese europei, come l’Italia. A gennaio del 2005 si sono delineati gli investimenti italiani in Sudan. Nello specifico, oltre a quello petrolifero, i settori nei quali le opportunità di investimento risultano più vantaggiose sono quello agricolo, nonché quello delle costruzioni e della produzione dei materiali da costruzione. “In questi settori – scrive sul sito la camera di commercio “italafricacentrale” – più che in altri, si potrebbero effettuare proficui investimenti volti ad aumentare la produzione e la produttività delle imprese già o Armi darfur Sudan peranti sul mercato”. Il vantaggio che si potrebbe ricavare dalla realizzazione di investimenti nei settori menzionati “è evidente se si considera che attualmente la produzione nazionale non riesce a coprire il fabbisogno interno per cui il paese deve ricorrere alle importazioni.

L’intero continente africano, così come il Darfur, è stato ininterrottamente adoperato dagli Stati e compagnie internazionali come un grande recipiente di risorse da succhiare. Molte compagnie, insultando i diritti umani, nel nome della sfrenata logica del profitto, hanno predato e violentato per anni l’intero territorio. Cosa risponderanno i paesi che vendono queste armi, e cosa gli dirà la loro coscienza quando avranno in mano il denaro sporco di sangue?

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