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L’Asia centrale e il traffico di armi leggere

Il problema del traffico illecito di armi leggere e di piccolo calibro è presente in varie parti del mondo, ma in Asia Centrale assume delle caratteristiche particolari. In questa regione il problema del traffico di armi leggere ha raggiunto proporzioni preoccupanti e le soluzioni adottate fino a questo momento non hanno avuto, purtroppo, l’esito sperato.
Federico Bartalini
Fonte: Meridiani online - 05 ottobre 2011

Introduzione

La nascita dei cinque Stati che compongono l’Asia Centrale risale agli anni venti del Novecento. Quando l’Armata Rossa riuscì a sconfiggere gli eserciti ed i gruppi armati che si opponevano ai risultati della rivoluzione d’ottobre, l’influenza sovietica si stabilì nella parte centrale dell’Asia, sancendo la divisione del territorio in cinque Stati: il Tagikistan, il Kazakistan, l’Uzbekistan, il Turkmenistan e il Kirghizistan. La suddivisione avvenne principalmente in base al criterio linguistico e non tenne in considerazione le diversità etniche e le peculiarità delle varie popolazioni locali. Esse si trovarono, quindi, a vivere in un ambiente multiculturale che, oggi come allora, creava e crea instabilità politica nella regione centrale dell’Asia.
armi leggere puntatori
La situazione generale attuale, da un punto di vista politico ed economico, è disastrosa. Con redditi pro capite molto bassi e alti livelli di disoccupazione (nel 2000 più del 50% delle famiglie kirghise viveva sotto la soglia di povertà), le condizioni socio-economiche dei cinque Stati sono nel complesso compromesse e, a parte il Kazakistan e il Turkmenistan (politicamente più stabili), gli altri Stati continuano a vivere momenti drammatici: il Tagikistan, sconvolto dalla sanguinosa guerra civile che dal 1992 al 1997 ha straziato il Paese, non ha visto miglioramenti evidenti con la conclusione delle ostilità. All’interno del territorio nazionale si registrano tutt’ora atti terroristici e di sabotaggio, come la strage del settembre 2010, quando un convoglio militare è stato attaccato nella valle di Rasht, facendo almeno 23 vittime tra i militari tagiki.

Il Kirghizistan è stato teatro di violenze nel 1999, quando l’Islamic Movement of Uzbekistan (IMU) fece incursione nel territorio kirghiso. Il modus operandi di questo gruppo era quello dei sequestri di persona, finalizzati al rilascio da parte del governo uzbeko di prigionieri politici appartenenti a tale movimento. Le tensioni comunque non si sono sopite: nel giugno del 2010, dopo le elezioni politiche del nuovo presidente Kurmanbek Bakiyev, sono scoppiati violente manifestazione, soprattutto nella città di Osh.

La solidità dell’apparato politico dell’Uzbekistan, infine, subisce ancora oggi una forte pressione, esercitata dall’IMU, che rende alcune aree del territorio nazionale particolarmente instabili, specialmente quelle al confine con il Kirghizistan e il Tagikistan.

La grande regione centro asiatica soffre, oltre ai disagi appena osservati, del problema del traffico illecito di armi leggere e di piccolo calibro, che è strettamente connesso con l’instabilità politica ed economica della regione. I due tipi di arma non devono esser confusi. Si differenziano infatti nell’uso finale a cui sono destinati: le armi di piccolo calibro (small arms) sono designate per l’uso personale, mentre quelle leggere (light weapons) sono destinate all’equipaggiamento di più persone, appartenenti quindi ad un gruppo armato più strutturato. I due termini sono spesso uniti nella sigla SALW, acronimo appunto di small arms and light weapons. Nella categoria delle armi di piccolo calibro sono inclusi: revolver e pistole semiautomatiche, fucili e carabine, fucili d’assalto, mitra e mitragliatrici leggeri. Nell’altra categoria si includono: mitragliatrici pesanti, lanciagranate, cannoni antiaerei portatili, cannoni anticarro portatili, cannoni senza rinculo, lanciamissili portatile, sistema missilistico antiaereo a corto raggio trasportabile a spalla (MANPADS) e mortai dal calibro minore di 100 millimetri.

Di solito l’uso di armi leggere e di piccolo calibro è circoscritto ai conflitti interni, localizzati e delimitati da confini precisi. Le ragioni di una simile destinazione sono facilmente intuibili: in primo luogo, si tratta di armi relativamente economiche e facilmente utilizzabili anche in assenza di accurate conoscenze tecniche o tecnologiche; sono anche facili da trasportare non richiedono ingenti spese di manutenzione. In secondo luogo, sono preferibili per ragioni di ordine tattico: nei conflitti locali, infatti, il ricorso all’intimidazione diretta dell’avversario (possibile con l’uso di armi leggere e di piccolo calibro) può risultare determinante.

Le cause che hanno favorito e continuano a stimolare la proliferazione di questo tipo di commercio illegale si possono individuare in primis nella guerra in Afghanistan e in Tagikistan e nella grave situazione economica che affligge l’Asia Centrale.


L’Afghanistan e il Tagikistan: il fulcro della destabilizzazione

Il trasferimento su larga scala di armi leggere e di piccolo calibro in Afghanistan iniziò negli anni ottanta, in seguito alla decisione sovietica di invadere il territorio afghano. L’invasione innescò una serie di reazioni a catena che ebbero il risultato di trasformare l’Afghanistan in un grande magazzino di armi. Molti governi non direttamente coinvolti nella vicenda dettero il loro appoggio, anche e soprattutto tramite l’invio di armi e munizioni, ai mujaheddin (nel frattempo divenuti i difensori dell’Afghanistan contro l’invasore sovietico). Dopo un primo momento rimasti in disparte per controllare l’esito delle operazioni militari, gli Stati Uniti si resero conto della tenace resistenza dei mujaheddin, e decisero di iniziare a consegnare nelle mani dei guerriglieri afghani armi e munizioni. Gli americani utilizzarono il Pakistan come centro da dove far partire le armi dirette ai mujaheddin.

Con la fine dell’invasione sovietica, l’afflusso di armi in Afghanistan non è terminato. La regione non conobbe stabilità politica con i mujaheddin al potere; anzi, ebbe inizio una guerra civile che vide l’ascesa di una nuova forza destinata a cambiare la geopolitica della zona: i talebani. Quest’ultimi si lanciarono nell’impresa di riunire il Paese contro l’Alleanza del nord, composta da vari gruppi che avevano come obiettivo quello di sconfiggere i talebani stessi. La guerra si protrasse per lungo tempo e fu solo grazie all’intervento degli Stati Uniti, nel 2001, che l’Alleanza poté riprendere il controllo del territorio afghano. Durante la guerra civile numerosi Stati intervennero nuovamente, a sostegno dell’una o dell’altra parte, intensificando il traffico clandestino di armi: nell’ottobre del 1998, alla stazione ferroviaria di Osh, in Kirghizistan, un treno carico di armi iraniane (fatte passare per aiuti umanitari) scaricò 700 tonnellate di armi e munizioni destinati a Ahmad Shah Masud, uno dei maggiori leader dell’Alleanza del Nord.

Sempre l’Iran utilizzò il territorio del Tagikistan per far giungere armi in Afghanistan: la capitale Dushambe e la città Ishkashim – quest’ultima al confine con il territorio afghano – erano i punti di smistamento delle armi iraniane dirette ai leader dell’Alleanza del Nord. La Russia fece ricorso all’aeroporto tagiko di Kulob come punto di partenza, mentre la città al confine tra l’Uzbekistan e l’Afghanistan, Hairatan, fu usata come punto di arrivo di armi russe che partivano da Termiz, destinate al leader uzbeko dell’Alleanza del nord: Rashid Dostum.

L’Afghanistan fu inondato di armi e i cinque Stati dell’Asia Centrale furono utilizzati come territorio di passaggio. Nel 1998, cioè nel pieno della guerra civile afghana, si stimava che almeno dieci milioni di armi leggere fossero presenti nel territorio. La situazione attuale, con la guerra al terrorismo ancora in corso, ha gettato benzina sul fuoco di un Paese che, dal 1979, non riesce a trovare la stabilità necessaria per avviare quel processo di normalizzazione che potrebbe portare giovamento all’intera regione dell’Asia Centrale. Tuttavia, l’instabilità afghana non è la sola responsabile del fenomeno del commercio illegale di armi.

Dal 1992 al 1997 il Tagikistan è stato sconvolto da una sanguinosa guerra civile, riflesso dell’insuccesso del governo di Dusanbe nel risolvere le tensioni politiche interne successive alla fine della Guerra Fredda. La vecchia élite comunista, nel tentativo di mantenere il potere anche dopo il crollo dell’Unione Sovietica, si scontrò con la netta opposizione di gruppi democratici, islamici e nazionalisti. Anche tramite ingenti trasferimenti di armi, era sostenuta infatti dalla Russia e dell’Uzbekistan; quest’ultimo leggeva nel conflitto in Tagikistan una lotta tra secolarizzazione e radicalismo islamico. Lo spauracchio dell’islam fu preso a pretesto, non solo per rifornire le truppe fedeli al vecchio regime comunista in Tagikistan, ma anche per mettere a tacere – attraverso metodi del tutto discutibili – l’opposizione politica interna al Paese, che vedeva nel movimento islamico dell’Uzbekistan l’elemento di maggiore destabilizzazione.

La base militare di Termiz divenne il centro dello smistamento di armi leggere dirette ai combattenti in Tagikistan. Schierati a difesa delle forze islamiche, i talebani misero a disposizione della fazione islamica in Tagikistan una enorme disponibilità di armi. Si calcola inoltre che durante la guerra civile circa 12,000 tagiki fossero stati schierati nel nord dell’Afghanistan, sostenuti non solt Proiettili anto dai talebani, ma anche da volontari provenienti da vari gruppi islamici del Medio Oriente.

All’interno dell’Asia Centrale le “vie” delle armi sono disposte in maniera omogenea lungo direttrici che toccano tutti e cinque gli Stati della regione. I punti di partenza, per le ragioni sopra esposte, sono l’Afghanistan e il Tagikistan. Una delle rotte più rilevanti è quella turkmena: le armi arrivano dall’Afghanistan in Turkmenistan, nei villaggi di Takhta Bazar e di Kushka, che si trovano nel sud del Paese. Dopo essere entrate nel territorio turkmeno, le armi viaggiano verso Mary, città situata nel centro del Turkmenistan, e arrivano dall’altra parte dello Stato, nel golfo di Turkmenbashi sul Mar Caspio. La Russia, i Paesi del Caucaso e l’Europa sono i principali destinatari del tragitto “turkmeno”.

La seconda via è quella kirghisa, detta anche “Silk Road”: le armi partono dal Tagikistan, più precisamente dalla città di Ishkashim (nel sud del Paese), per giungere ai confini con il Kirghizistan, nella città di Gorno-Badakshan, e per poi oltrepassare il confine ed arrivare nella città di Osh (sud del Paese).

La terza traiettoria, la cosiddetta “Middle Route”, passa tra il Tagikistan e il Kirghizistan e, partendo dal territorio tagiko, attraversa i distretti di Leilek e Batken ed arriva sia ad Osh che nella capitale Bishek, entrambe centri importanti per lo smercio di armi verso la Russia, la Cina, l’Ucraina ed i Paesi limitrofi all’Asia Centrale.

L’ultima direttrice, quella uzbeka, si proietta dalle città di Tursunzade e Shaartuz (Tagikistan), per poi entrare in Uzbekistan attraverso la regione della Syr Darya. La via uzbeka fa largo utilizzo delle linee ferroviarie e del traffico aereo. Il treno Dushambe-Mosca, che parte proprio dalla città tagika di Dushambe, attraversa l’Uzbekistan ed entra in Kazakistan attraverso la città uzbeka di Karakamar, per poi proseguire il viaggio fino a Mosca. Dagli aeroporti di Dushanbe e Khujand partono regolarmente aerei diretti in Uzbekistan; qui, una volta atterrato il carico, la merce raggiunge i punti desiderati interni ed esterni al territorio uzbeko.

Anche il Kazakistan costituisce un’importante scalo per il traffico delle armi. Le armi provengono dagli altri Stati dell’Asia Centrale con destinazione Chimkent e Almaty (la prima situata al confine con l’Uzbekistan e la seconda al confine con il Kirghizistan). Anche in questo caso la via ferroviaria è la più sfruttata; più precisamente le città di Biney, situata ai confini con il Turkmenistan e Arys, sul confine uzbeko, sono quelle di destinazione dei treni carichi di armi provenienti dagli altri Paesi dell’Asia Centrale.

 
La situazione economica e le risposte internazionali

Alla fine degli anni novanta il 73% dei kazaki viveva sotto la soglia di povertà, cioè sotto i 50 dollari al mese. In Kirghizistan, tra il 1992 e il 1996, il reddito reale della popolazione è calato di quasi l’84%. E in Uzbekistan il prodotto interno lordo pro capite è sceso drasticamente del 27% dal 1991 al 1995.  La situazione economica dei cinque Paesi, precipitata dopo il crollo sovietico, è seriamente compromessa. In mancanza di lavoro, il mercato nero – sia esso delle armi o della droga – è divenuto molto conveniente. Corruzione, eccesso di burocrazia, magistratura debole e poco indipendente sono tutt’ora fattori critici.

In tale contesto di elevata interdipendenza regionale è inoltre difficile immaginare l’interruzione dei traffici illeciti, al tempo stesso causa e conseguenza dell’instabilità politica ed economica dell’area. Nonostante la regione non costituisca una realtà omogenea – si vedano gli esempi del Kazakistan, del Turkmenistan e dell’Uzbekistan, che hanno un’economia più strutturata rispetto al Kirghizistan ed al Tagikistan – la situazione complessiva resta difficile. Bassi livelli di reddito pro capite sono la spia del malessere della società, che intanto assiste all’aumento del divario tra “chi ha” e “chi non ha”. L’emergere di una nuova classe sociale di “super ricchi” esaspera le già precarie condizioni di vita dei poveri. Sono infatti all’ordine del giorno le richieste di riscatto sociale promosse dalle fasce più deboli.

La comunità internazionale si è mossa in varie direzioni e con forme diverse di cooperazione. Nonostante i tentativi fatti finora e gli sforzi compiuti per normalizzare la situazione dei cinque Paesi asiatici, i risultati ottenuti non hanno avuto l’esito aspettato. Varie organizzazioni internazionali hanno lanciato programmi di assistenza e cooperazione. L’ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC), per esempio, a partire  dal 1993 ha promosso un  programma volto a rafforzare il controllo ai confini sostenendo e addestrando le forze dell’ordine locali. Nel 2009 si è deciso di incrementare il budget per finanziare l’operazione a quasi 70 milioni di dollari. Anche l’UE si è mossa nel 2002 con il Border Mangement Programm in Central Asia, un programma che prevede la creazione di un’accademia delle guardie di frontiera, la costruzione di tre nuovi posti di blocco, il sostegno ai centri per i cani poliziotto, il trasferimento di equipaggiamento tecnico ed il miglioramento delle condizione lavorative, di salute e nutrizionali delle guardie di confine. Attualmente il programma è finanziato con una somma pari a 27 milioni di euro.

Infine, sono state istituite anche forme di cooperazione bilaterale. Gli Stati Uniti, ad esempio, attraverso l’US Export Control and Related Border Security Assistance (EXBS) finanziano un programma che ha come obiettivo l‘assistenza e l’addestramento delle guardie di frontiera kirghisa.

In conclusione si può affermare che, nonostante i tentativi interni ed esterni volti a stabilizzare l’Asia Centrale per quanto riguarda il problema del traffico illecito di armi leggere e di piccolo calibro, la situazione è preoccupante. L’intera regione centrale dell’Asia, che pure avrebbe la possibilità di conoscere uno sviluppo economico repentino grazie soprattutto alle grandi quantità di risorse naturali presenti nel suo territorio, non riesce purtroppo ad avere governi che ne assicurino la governance e il rispetto delle regole, che sono giornalmente infrante. In questo clima, chi trae profitto (e sono in molti) dal traffico illecito di armi continuerà a proliferare a scapito della società civile, che conoscerà, se la situazione non migliora, un lento ma inesorabile declino.

Note: Articolo originale al link http://www.meridianionline.org/2011/10/05/asia-centrale-il-traffico-illecito-armi-leggere/
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