Occhio alle Armi
Dal Ruanda all’Iraq, nessuno è stato rispettato

Gli embarghi ONU violati: le responsabilità dei governi

Gli embarghi sui trasferimenti di armi, sono stati uno degli strumenti a cui si è fatto sempre più spesso ricorso negli anni ’90, soprattutto dopo la fine della guerra fredda, per garantire la pace e la sicurezza internazionale attraverso il divieto di trasferimenti di armi verso uno Stato. Un embargo può essere deciso dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e da altre organizzazioni regionali, in particolare dall’Unione Europea. Ma è bene sottolineare che gli embarghi non hanno alcuna efficacia preventiva poiché vengono adottati quando si è già in presenza di un conflitto, quando già le parti hano avuto modo di rifornirsi di armi.
Durante la guerra fredda, il diritto di veto paralizzò, di fatto, l’attività del Consiglio di Sicurezza, e furono emesse raramente decisioni vincolanti (le uniche risoluzioni vincolanti furono quelle contro la Rodesia del Sud e quelle contro il Sudafrica). Con la fine della guerra fredda e la fine del veto incrociato da parte delle due superpotenze, il Consiglio di Sicurezza ha intensificato la sua azione in base all’art. 41 della Carta delle Nazioni Unite che prevede, appunto, gli embarghi.

Da un embargo scaturiscono due obblighi: per gli Stati di non trasferire armi e di applicare a livello nazionale questo divieto verso privati nella loro giurisdizione. Ma molti paesi non prevedono nemmeno la violazione di un embargo di armi come un crimine, infatti, le modalità di applicazione e il tipo di responsabilità per trasferimenti illegali di armi da parte di privati, nel campo del diritto penale di ciascun Paese, sono lasciati alla discrezionalità degli Stati. In Inghilterra è un crimine che prevede l’arresto, in Italia un’irregolarità amministrativa. Inoltre le legislazioni nazionali devono controllare le attività dei mediatori, siano essi cittadini, residenti o comunque all’interno della giurisdizione del Paese.

Sia gli embarghi delle NU che altri non sono stati efficaci nel fermare completamente il flusso di armi verso un paese o un gruppo oggetto dell’embargo. Né sono riusciti nel porre fine ai conflitti nelle aree in questione. I paesi fornitori, spesso, procedono ad interpretazioni molto ristrette delle categorie di equipaggiamento coperte dall’embargo. In altri casi, si abusa del fatto che i paesi oggetto dell’embargo abbiano confini molto porosi, mentre in altri casi ancora l’embargo viene completamente ignorato per ragioni politiche o economiche. Sono venuti alla luce molti casi in cui individui, sia funzionari pubblici che uomini d’affari, siano stati coinvolti come venditori, mediatori o trafficanti di equipaggiamenti sotto embargo.

Il Sipri di Stoccoma e l’Università di Uppsala hanno cercato di verificare l’applicazione degli embarghi internazionali sulle importazioni di armi e di altri materiali strategici imposti dalle Nazioni Unite a stati sconvolti da guerre civili o colpevoli di violazioni del diritto internazionale. Nel report intitolato “Gli embarghi delle Nazioni Unite” sono presi in esame i ventisette casi decisi dall’Onu a partire dal 1990 ai quali sono abbinati undici studi resi noti successivamente alla pubblicazione del rapporto sul sito del Sipri: Eritrea-Etiopia, Haiti, Liberia, Libia, Ruanda, Sierra Leone, Sudan, Somalia, Afghanistan talebano ed ex-Jugoslavia.
Nei fatti nessun embargo è stato esente da violazioni più o meno gravi. Basti pensare agli ingenti quantitativi di armi giunti agli eserciti etnici in ex Jugoslavia da tutta l’Europa, o alle armi arrivate alle milizie somale dallo Yemen e dall’Etiopia, o alle forniture russe, ucraine e cinesi che hanno alimentato gli eserciti etiopico e eritreo. Fino ai casi più eclatanti degli armamenti e tecnologie sofisticati che sono stati acquistati dall’Iraq di Saddam Hussein.
Il rapporto evidenzia come la corruzione abbia costituito uno dei principali limiti alle misure adottate per fermare i traffici di armi e sottolinea come il blocco venisse maggiormente rispettato dove erano presenti forze d’interposizione delle Nazioni Unite.

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progetto di consultazione popolare per un trattato internazionale sui trasferimenti di armi
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