La situazione dei percorsi verso il disarmo nucleare

Per un mondo libero da armi nucleari: il 2016 anno cruciale?

Lisa Clark (Beati i Costruttori di Pace)

Nuclear free! Per chi si occupa di disarmo nucleare l’anno nuovo inizia il 6 agosto. Di questi tempi, quindi, si tenta di fare il bilancio dell’anno passato e di rinnovare gli impegni per quello venturo, che inizierà alle 8.15 del 6 agosto, nel momento in cui ricorderemo il lancio (anzi, ricorderemo le vittime!) della prima bomba nucleare che fu sganciata in un’azione di guerra su Hiroshima nel 1945. Sono successe molte cose in quest’anno appena passato...

Campagna ICAN

In particolare la campagna ICAN (per un Trattato che elimini le armi nucleari) ha svolto un importante ruolo mondiale nel raccogliere oltre 140 Stati disposti a cimentarsi – da subito – in un percorso per l’approvazione di uno strumento giuridico che metta al bando le armi nucleari. ICAN, composta da associazioni e Ong, con il sostegno (anche economico) di fondazioni e qualche governo amico, è riuscita a ridare slancio al movimento internazionale per l’eliminazione delle armi nucleari. Ed ha promosso la partecipazione della società civile all’OEWG (Open-Ended Working Group), proposto dal Segretario Generale Ban Ki-moon: si sono già svolte due delle tre sessioni dell’OEWG previste per il 2016 (qui rapporto sulla seconda sessione, svoltasi a maggio: http://www.icanw.org/wp-content/uploads/2016/06/OEWG-report.pdf). Insieme, una decina di Stati hanno formulato la proposta di organizzare per il 2017 una conferenza di Stati (http://www.reachingcriticalwill.org/images/documents/Disarmament-fora/OEWG/2016/Documents/WP34.pdf) con l’obiettivo di elaborare il testo di un trattato che metta al bando le armi nucleari. Si sono prese a modello le modalità con cui si sono costituite le NWFZ (le Zone libere da armi nucleari), che ormai comprendono la maggioranza degli Stati del mondo. C’è grande entusiasmo intorno alla proposta, pur riconoscendo che la mancata adesione delle potenze nucleari e della maggior parte dei loro alleati al trattato rappresenterebbe una limitazione alla sua efficacia. Chi lavora alacremente per questo percorso ricorda che la Convenzione di Ottawa per la messa al bando delle mine anti-persona iniziò anch’essa con la stessa modalità, raccogliendo inizialmente solo la disponibilità di un certo numero di Stati per poi garantire, tramite la pressione popolare, che anche gli altri vi aderissero. Chi rimane ancora scettico sul percorso sostiene tuttavia che le armi nucleari hanno un ruolo (e un peso politico e militare) ben diverso nelle dottrine di sicurezza nazionale degli Stati che le possiedono, rispetto al possesso e all’uso delle mine. Ma tutti concordano sull’importanza della rinascita di entusiasmo ed energie, specialmente tra i giovani, che la Campagna ICAN è riuscita a suscitare.
L’ultima sessione dell’OEWG si svolgerà nel mese di agosto > http://www.unog.ch/oewg-ndn. Nella giornata conclusiva del 19 agosto i partecipanti decideranno esattamente cosa includere nel documento finale: i movimenti per il disarmo hanno già presentato le loro richieste, in gran parte accolte da una maggioranza degli Stati presenti. Oltre alla conferenza da organizzare nel 2017, chiedono che si organizzino dei Vertici ad alto livello per il Disarmo nucleare, e non solo Vertici per la Sicurezza. E che le potenze nucleari siano incoraggiate ad adottare alcune misure intermedie, in vista del disarmo, quali la riduzione dei livelli di allerta, la dichiarazione di No First Use (NFU), la riduzione del numero delle armi nucleari dispiegate, il taglio dei finanziamenti per l’ammodernamento, ecc.
http://us12.campaign-archive2.com/?u=b24250dac623a8bc5da1b0664&id=146ac7dcbf&e=b48bb41c81

 

Il Forum dei Popoli di Asia e Europa (AEPF)

Il Forum si è riunito recentemente (4-6 luglio) in Mongolia, che rappresenta l’unica NWFZ (cioè Zona libera da armi nucleari) composta da un unico Stato. https://www.iaea.org/sites/default/files/publications/magazines/bulletin/bull51-2/51203594447.pdf  E da lì è partita la raccomandazione ai governi, ma anche alle organizzazioni di società civile, di far guidare alla Mongolia un nuovo percorso verso la NWFZ dell’Asia nordorientale, quella cioè che comprenderebbe il Giappone e la penisola coreana. Sono anni che è chiaro alle Ong che serve ridurre le tensioni e trovare positivi terreni di dialogo per risolvere il conflitto con la Corea del Nord. Adesso l’assemblea dei Popoli AEPF ha presentato ai Governi dei 51 Stati asiatici ed europei dell’ASEM la proposta pressante di sfruttare il ruolo, la storia e la competenza dei negoziatori della NWFZ di Mongolia per allargare le zone asiatiche libere da armi nucleari. L’ex ambasciatore all’ONU della Mongolia ha dichiarato: “Ci diranno che la creazione di una Zona libera da armi nucleari comprendente l’intera penisola coreana è una missione impossibile. Ma lo dicevano anche a Kerry e agli altri negoziatori rispetto alle trattative sul nucleare con l’Iran.”


Ventesimo anniversario della storica sentenza della Corte Internazionale di Giustizia (CIG)

Pochi settimane fa (8 luglio) si è anche ricordata l'importante ricorrenza del pronunciamento che ha diciarato generalmente illegale l’uso e la minaccia dell’uso delle armi nucleari. http://www.icj-cij.org/docket/index.php?p1=3&p2=4&k=e1&p3=4&case=95.  Il percorso che 20 anni fa portò a richiedere il parere alla CIG fu emblematico della bella stagione (bella, per il disarmo!) degli anni 90, anni in cui le grandi campagne di società civile, caratterizzate da larghe alleanze di associazioni, comitati, gruppi religiosi, sindacati, riuscivano a convincere gli Stati ad agire in maniera concertata. Sebbene sia stato criticato da alcuni per una certa ambiguità, il parere della CIG ha riconosciuto che l'impiego di tali armamenti è generalmente contrario ai principi del diritto internazionale umanitario, costituisce una violazione dei diritti umani, ed è quindi da considerarsi vietato nella maggior parte dei casi. L’unica eccezione, su cui i giudici non riuscirono a decidere all’unanimità, era rappresentato dal caso in cui fosse in gioco la sopravvivenza stessa dello Stato. David Krieger coglie l’occasione dell’anniversario per offrirci un approfondimento molto interessante https://www.wagingpeace.org/category/international-law-posts/ che rilancia tutti i percorsi del diritto internazionale nell’impegno per il disarmo nucleare.

 

Prime udienze alla Corte Internazionale di Giustizia del caso della Repubblica delle Isole Marshall e dibattiti politici internazionali

Sempre in quest’ultimo anno si sono tenute queste prime riunioni di carattere legale, come si vede qui http://www.archiviodisarmo.it/index.php/it/2013-05-08-17-45-06/42-nuclear-news/369-the-marshall-island-vs-nuclear-weapons-states-la-grande-sfida-di-un-piccolo-atollo
Non ci sono ancora pronunciamenti definitivi, ma vale la pena rimanere aggiornati sugli sviluppi dell’azione di questo piccolo Stato https://www.wagingpeace.org/nuclearzero-at-the-icj-our-daily-summaries-of-the-hearings/
Ai primi di luglio (7-9) i movimenti per la pace e per il disarmo hanno invece organizzato a Varsavia, in occasione del Vertice della NATO in quella città, un controvertice con manifestazioni varie. http://www.no-to-nato.org/2016/07/initial-report-from-nato-counter-summit-warsaw-2/  Criticando aspramente la volontà della Nato di rafforzare il ruolo nucleare dell’Alleanza, tutti i partecipanti hanno analizzato la situazione e hanno dichiarato la volontà di appoggiare le campagne per la messa al bando delle armi nucleari. In generale, riconoscendo le responsabilità di tutte le parti nel pericoloso aumento di tensione (erano presenti anche attivisti russi del movimento socialista che si oppongono al governo Putin), c’è stato un consenso sulla necessità di mettere in campo azioni per ridurre il livello di tensione. Un’iniziativa che ha molto interessato i movimenti per il disarmo nucleare, di cui sentiremo parlare in autunno (e che faremmo bene a riprendere anche in Italia) è quella dei parlamentari tedeschi della Linke che sono riusciti a far calendarizzare un dibattito sull’uscita della Germania dalla Nato: pur non prevedendo di ottenere una maggioranza, i parlamentari presenti hanno riferito dell’importanza di un dibattito che è stato appassionato e sincero, da tutte le parti. Si sta preparando una bozza di mozione per lo scioglimento della Nato al fine di dar vita anche in altri parlamenti a un dibattito politico sul pericolo rappresentato dall’escalation delle tensioni nell’est europeo.
All’Assemblea Parlamentare dei paesi dell’OSCE (1-5 luglio), nella riunione annuale che si è tenuta a Tbilisi in Georgia per celebrare 25 anni di cooperazione parlamentare (“Costruire la fiducia tramite il dialogo”), è stata approvata una Dichiarazione finale in cui, ai punti 27-29, l’intera assemblea afferma all’unanimità che è necessario esigere che gli Stati OSCE promuovano e partecipino con delegazioni ad alto livello ai negoziati che nel 2017 daranno avvio all’elaborazione di un trattato che metta al bando le armi nucleari; che, nel 2018, partecipino alla conferenza ONU sul disarmo nucleare, includendo rappresentanze parlamentari nella propria delegazione ufficiale; e, nel caso degli Stati possessori di armi nucleari, che riducano immediatamente il livello di allerta degli armamenti dispiegati e adottino la politica del “No First Use (NFU)”, cioè l’impegno a non usare per primi l’arma nucleare. La versione integrale della Dichiarazione di Tbilisi è scaricabile dal sito: https://www.oscepa.org/meetings/annual-sessions/2016-tbilisi-annual-session.
La valutazione dei coordinatori del PNND (la Rete dei parlamentari per il disarmo e la non proliferazione nucleare) è molto positiva. Se i governi delle 4 potenze nucleari dell’OSCE (Russia, Francia, Regno Unito e USA) accettassero di seguire le richieste dei propri parlamentari si potrebbero davvero riaprire i canali del dialogo e del negoziato sul tema del disarmo nucleare. http://www.indepthnews.net/index.php/nuclear-abolition/527-european-parliaments-demand-no-first-use-obama-s-nuclear-agenda-analysed.
In Francia, invece, alla vigilia della festa nazionale del 14 luglio ben 60 parlamentari hanno fatto circolare un appello tra tutti i loro colleghi al fine di raccogliere adesioni per la convocazione di un referendum popolare che chieda al governo francese di farsi capofila tra le potenze nucleari nel lanciare e portare a termine il negoziato internazionale sull’eliminazione di tutte le armi nucleari. http://www.acdn.net/spip/spip.php?rubrique12&lang=fr
In Canada un gruppo di ex Ministri per il disarmo ha reso pubblico un appello inviato al nuovo governo canadese. http://ottawacitizen.com/opinion/columnists/disarmament-ambassadors-heres-how-canada-can-help-eliminate-nuclear-weapons.  Ricordando gli incontri di Reykjavik di 30 anni fa, che sancirono l’eliminazione bilaterale di tutta una classe di armi nucleari (il trattato sulle forze intermedie, INF), generando così un clima di fiducia e rispetto reciproco che portarono pochi anni più tardi alla fine della Guerra Fredda, gli ex ministri chiedono al nuovo governo canadese di farsi portavoce di un movimento di Stati che oggi mettano in moto il percorso negoziale verso “una convenzione quadro, onnicomprensiva e legalmente vincolante, che proibisca tutte le armi nucleari e imponga la loro eliminazione con meccanismi di verifica internazionale.”
Appello di 16 senatori USA a Obama (20 luglio). http://www.pnnd.org/sites/default/files/i/doc/Materials/7-20-16_ejm_letter_to_president_obama_on_nuclear_weapons.pdf. Chiedono a Obama in primo luogo di ridurre drasticamente le spese previste per l’ammodernamento dell’arsenale nucleare, di adottare una politica di No First Use (NFU), di eliminare il livello di massima allerta chiamata “launch-on-warning”, cioè lancio al primo avvertimento.
 
 

Non solo politici e parlamentari, ma anche sindaci per il disarmo nucleare!

Il 28 giugno, alla conclusione della 84ma Conferenza dei Sindaci USA (the US Conference of Mayors), una risoluzione adottata all’unanimità chiede al prossimo Presidente degli Stati Uniti di ridurre le spese previste per l’arsenale nucleare e spostare i fondi risparmiati su capitoli di spesa che affrontino invece i problemi urgenti delle città; chiede inoltre di partecipare in buona fede ai negoziati per una convenzione internazionale che metta al bando tutti gli armamenti nucleari. Alle città che aderiscono all’associazione chiede di dedicare energie a fare informazione sulle conseguenze umanitarie di qualsiasi uso di bombe nucleari e promuovere azioni di opinione pubblica a favore del percorso della convenzione internazionale. http://usmayors.org/resolutions/84th_Conference/proposedcommittee-review.asp?committee=International%20Affairs.

Obama e le sue scelte

Non è un mistero per nessuno che, arrivati alla fine del secondo mandato del Presidente Obama, serpeggi tra le organizzazioni impegnate per il disarmo nucleare una forte delusione per l’operato di questo presidente che pure si era presentato con un programma ideale apprezzato ed osannato. Nel discorso di Praga (marzo 2009), il primo importante discorso di politica estera di Obama, annunciò la sua intenzione di ridurre il ruolo delle armi nucleari per arrivare a un mondo libero. E nei primi anni portò avanti varie iniziative: il Nuovo accordo START con la Russia, i vertici sulla sicurezza nucleare, e mostrò la determinazione necessaria a raggiungere un accordo negoziale sul nucleare con l’Iran (andato finalmente in porto solo un anno fa). Sono molte però anche le decisioni che non sono andate nella direzione auspicata: la più grave, secondo i movimenti per il disarmo, è senz’altro il progettato piano di ammodernamento dell’arsenale nucleare, con una spesa preventivata di 35 miliardi di dollari l’anno per i prossimi 10 anni (e oltre 1000 miliardi nei prossimi 30 anni), che secondo molti analisti è stato il prezzo che il presidente ha dovuto pagare per far ratificare dal Congresso il Nuovo START. Ma in questi ultimi giorni (il 10 luglio) il Washington Post (https://www.washingtonpost.com/opinions/global-opinions/obama-plans-major-nuclear-policy-changes-in-his-final-months/2016/07/10/fef3d5ca-4521-11e6-88d0-6adee48be8bc_story.html), giornale dotato di fonti interne all’amministrazione, ha pubblicato un lungo articolo in cui spiega che nell’arco dei suoi ultimi mesi di presidenza, Obama potrebbe usare il potere di emettere Ordini Esecutivi per lasciare un’eredità nel campo del nucleare più vicina agli ideali enunciati a Praga, nel marzo 2009. Il primo Ordine presidenziale potrebbe riguardare l’introduzione di una politica unilaterale di “No First Use” (NFU), cioè l’impegno degli USA a non usare mai per primi l’arma nucleare, ma solo in risposta ad un attacco nucleare. Sarebbe un cambiamento epocale nella dottrina di difesa statunitense, un’azione che i movimenti disarmisti chiedono da molti anni. Una seconda novità da introdurre tramite Ordine Esecutivo sarebbe di proporre e far adottare una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che sancisca la proibizione delle sperimentazioni di armi nucleari: con questo stratagemma Obama aggirerebbe lo stallo rappresentato dalla mancata ratifica del Senato USA, che impedisce l’entrata in vigore della CTBT (Convenzione per la messa al bando delle sperimentazioni nucleari). Obama sta inoltre pensando di proporre alla Russia un’estensione di 5 anni della scadenza del Nuovo START, sebbene il trattato non scada fino al 2021. Impedirebbe così al prossimo presidente di lasciare che il trattato scada senza rinnovo. Alcuni suoi collaboratori vorrebbero annullare il progetto per il nuovo missile Cruise, con capacità nucleare a raggio limitato; mentre altri funzionari stanno studiando la possibilità di ridurre il livello di allerta della maggior parte delle armi nucleari in servizio attivo, riducendole dal livello di massima allerta (hair-trigger alert). Obama potrebbe inoltre convocare un gruppo di esperti per capire le modalità più efficaci per ridurre la spesa prevista e ridimensionare l’ammodernamento dell’arsenale nucleare.
La notizia uscita sul Washington Post è stata ripresa da più parti, con interviste a funzionari e esperti: tutti sembrano confermare che queste ipotesi siano davvero allo studio, tanto che la Nuclear Age Peace Foundation ha stilato subito un appello da firmare http://org2.salsalabs.com/o/6357/p/dia/action3/common/public/?action_KEY=23352, indirizzato al Presidente Obama, in cui si fanno 7 richieste di altrettante Azioni Esecutive da approvare:

1) Dichiarare che gli USA adotteranno la politica del No First Use. Attualmente gli USA considerano accettabile l’uso di armi nucleari in certi scenari. Una politica che proibisse il primo colpo, o l’uso per primi della bomba nucleare, allontanerebbe le probabilità di una guerra nucleare.
2) Eliminare le armi nucleari pronte al lancio al primo avvertimento (launch-on-warning). Per ridurre il rischio di lancio per errori dei sistemi informatici.
3) Ridurre il livello d’allerta dell’arsenale nucleare. Sarebbe utile per aumentare il tempo a disposizione prima di prendere la decisione di lanciare l’ordigno.
4) Rimuovere le armi nucleari statunitensi da territori di altri Stati. Per ridurre le tensioni con la Russia e le probabilità di guerra nucleare.
5) Eliminare le armi nucleari basate a terra. Per eliminare obiettivi facili da colpire; armi che, in caso di conflitto, verrebbero usate anche semplicemente per non lasciarle in luoghi dove il nemico le potrebbe distruggere.
6) Tagliare progressivamente, fino a zero, i finanziamenti per l’ammodernamento dell’arsenale nucleare statunitense. Per fermare l’attuale corsa al riarmo e liberare centinaia di miliardi di dollari da destinare ai fabbisogni della società.
7) Convocare le nove potenze nucleari per iniziare finalmente quei negoziati in buona fede che portino al disarmo nucleare totale. A riprova che gli USA intendono rispettare l’impegno assunto con l’articolo VI del Trattato di Non Proliferazione nucleare.

Fallito colpo di stato in Turchia

La base di Incirlik ha avuto un ruolo importante negli eventi di pochi giorni fa. Ricordiamo che è ad Incirlik che sono custodite le 50 bombe nucleari (il numero che Hans Kristensen e colleghi considerano la stima più attendibile oggi). E questo ha dato il via a tutta una serie di ragionamenti sulla sicurezza delle armi nucleari statunitensi fuori dai confini nazionali, con conseguenti appelli al loro ritiro. Eric Schlosser (autore nel 2014 di una monumentale ricerca sui pericoli degli incidenti nucleari, https://www.amazon.com/Command-Control-Damascus-Accident-Illusion/dp/0143125788) ha scritto recentemente che “con qualche ora di lavoro e un po’ di conoscenze specifiche è possibile aprire uno dei depositi corazzati – vault – dove sono custodite le armi nucleari, sottrarne una, azzerare il sistema protettivo della bomba stessa e piazzarla sopra i depositi; farla poi saltare con una piccola carica convenzionale per liberare una letale nuvola radioattiva.” Si dà per scontato che queste armi siano difese da soldati della Nato ma nel caso di Incirlik la lealtà dei militari non sembra essere stata totale. È stata tagliata l’elettricità nella base di Incirlik dopo che alcuni elementi ribelli hanno utilizzato un aereo della base per rifornire gli F-16 che minacciavano le istituzioni governative e parlamentari a Istanbul e Ankara! Sconfitti i golpisti dalle forze governative, il comandante della base di Incirlik è stato arrestato e portato via ammanettato. In un futuro colpo di stato non è azzardato ipotizzare che un gruppetto di militari possano impossessarsi delle bombe nucleari statunitensi per usarle come merce di scambio nei negoziati con Ankara o Washington … o, peggio  ancora, per consegnarle a Daesh.
Scrive Jeffrey Lewis, http://foreignpolicy.com/2016/07/18/americas-nukes-arent-safe-in-turkey-anymore/
un esperto di proliferazione nucleare (non un attivista), “Vi sembra davvero una buona idea custodire delle bombe nucleari statunitensi in una base sotto il comando militare di una persona che forse ha aiutato altri militari a bombardare il parlamento del proprio paese?” E Hans Kristensen, della Federazione degli Scienziati Atomici statunitensi, https://www.theguardian.com/us-news/2016/jul/17/turkey-coup-attempt-raises-fears-over-safety-of-us-nuclear-stockpile, ha dichiarato: “La situazione della sicurezza in Turchia e nella zona della base di Incirlik non rispondono più ai requisiti per la sicurezza che gli Stati Uniti considerano come indispensabili per le armi nucleari. Nella vita non capita di ricevere sempre un chiaro avvertimento prima che avvenga un disastro. L’avvertimento lo abbiamo ricevuto. È arrivato il momento di ritirare quelle armi.”

Quindi, oggi, nel fare il punto sugli sviluppi di quest’ultimo anno e sulle possibilità per il futuro, prendiamo nota di questa rinnovata attenzione alla presenza di bombe nucleari statunitensi sul territorio di altri Stati.
Ci sono anche in Italia, come sanno le decine di associazioni e comitati che nel 2008 presentarono al Parlamento italiano 65.000 firme per proporre una Legge d’iniziativa popolare che dichiarasse l’Italia paese libero da armi nucleare. A quell’epoca scrivevamo che l’approvazione della Legge avrebbe comportato la rimozione di circa 40 bombe B-61 da Ghedi (BS) e circa 50 da Aviano (PN). Oggi, grazie al lavoro meticoloso e sempre puntuale di Hans Kristensen, sappiamo che sono diminuite (in tutto sarebbe 40/50). Abbiamo sempre sostenuto che non avevano alcun ruolo militare, perché non sono custodite pronte all’uso: qualche “esperto” ha anche sostenuto che ci vorrebbe un mese per prepararle all’uso! E oggi sappiamo anche che nella base turca di Incirlilk non ci sono aerei capaci di caricarle.
I rischi per la sicurezza oggi sono molto cambiati. E infatti oggi non sono pacifisti o disarmisti a scrivere sulle pagine dei giornali dell’establishment che è da pazzi mantenere 50 bombe nucleari, che non possono essere utilizzate, in una base a meno di 100 km dal confine con la Siria. (Esattamente come le 20 che stanno a Kleine Brogel in Belgio, a pochi km dall’aeroporto di Zaventem, teatro dell’attentato del marzo scorso.)

Forse, nel prossimo anno, si riuscirà finalmente a mettere in moto il processo per rimuovere quelle bombe statunitensi dall’Europa (prima, cioè, che vada in porto il progetto di sostituirle con altre bombe, più moderne, e – quelle sì! – utilizzabili).
Anche se non saranno smantellate, come avremmo voluto, per rispettare gli impegni dell’articolo VI del Trattato di Non Proliferazione, al fine di realizzare il “disarmo nucleare generale e completo”.
Ugualmente, sempre nel prossimo anno, dopo il 6 agosto cioè, forse vedremo un Presidente Obama che realizza almeno alcuni elementi di quella sua visione di un mondo libero da armi nucleari, che ci aveva fatto tanto sperare, ma che per adesso è rimasta solo una visione.

Fungo di speranza