Altro che dimezzamento, più fondi per gli F-35

Il PD aveva votato per un taglio del budget. Invece si spendono 80 milioni in più nel 2015. E la spesa futura resta uguale.
Fonte: Il Fatto Quotidiano - 21 maggio 2015

Sugli F-35, il governo non dimezza. Al contrario, rilancia. A otto mesi dal voto parlamentare che impegnava l’esecutivo a tagliare del 50 per cento l’impegno finanziario per i cacciabombardieri Joint Strike Fighter, arrivano i documenti che certificano le previsioni di spesa del governo. I fondi per il programma, invece di ridursi, continuano a crescere: 80 milioni di euro in più per il solo 2015. Nel nuovo Documento Programmatico Pluriennale della Difesa – che il Fatto ha potuto visionare – la spesa per i discussi 90 aerei da guerra della Lockheed Martin è passato dai 509,1 milioni di euro del 2014 ai 582,7 milioni del 2015. Anche in prospettiva, il costo del programma rimane pressoché invariato rispetto alle stime degli anni precedenti: quasi 14 miliardi di euro. 

F35 balance L’IMPEGNO a dimezzare i fondi (sulla scorta di quanto fatto da altri governi non esattamente votati al pacifismo come quello israeliano) era arrivata il 25 settembre scorso, quando il Parlamento aveva approvato la mozione del deputato PdGian Piero Scanu, votata dal tutto il partito. Il documento, tra gli impegni vincolanti per il governo, recitava: “Riesaminare l’intero programma F-35 per chiarirne criticità e costi con l’obiettivo finale di dimezzare il budget finanziario originariamente previsto”. La traduzione semplificata su tv e giornali era stata unanime: Pinotti dimezza gli F35, come se la commessa fosse stata ridotta da 90 a 45 aerei (e quindi il budget 2015 dovesse passare a circa 250 milioni). Il Parlamento però nella stessa seduta aveva approvato altre tre mozioni, tutte con un orientamento diverso. Il testo del forzista Renato Brunetta, quello che ottenne il consenso più ampio, imponeva di “mantenere gli impegni assunti in sede internazionale”, cioè non tagliare i cacciabombardieri; quello dell’Ncd Fabrizio Cicchitto chiedeva di “massimizzare i ritorni economici, occupazionali e tecnologici”; quello di Scelta Civica confermava il rispetto degli “impegni precedentemente assunti”. Tanto che, a dispetto dello sbandierato dimezzamento, già a novembre il ministero della Difesa chiariva le reali intenzioni del dicastero guidato da Roberta Pinotti: “Delle 4 mozioni presentate alla Camera, le 3 approvate, con il parere favorevole del Governo, richiedono tutte che si proceda con il programma”. A stigmatizzare il comportamento del ministro è l’ex deputato Pd Pippo Civati: “Quando si votano quattro mozioni diverse come se fossero la stessa si lascia una margine di ambiguità non casuale, ma voluto”.   

E infatti, nel gioco delle quattro mozioni, l’unico documento rispettato è quello di Ncd che imponeva di continuare con gli acquisti a fronte di nuove commesse per l’industria degli armamenti. Pur in assenza di conferme ufficiali, sembra infatti cheSelex, una controllata di Finmeccanica, sia sul punto di ottenere la commessa per il cablaggio dei cavi degli aerei assemblati in Italia.   

A CONTI FATTI, l’impatto sulle finanze pubbliche non cambia di una virgola: oltre ai 582 milioni di quest’anno, 900 per la fase di sviluppo, 500 per le attività italiane, 360 per lo stabilimento di Cameri e 10 miliardi per la fase di acquisto. In totale oltre 12 miliardi di euro fino al 2027. Un cifra che, se suddivisa per gli anni a venire, impegnerà l’Italia a sborsare in media 900 milioni l’anno. Anche per il deputato ex M5S Massimo Artini, che ha spesso incalzato Pinotti sulle spese militari, la sbandierata rimodulazione dei costi è una farsa: “Niente è cambiato sui numeri. Alla luce delle scelte fatte, non solo sugli F-35, ci chiediamo se il Ministro non debba trarne delle conseguenze drastiche”. Lapidario Luca Pastorino, ex Pd ora candidato in Liguria: “Con questo governo, anche le cose buone che pensavamo di ottenere si rovesciano puntualmente”.